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Serie A, il vero miracolo della pallacanestro italiana

Serie A, il vero miracolo della pallacanestro italiana

Redazione

21.01.2016 ( Aggiornata il 21.01.2016 18:33 )

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Il successo di pubblico della serie A di pallacanestro, ma anche della A2 soprattutto in certe piazze storiche, è il vero miracolo italiano. Perché siamo nel 2015, con la possibilità di vedere ogni partita NBA che vogliamo, fra Sky e League Pass, per non parlare dell'Eurolega. Quindi i 3.798 spettatori di media del girone di andata, con picco di 8.541 a Milano, sarebbero un motivo di autocelebrazione ben superiore al torneo preolimpico che ospiteremo a Torino a luglio (lì a Petrucci è bastato pagare, con soldi pubblici). Siamo in calo rispetto ai 3.977 della scorsa stagione regolare, e circa 400 unità sotto rispetto ai picchi di inizio anni Novanta, ma assolutamente a livelli da anni Ottanta quando, va ricordato, si riusciva al massimo a televedere una partita NBA alla settimana e soprattutto nella pallacanestro italiana giravano soldi veri. Questa è una serie A di livello medio scadente rispetto anche soltanto a quella di inizio millennio (che viaggiava sotto le 3.000 presenze medie), quindi con la sentenza Bosman purtroppo già operativa, per colpe proprie ma anche perché, semplicemente, ci sono meno giocatori decenti disponibili sul mercato in confronto agli anni d'oro: rispetto agli anni Ottanta la NBA ha 7 squadre in più e una lega di sviluppo che è un'opzione sempre più credibile per chi coltivi il sogno, per non parlare della quantità di campionati che adesso si contengono le briciole rimaste. Certo nessuno obbliga a tenere il mercato sempre aperto, tamponando piccoli infortuni ed errori di valutazione con ingaggio di stranieri a gettone, ma in ogni caso la qualità media non potrebbe essere quella di un tempo ed è inutile rimpiangere il passato. Le riflessioni da fare sono quindi quattro. La prima è che non esiste l'appassionato di pallacanestro italiana, ma resiste invece alla grande il tifoso. A provarlo sono i modestissimi risultati di audience delle partite trasmesse da Sky o da RaiSport, sempre proporzionali al bacino di utenza delle squadre in campo. Di Trento-Pistoia importa soltanto a Trento e Pistoia, così come di Milano-Torino, soltanto che Milano e Torino hanno qualche abitante in più e quindi producono numeri televisivi leggermente migliori. In questo senso una sciagura l'autoretrocessione di Roma, che però era in totale crisi con il suo pubblico 'fisico'. La seconda riflessione da fare è che quasi tutti i personaggi trasversali, conosciuti non soltanto dai tifosi o dagli appassionati, giocano all'estero: Gallinari, Bargnani, Belinelli, Hackett, Datome (anche Melli, però meno popolare). Di riconoscibile da parte del normale calciofilo c'è forse solo Alessandro Gentile... La vera differenza rispetto al passato è questa, ma non incide più di tanto su chi frequenta i palazzetto. La terza riflessione è che delle 16 squadre di serie A soltanto Milano, Torino e Bologna hanno la concorrenza cittadina del calcio, bisogna tenerne conto prima di fare del trionfalismo. La quarta è che l'età media degli impianti è molto alta, quasi tutti sono degli anni del boom, ma che questo non incide più di tanto sull'affluenza. Conclusione: la pallacanestro è nella cultura italiana molto più di quanto non si creda, al punto da avere creato da noi due pubblici quasi distinti. Molti tifosi 'veri' di squadre italiane seguono poco la NBA, quasi per sentito dire, mentre la maggioranza dei fan italiani di NBA deride chi si infiamma per un basket che senza il doping del tifo sarebbe quasi inguardabile. Twitter @StefanoOlivari

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