        Zib&igrave; Boniek. Il Bello di Notte per Gianni Agnelli, il polacco dei sogni per Dino Viola, che tanto lo avrebbe voluto gi&agrave; ai tempi del secondo scudetto. Un doppio ex che ha vinto con la Juventus e si &egrave; innamorato poi della Roma tanto da rimanerci a vivere per anni. Uno dei giocatori pi&ugrave; forti che hanno mai giocato nel nostro campionato e che oggi &egrave; vicepresidente della Uefa. In carriera ha ricoperto tutti i ruoli: &laquo;Giocavo da seconda punta, ai Mondiali del 1982 ho fatto la prima punta. Nasco da centrocampista, ma nella Roma ho fatto anche il libero&raquo;. 157 presenze e 31 gol in campionato per Zib&igrave;, che ha il grande rimpianto di non aver giocato la semifinale della coppa del Mondo 1982 contro l&rsquo;Italia. &laquo;Anche se contro Paolo Rossi in quelle condizioni avrei potuto poco&raquo;, avverte subito. Erano gli anni di una Serie A che viveva gli epici scontri tra Juventus e Roma in stadi sempre gremiti e con tutti gli occhi di Europa addosso. Zib&igrave; quelle sfide le ha vissute da entrambe le parti. Tra il 1982 e il 1985 in bianconero e nei successivi tre anni, fino al 1988, in giallorosso. Il Widzew Lodz&nbsp;ad aprile lo cede alla Juve per 2 miliardi e 300 milioni e Boniek diventa il primo polacco della Serie A insieme al compagno di nazionale Zmuda che finir&agrave; al Verona. Ma qualche giorno prima era stata la Roma a essere stata a un passo dal campione&nbsp; Quindi poteva essere romanista in anticipo?&nbsp; &laquo;Era tutto fatto, avevo firmato e parlato pi&ugrave; volte con Viola. Ma la Polonia era strana, perch&eacute; la decisione per il trasferimento doveva arrivare dal Ministro dello Sport, che non era d&rsquo;accordo con il pagamento rateizzato proposto dalla Roma e prefer&igrave; mandarmi alla Juventus. Ma con Viola ci eravamo promessi di risentirci alla fine del mio contratto. A 5 mesi dalla scadenza l&rsquo;ho chiamato e gli ho detto: &ldquo;Si ricorda della mia promessa di tre anni fa? Se lei &egrave; ancora interessato vengo da voi&rdquo;. E fu cos&igrave;. &Egrave; stata una bella scelta per me e la mia famiglia&raquo;. Come &egrave; stato il suo impatto in Italia?&nbsp; &laquo;Mi trovai subito bene a Torino perch&eacute; appena arrivai nello spogliatoio trovai dei campioni, sorridenti e disponibili. Al primo allenamento chiesi a Zoff se dovevo dargli del tu o del lei. Lui mi guard&ograve; e sorrise. Abbiamo vinto tanto insieme, era una Serie A fortissima. La Juve l&rsquo;avevo affrontata spesso da avversario e non aveva bisogno di presentazioni&raquo;. Momenti negativi? &laquo;Con la Juve ho vinto tanto anche se ci sono due episodi che non si possono dimenticare: le due finali di Coppa dei Campioni. All&rsquo;Heysel nessuno di noi voleva giocare. Ci guardavamo negli occhi smarriti, non sapevamo quanti morti ci fossero e si sentiva un silenzio assordante. L&rsquo;ho scoperto solo sull&rsquo;aereo di ritorno quando me lo disse il pilota. Fu una mazzata. E poi la finale persa con l&rsquo;Amburgo con 60mila persone in lacrime, me le ricordo ancora. Un grande dispiacere&raquo;. Poi il passaggio alla Roma. &laquo;Il mio impatto con la Roma fu fantastico, venivo da tre anni di dura disciplina con Boniperti. Mi ricordo che il primo giorno di ritiro Eriksson ci disse di fare una corsa lenta. Ad un certo punto per&ograve; questa corsa &egrave; diventata quasi una camminata, continuavo ad andare, mi girai e non era rimasto nessuno e sento Pruzzo che mi grida: &ldquo;A polacco ma che sei venuto a fare qua, la carriera?&rdquo;. Era una squadra fantastica: Conti, Ancelotti, Cerezo e ragazzi giovani come Desideri, Giannini. In attacco c&rsquo;erano Graziani e Pruzzo. Quella del 1985-1986 &egrave; stata la squadra pi&ugrave; forte con cui ho giocato in vita mia&raquo;. A cui purtroppo &egrave; sfuggito lo scudetto. &laquo;Eriksson era un bravissimo allenatore ma all&rsquo;epoca era molto giovane. Ha perso molto tempo a capire questa squadra, a studiare come metterla in campo e siamo partiti con un po&rsquo; di ritardo. Ma lo scudetto ce l&rsquo;avevamo comunque in tasca. Ho ancora i bruciori di stomaco se ripenso a Roma-Lecce all&rsquo;Olimpico. Vincevamo uno a zero e, se l&rsquo;arbitro non ci avesse annullato un gol per un fuorigioco inesistente, saremmo andati avanti di due gol. Poi non so cosa accadde ma ci fecero tre gol e ci stesero. Incredibile&raquo;. Cosa si prova a giocare uno Juventus-Roma da ex? &laquo;Prima erano partite totalmente diverse, c&rsquo;era un altro spirito. Non hanno lo stesso valore emotivo di un tempo. Devo dire con sincerit&agrave;: &egrave; una gara che si sente pi&ugrave; a Roma che a Torino. Quando ero alla Juventus eravamo pi&ugrave; focalizzati nel vincere in Europa, mentre a Roma ho capito che giocare contro la Juve &egrave; una cosa speciale. Affronti quella che &egrave; la squadra probabilmente pi&ugrave; &ldquo;odiata&rdquo; dall&rsquo;ambiente&raquo;. I ricordi pi&ugrave; forti di quelle sfide? &laquo;Mi ricordo, quando ero in bianconero, una rete spettacolare in mezza rovesciata di Roberto Pruzzo a Torino. Anche noi avversari andammo ad applaudirlo, ammirati. Poi nel primo match da giallorosso ricordo il 3 a 0 rifilato alla Juve all&rsquo;Olimpico, una delle partite migliori che abbia mai giocato. Infine mi diverte sempre ricordare la faccia di Platini quando, dopo pochi secondi, gli entrai in modo abbastanza deciso&hellip; &Egrave; una gara che ha tutto dentro, ma non mi sono mai sentito anti-juventino come qualcuno ha detto e scritto. Mi sono solo trovato meglio a Roma, tutto qui&raquo;. &nbsp;       

Il polacco ha vissuto la gara da entrambi i lati della barricata: &laquo;Era pi&ugrave; sentita nella Capitale, giocarla &egrave; stata un&rsquo;esperienza unica, oggi non c&rsquo;&egrave; pi&ugrave; quello spirito&raquo; &nbsp;

Juventus-Roma, Zibì Boniek e i ricordi di una sfida infinita

        Raccontare l'evoluzione del calciomercato in Italia negli anni '70 e '80 non vuol dire soltanto parlare di calcio e delle trattative che indirizzarono i destini nella nostra Serie A; sullo sfondo c'&egrave; molto di pi&ugrave;: in controluce si pu&ograve; cogliere la mutazione della societ&agrave; tra la fine degli slanci ottimistici dell'ultima fase del boom economico e l'edonismo consumistico e disimpegnato che caratterizz&ograve; gli anni '80, con in mezzo il periodo delle tensioni sociali e della conseguente deriva terroristica. Un catalizzatore popolare qual &egrave; sempre stato il calcio nel nostro Paese non poteva non riflettere le mutazioni in atto nella nostra societ&agrave;, e il calciomercato, in particolare, era la cartina di tornasole di quanto e come il mondo del pallone stesse subendo una sorta di mutazione genetica. Si passava infatti da una realt&agrave; tutto sommato artigianale, laddove sul proscenio delle compravendite si alternavano personalit&agrave; geniali a livello dirigenziale e figure grossolane caratterizzate da un imbarazzante dilettantismo, a una dimensione che potremmo definire gi&agrave; industriale, soprattutto se pensiamo ai club del circuito metropolitano.  I primi miliardi spesi&nbsp;  Nel nostro speciale, in mezzo alle tante istantanee di un album delle figurine quasi infinito, che animava e agitava le notti di ogni tifoseria tra sogni e incubi, raccontiamo anche il moltiplicarsi dei soldi, letteralmente: quelli che di estate in estate erano sempre pi&ugrave; paragonabili ai proverbiali bruscolini. Basti pensare all'estate del 1975, quella dei due trasferimenti simbolo di questo discorso: Tardelli dal Como alla Juve e Beppe Savoldi dal Bologna al Napoli per la cifra, allora davvero iperbolica, di due miliardi di lire. Il gran rifiuto di Riva alla Juve  Dietro le grandi trattative che hanno riguardato giocatori importanti e anche autentici fuoriclasse, non abbiamo potuto non citare colui che, prendendo in prestito un verso della Commedia di Dante, fece il "gran rifiuto", reiterandolo in pi&ugrave; di un'occasione. Ci riferiamo a Gigi Riva, al suo ripetuto "no, grazie" di fronte alle munifiche offerte degli squadroni del Nord. Un primato ineguagliabile per fascino, appartenenza, orgoglio devoluto a un intero popolo. La riapertura delle frontiere  Ecco che allora arriviamo all'inizio degli anni '80, con la riapertura delle frontiere per i calciatori stranieri. Ve li raccontiamo tutti, ma proprio tutti, con il dettaglio delle trattative per mezzo delle quali fu reso possibile il loro arrivo nella nostra Serie A e capiranno i lettori, forse in primis i pi&ugrave; giovani, che quell'epoca non l'hanno vissuta, quale fosse l'inarrivabile dimensione tecnica del massimo campionato di calcio nel nostro paese, a met&agrave; degli anni '80. Campioni, bidoni e... Oronzo Can&agrave;  Gi&agrave;, ma perch&eacute; allora in prima pagina abbiamo messo Luis Silvio, il bidone dei bidoni, che soltanto per un'estate nutr&igrave; le ambizioni dei tifosi della Pistoiese? Perch&eacute; ogni medaglia ha il suo rovescio e perch&eacute; alla letteratura popolare che narra l'arrivo dei tanti fuoriclasse se ne sovrappone un'altra, non meno affascinante, che "celebra" l'arrivo di giocatori a volte indiscutibilmente scarsi o addirittura tecnicamente improponibili, ai cui agenti bast&ograve; il nome esotico dei propri assistiti per gabbare dirigenti ignari e strappare ingaggi sontuosi. Non &egrave; un caso che, in pi&ugrave; di un articolo tra quelli che troverete nel nostro speciale, venga citato "L'allenatore nel pallone", pellicola ormai mitologica in cui l'ineffabile presidente della Longobarda Borlotti tentava di convincere l'allenatore Oronzo Can&agrave; che la cessione di Falchetti e Mengoni sarebbe servita a ottenere la met&agrave; di Giordano, per poi avere i tre quarti di Zico e&hellip;buona lettura.        

Dal gran rifiuto di Riva alla riapertura delle frontiere che port&ograve; in Italia frotte di campioni e bidoni, un viaggio nel tempo e nei sogni dei tifosi

Calciomercato story anni '70 e '80: la rivoluzione del pallone

I grandi rifiuti, come Riva che dice no ai club del nord per rimanere a Cagliari; i primi affari milionari, come Savoldi e i 2 miliardi; i colpi clamorosi, da Maradona al Napoli a Zico all'Udinese. I decenni degli anni Settanta e Ottanta hanno dato vita a un calciomercato che ha fatto gioire e disperare tifosi e presidenti. E per questo, passato alla storia

PODCAST - Calciomercato story anni '70 e '80 in Serie A

Nei due decenni tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta la Serie A accoglie dei nuovi acquisti che hanno fatto storia: Maradona fa godere Napoli, Udine sogna con Zico, Platini veste la maglia della Juventus. Ma sono anche anni di bidoni, come Eneas al Bologna. Ecco i cambi di maglia più famosi di quell'epoca

4 risultati per 'anni 80'

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Calciomercato Story: top e flop degli anni '70 e '80