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Tanti piccoli inglesi

7 - Il calcio italiano di fine Ottocento è un fenomeno di elìte, per inglesi costretti ad emigrare e per italiani che sognano l'Inghilterra o hanno con lei qualche legame. Niente di paragonabile con la popolarità del ciclismo...

Redazione

22.12.2010 ( Aggiornata il 22.12.2010 05:00 )

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La prima formazione campione d’Italia si trova su tutti gli almanacchi, ma non è superfluo ricordarne gli elementi principali oltre allo stracitato Spensley. Dà l’idea di cosa sia il calcio italiano di fine Ottocento, al di là della retorica sul pionierismo e sui bei tempi andati. Il genovesissimo (ma di madre inglese) terzino destro Ernesto De Galleani fa parte di una famiglia di industriali, per lui il calcio è un hobby e dopo un’altra stagione con il Genoa va in Scozia per studiare economia. Il mediano, anche lui genovese, Fausto Ghigliotti fa lo spedizioniere. Il centromediano Enrico Pasteur viene da una famiglia alto borghese e negli anni successivi sarà di fatto uno dei fondatori della pallanuoto in Italia. Il mediano Ettore Ghiglione è un ricco commerciante. L’ala John Quertier Le Pelley è un dirigente d’azienda, diventerà un armatore. La mezzala Silvio Bertollo farà l’imprenditore in mezzo mondo. Borghesi e non certo piccoli anche il centrattacco svizzero Henri Dapples e la mezzala Giovanni Bocciardo. Alla fine quello socialmente più in basso è proprio Spensley, grande intellettuale ma in pratica medico stipendiato dal governo inglese. Di sicuro è interessante notare come il calcio cittadino in Italia sia ancora qualcosa di elìte, a livello di pratica (tutti hanno più o meno un qualche legame con l’Inghilterra, magari solo per via di un viaggio) ma anche di spettatori. Leggermente diversa la situazione in provincia, ma rimane il fatto che nella considerazione comune questo sport sia ancora una simpatica novità proveniente dall’estero: meritevole di poche righe sui giornali e incapace di scatenare la fantasia popolare come ad esempio fa il ciclismo. (7-continua) Stefano Olivari stefano@indiscreto.it

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