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La fine della NBA

Il commissioner Stern e la maggioranza dei proprietari stanno combattendo contro l'associazione giocatori per avere dal 2011 un tetto agli ingaggi che sia a prova di furbate. Battaglia dura, perché il vero nemico sono le squadre di quelle città per cui di fatto il tetto non esiste...

Redazione

27.10.2010 ( Aggiornata il 27.10.2010 17:04 )

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Al di fuori dei tecnicismi, nella NBA la differenza fra l'hard cap vagheggiato dalla maggior parte dei proprietari e la situazione attuale è una sola: la fine delle eccezioni, tutte peraltro codificate, ma soprattutto la fine della luxury tax che può far pensare al miliardario della situazione 'Ma cosa sono per me 20 milioni di dollari?'. Per non dire di altri meccanismi, di cui Berlusconi e Borsano non detengono l'esclusiva, anche se il concreto rischio carcere rende la virtuosità media più alta. Per la verità non è un'idea solo del miliardario ma anche di chi opera in città in grado di creare un indotto che renda accettabile lo sforamento del cap. In base alle dichiarazioni non è un caso che da una parte della barricata ci siano i Los Angeles Lakers di Jerry Buss (il più alto payroll della lega, 92 milioni di dollari e rotti) e dall'altra i piccoli mercati insieme a chi vuole tirare a campare. Al bar noi appassionati opponiamo al tifoso del calcio, appagato dai suoi eterni Milan-Juve, Manchester United-Chelsea o Inter-Roma, l'idea di un sistema che permette a chi lavora bene di battere chi ha quasi solo i soldi (il decennio meraviglioso di San Antonio, rapportato all'America equivarrebbe a un grande decennio del Grosseto con quattro Champions League alzate: e una volta, fra Forest e Villa, la realtà non era poi molto distante) ma purtroppo è da qualche anno che questo sistema non funziona. L'onestà non è un dato immutabile o geneticamente americano, un gm molto amico e il finto scontento di un giocatore possono superare qualsiasi regola. Il modo in cui sono stati costruiti i Lakers e i Celtics attuali è in questo senso illuminante, per non parlare dei consigli di 'non scelta' dati dagli agenti e dalla utile (e togliattianamente idiota) Europa che fa da camera di compensazione di situazioni contrattuali strane in attesa di diventare a tutti gli effetti una terra di farm team o una NCAA di giocatori pagati (cioé pagati più di quanto li paghino certe università). E quindi? Se non passa il cap senza eccezioni la sconfitta non sarà solo di Stern ma di tutto il nostro giocattolo preferito: ieri abbiamo versato il dazio di 116 euro per League Pass, siamo felici che in extremis Sky ci faccia vedere tutto su schermo grande in attesa di capire la programmazione di SportItalia, ma bisogna ammettere che con l'assetto economico attuale ci sono cinque squadre di troppo. Pensieri che non vengono in mente guardando l'ultimo Heat-Celtics (grande LBJ, ma in certe fasi Wade lo è stato a guardare come un vecchio gregario dei Cavs), visto che alle soglie della mezza età l'importante è che ci sia ancora qualcuno capace di farci sognare. Stefano Olivari

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