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L'Italia parolaia degli Agnelli

La richiesta di restituzione di due scudetti, avanzata dal presidente della Juventus, non è solo un espediente per caricare i tifosi ma è anche rivelatrice di una mentalità non solo calcistica. Quella secondo cui l'importante, a prescindere dall'argomento, è parlarne...

Redazione

01.11.2010 ( Aggiornata il 01.11.2010 11:07 )

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Il caso calcistico della settimana è l'annuncio di Andrea Agnelli che la Juve ri-chiederà i due scudetti scucitile da Calciopoli. Perché ce ne occupiamo noi che, indegnamente, raccontiamo i mass media su questo blog? Perché ci pare un ottimo esempio di come funzionano i mass media, anzi l'intera comunicazione, e probabilmente non solo quella sportiva. E Agnellino (in senso onomastico, non certo metaforico), cresciuto in una famiglia che i mass media ha sempre saputo destreggiarli e a volte pure possederli, lo sa bene. Perché cosa c'è di diverso tra questo proclama e quello di un presidente che a giugno annuncia l'ingaggio di Kakà, o Messi? Nessuna. In entrambi i casi chi lo dice è il primo a sapere che non ha chance di farcela. Chi promette il campione è perché è incedibile o costa troppo. Agnelli che promette gli scudetti perché dice "una volta accertata la correttezza della Juventus", quindi mai, "potremmo richiedere", quindi non lo faranno. E allora perché le dicono? Perché in Italia (ovunque, ma soprattutto in Italia) non serve fare le cose: basta dirle. Riforme: quante ne avete sentite di annunciate su cui ci si è scannati a sangue? Mille. Quante ne sono state fatte? Zero virgola. Gli acquisti di mercato non vanno fatti, vanno annunciati per creare entusiasmo tra i tifosi, vendere abbonamenti allo stadio e a SKY, riempire i giornali. Poi non arriveranno né Kakà né Messi? Pazienza: è colpa di un complotto, della crisi economica, del procuratore (specie se è Raiola), del mondo che odia la nostra squadra, dell'altrui scorrettezza, della sorte avversa e ria. Ma intanto Kakà e Messi li hai sentiti tuoi, per un po'. Idem i due scudetti, che non c'è mezza chance che la Juve riveda: intanto però si tiene buona la piazza, si crea entusiasmo, si sogna quella quota 29 che sul campo arriverebbe dopo l'Expo di Milano del 2015. Quando la realtà e la Figc diranno di no, si potrà sempre fare un po' di casino in più e magari avere qualche rigore qua e là. Fossero vere, cioè sincere e con un minimo rapporto con la realtà, queste parole meriterebbero la canea di critiche, stigmatizzazioni e amare considerazioni sulla Juventus che hanno scatenato. Ma, appunto, siamo in un Paese dove le parole non contano neanche per il loro significato, dove - per la più semplice delle leggi del mercato - hanno totalmente perso di valore, tante se ne producono. Livio Balestri telecommando@hotmail.it

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