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Italia-Lituania, penultimo treno perso dalla generazione NBA

Italia-Lituania, penultimo treno perso dalla generazione NBA

Redazione

17.09.2015 ( Aggiornata il 17.09.2015 10:48 )

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Come nel 2013 le speranze europee della Nazionale di basket si sono scontrate con la realtà dei quarti di finale e di una Lituania inferiore come somma dei valori dei singoli, pur avendo in squadra Valanciunas, ma non certo come squadra. Peccato perché i successi dell'Italia permettono di intercettare quel pubblico generalista che gli sport diversi dal calcio faticano sempre a coinvolgere, ma peccato anche perché, come ha detto a caldo con molta lucidità Danilo Gallinari, gli anni passano. E questa generazione di enorme talento, nelle sue punte (Bargnani classe 1985, Belinelli 1986, Gallinari 1988) superiore a quelle degli ori europei del 1983 e del 1999, in quasi un decennio non è mai riuscita a fare il passo decisivo verso l'alto. L'Europeo prima... europeo e poi francese era il penultimo treno per la storia, se non proprio per la gloria: diciamo penultimo perché l'ultimo sarà il torneo preolimpico a cui l'Italia parteciperà senz'altro, anche se non dovesse classificarsi nelle prime sette, visto che uno dei tre gironi dovrebbe essere organizzato proprio dalla FIP di Petrucci. La qualificazione per Rio rimane difficilissima, nessuno si illudeva di arrivare alla finale di Lille che avrebbe dato la qualificazione diretta per i Giochi, ma una squadra piena di talento offensivo come quella azzurra non parte battuta contro nessuno. Abbiamo detto 'talento offensivo' e la chiave dell'ennesima delusione è tutta qui: per la prima volta dall'inizio (2010) della sua gestione Simone Pianigiani ha avuto a disposizione i tre tenori in condizioni fisiche accettabili, anche se nel corso delle settimane piccoli infortuni hanno minato le certezze, più un Gentile stracarico, il neo-umile Hackett, Datome a fare da collante più psicologico che tecnico, Cinciarini, Aradori, Melli e Cusin specialisti, Della Valle e Polonara panchinari coscienti del ruolo. Le premesse erano buone, guardando a chi gioca nella NBA la nostra era l'unica squadra senza defezioni (e anche una delle poche oneste, senza americani naturalizzati più o meno tarocchi) e fin dalle amichevoli di preparazione si è visto che tutti hanno rinunciato a parte del proprio ego rispettando i 'momenti' del compagno più caldo. Merito dell'intelligenza dei giocatori ma anche di Pianigiani, che invece è criticabile sul piano tecnico: l'Italia non ha mostrato regole difensive affidabili (in particolare sul pick and roll centrale), non ha una parvenza di gioco di post basso che consenta di dare equilibrio all'attacco e un metro di spazio ai tiratori, non ha nemmeno un vero playmaker: il fenomeno di turno, detto senza ironia, con la palla in mano partiva in palleggio e creava per sé o per i compagni. Hackett e Cinciarini non sono esattamente Tony Parker e nemmeno Aldo Ossola, per citare un grandissimo al servizio di chi doveva segnare, ma considerarli quasi solo specialisti difensivi non è stata una buona idea. A volte è andata bene, in un caso benissimo, in altre male, ma un attacco fatto di invenzioni prima o poi si inceppa se non ci sono gerarchie (troppe situazioni da fermo per Belinelli, troppo pochi i palloni pesanti dati da gestire a Gallinari). Non sono mai mancate intensità e concentrazione, invece, che in molti momenti (specie con la Spagna) si sono trasformate in una difesa più che accettabile: in questo senso Bargnani ha con orgoglio risposto sul campo ai suoi tanti detrattori, pur tirando male. Conclusione? Pianigiani ha convocato e motivato nel modo giusto i migliori italiani possibili, che sul piano morale non lo hanno certo tradito. Altra cosa il discorso tecnico: lo status dei giocatori gli ha di fatto impedito di allenarli, lui che a Siena era un buon allenatore dell'attacco (alla difesa pensavano Banchi e Stonerook) ha notato di certo che la palla si muoveva poco ma più di tanto non ha potuto fare. Non è un fallimento, come magari la logica calcistica farà dire a qualcuno che ignora la storia degli ultimi 25 anni: se prima arrivare quarti dietro a URSS, Jugoslavia e Spagna era una delusione, adesso con dieci nazionali competitive in più (la Lituania, per dirne una) essere sesti o settimi non è una vergogna. Insomma, l'oro di Tanjevic aveva un peso specifico superiore a quello di Gamba. I fallimenti ci sono senz'altro stati anche nella storia recente, basti pensare al 2011 o anche al Recalcati post argento olimpico, ma questo è soltanto l'ennesimo risultato inferiore al potenziale. Chissà quando mai riavremo tanti giocatori di talento tutti insieme. Esonerare l'allenatore, tanto per andare direttamente sul bar, avrebbe senso soltanto se al suo posto arrivasse qualcuno con il carisma e la storia personale per imporre il gioco ai giocatori. Messina? D'Antoni? Forse una Lituania in missione, equilibrata ed ispirata in attacco (54,3% da due e un incredibile 61,1% da tre) non l'avrebbero battuta nemmeno loro. Twitter @StefanoOlivari

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