        &Egrave; il 14 luglio del 1979. Una di quelle estati senza Europei n&eacute; Mondiali nelle quali ricaricare appieno le energie fisiche e mentali. Una di quelle giornate che scivolano verso l&rsquo;inizio di una nuova stagione. Magari sentendo la musica che passano le stazioni radio in FM. In quel periodo Miguel Bos&egrave; impazza con un singolo frizzante come Super Superman. E forse &egrave; proprio quella la canzone che ascolta Sepp Maier nel percorso che sta facendo in macchina nella sua amata Baviera. Maier, il superman tedesco  In quel momento chi, pi&ugrave; di lui, &egrave; il superman del calcio tedesco? Maier &egrave; il portiere pi&ugrave; forte della Germania Ovest, titolare inamovibile della nazionale e del Bayern Monaco. E il suo ruolo, pi&ugrave; dei difensori, dei centrocampisti e degli attaccanti, &egrave; quello che meglio si presta all&rsquo;accostamento con il supereroe col mantello che nella vita di tutti i giorni fa il giornalista. La reattivit&agrave; muscolare, l&rsquo;elasticit&agrave; dei movimenti, il colpo d&rsquo;occhio necessario per intuire le situazioni di pericolo sono le qualit&agrave; che l&rsquo;ormai trentacinquenne Sepp dimostra ancora ogni volta che scende in campo. Col suo club l&rsquo;ha fatto per 473 partite di campionato; con la Mannschaft, invece, le gare disputate sono 95. La sua maglia azzurra a maniche lunghe &egrave; un&rsquo;icona del calcio anni Settanta, un indumento che, abbinato ai pantaloncini neri, &egrave; una sorta di divisa che, proprio come quella di Superman, sembra conferirgli dei poteri speciali. Talmente utilizzata dal portiere bavarese che anche gli artigiani che dipingono a mano i giocatori del Subbuteo non possono esimersi dal replicarla nella squadra dei bianchi della Germania Ovest.   Tra professionalit&agrave; e risate  A valutare le apparenze, come il personaggio della Marvel, anche Maier sembra avere una doppia personalit&agrave;. Ritratto nelle foto di gioco, allineato con i compagni in mezzo al campo nell&rsquo;ascolto degli inni nazionali o intento a dare disposizioni sulle marcature degli avversari, i suoi lineamenti si induriscono in uno sguardo tipicamente teutonico che potrebbe essere quello di un sagrestano attento nell&rsquo;applicazione rigida delle direttive del suo parroco. Nella vita di tutti i giorni, in realt&agrave;, Sepp &egrave; un burlone che ama divertirsi. Memorabili, in questo senso, gli scherzi che fa durante i ritiri. Come quella volta che, intrufolatosi sotto il tavolo della sala da pranzo, leg&ograve; i lacci delle scarpe dei compagni che, quando si alzarono per servirsi al buffet, recitarono involontariamente un buffissimo sketch. Un&rsquo;altra volta fece uscire dalla borsa del dottore un coniglio. E anche in campo lasci&ograve; intuire il suo lato giocoso. Avvenne durante un match tra il suo Bayern e il Bochum, quando sul perimetro di gioco irruppe un&rsquo;anatra: non esit&ograve; un attimo ad inseguirla per provare a prenderla, regalando un divertente fuori programma agli spettatori.   I nuovi guanti da portiere  Di Superman sembr&ograve; assumere i superpoteri quando, di fatto, invent&ograve; la nuova generazione di guanti per i portieri, frutto della dedizione che Sepp dimostrava in allenamento come in partita. Dalla sua attenzione verso i dettagli arrivarono i suggerimenti per Gebhardt Reusch, il titolare dell'azienda che produceva i suoi, per mettere sul mercato i primi guantoni da portiere in schiuma di lattice cuciti su ogni dito, che riuscivano davvero ad avere presa sul pallone di cuoio. Quei nuovi strumenti rendevano pi&ugrave; efficaci le parate che Maier faceva ininterrottamente da quando, ancora ragazzino, aveva lasciato il suo iniziale ruolo di ala ed era stato spostato tra i pali per diventare un vincente, in nazionale come nel Bayern Monaco. Per un decennio lui, Franz Beckenbauer e Gerd Muller costituirono l&rsquo;asse centrale di due squadre leggendarie. Con la Mannschaft, Maier aveva preso parte al suo quarto mondiale nel 1978 per difendere il titolo di campione del mondo conquistato quattro anni prima proprio a Monaco di Baviera, dopo essere gi&agrave; stato campione d&rsquo;Europa nel 1972 ed aver partecipato in Messico alla partita del secolo contro l&rsquo;Italia. Alla spedizione del 1966 in Inghilterra era stato aggregato come giovane portiere di riserva. Con i bavaresi il suo palmares si era arricchito a dismisura, tra campionati e coppe nazionali, tre Coppe dei Campioni, un&rsquo;Intercontinentale e una Coppa delle Coppe. Non erano mancati nemmeno i riconoscimenti individuali, come il premio per miglior giocatore del campionato tedesco occidentale (1975, 1977 e 1978) e il record, tutt&rsquo;oggi imbattuto, di 422 partite consecutive disputate in Bundesliga.    L&rsquo;incidente e il ritiro  Insomma, Maier era davvero un superman del calcio. E il 14 luglio 1979, prima di essere coinvolto in un drammatico incidente stradale, a tutto pensava tranne che la sua carriera fosse sul punto di interrompersi. Uno come lui, un metro e ottantaquattro centimetri distesi su un corpo ancora integro, avrebbe potuto continuare a giocare per dare filo da torcere a colleghi pi&ugrave; giovani o anche pi&ugrave; anziani (Zoff, all&rsquo;epoca, lo sopravanzava di due anni e ancora non aveva vinto il mondiale). Ma come il destino, tanti anni prima, aveva scelto di dirottarlo dalla fascia alla porta, quel giorno d&rsquo;estate decise che per lui, almeno tra i pali, la storia era finita. Quel terribile incidente d&rsquo;auto gli lasci&ograve; la vita ma gli tolse definitivamente i guantoni: troppi i danni da riassorbire, eccessivi i rischi da correre nell&rsquo;eventualit&agrave; di un ritorno in campo. Superman aveva smesso di volare. Non gli restava che voltarsi indietro per contemplare la sua carriera con uno dei sorrisi che sapeva suscitare e che, come quelli dei migliori clown, nascondeva una lacrima di malinconia. &nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp; &nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;       

Con Franz Beckenbauer e Gerd Muller, Il portiere fu tra i protagonisti dei successi del calcio tedesco degli anni Settanta. Famosi anche gli scherzi che organizzava nei ritiri

Maier, un superman tra i pali di Bayern e Germania Ovest

        Bayern Monaco-Paris Saint-Germain, un grande classico ormai del calcio europeo, di recente anche una finale di Champions League, nel 2020. Due squadre con grandi campioni a caratterizzare le rispettive storie, inclusi giocatori passati dal campionato italiano. Siamo andati a recuperare i migliori. Bayern Monaco e Psg, Palloni d'Oro La prima volta che Bayern e Psg si trovano di fronte &egrave; nella Champions League 1994-95, nella fase a gironi. I francesi sono leggermente superiori ai bavaresi, in un periodo contraddittorio per il calcio transalpino, in realt&agrave;. Per&ograve; davanti hanno un giocatore formidabile, un attaccante liberiano capace di fare quasi tutto: si chiama George Weah e attualmente &egrave; il presidente del suo paese. Attaccante forte di testa, ambidestro e creativo, risolve la partita di ritorno con un destro all'incrocio dopo una serie di dribbling degno pi&ugrave; di un fantasista che di un numero 9. Arriver&agrave; fino alla semifinale, quel Psg, e Weah al Milan, oltre che al Pallone d'Oro l'anno successivo. Il Bayern invece &egrave; una squadra in cui la stella &egrave; il vecchio Lothar Matthaeus, a proposito di Pallone d'Oro: non &egrave; pi&ugrave; un trequartista debordante, ma il libero nel 5-3-2 schierato da Giovanni Trapattoni. Sulla fascia sinistra un laterale molto promettente che arriver&agrave; anche in Italia, pure lui al Milan, ma far&agrave; pochino, e cio&egrave; Christian Ziege. Bayern Monaco e Psg, le meteore Come Ziege, che comunque uno scudetto lo vincer&agrave;, altri giocatori provenienti da Bayern Monaco e Paris Saint-Germain arriveranno in Italia portati dal blasone, rivelandosi dei mezzi o dei completi flop. Un nome su tutti, Carsten Jancker, colossale attaccante dei bavaresi e della nazionale che viene preso dall'Udinese nel 2002 e lascer&agrave; il Friuli due anni dopo, segnando &ldquo;la bellezza &ldquo;di 3 gol totali in 41 presenze. Uno in pi&ugrave; di quelli segnati in un'unica partita, Bayern Monaco-Psg della fase a gironi della Champions League 1997-98 (5-1 per i tedeschi). Psg che non era la squadra dominante di oggi e che ogni tanto lasciava andare qualche giocatore verso lidi "ricchi" come era la Serie A dell'epoca: da Bravo, direzione Parma, ad Algerino, terzino destro che passer&agrave; come una meteora al modesto Venezia nella prima met&agrave; del campionato 2001-02. Non un bidone, ma un giocatore che avrebbe potuto dare di pi&ugrave;, Stephane Dalmat, strappato giovanissimo al Psg dall'Inter nel 2001. Inter che si era gi&agrave; accaparrata qualche anno prima quel Ciriaco Sforza protagonista involontario dei film di Aldo, Giovanni e Giacomo. Bayern Monaco e Psg, epoca recente Al Bayern e al Psg, comunque, ci andavano gli italiani anche "veri", quando ancora i nostri non si spostavano tanto all'estero. Due nomi, uno a testa: Ruggiero Rizzitelli per i bavaresi, Marco Simone per i parigini. Poi purtroppo &egrave; stata la Serie A a farsi pi&ugrave; piccola, negli ultimi anni. E se andiamo a vedere la formazione del Psg contro il Bayern (Ancelotti ha allenato entrambe le squadre) nella fase a gironi della Champions 2017-18 c'&egrave; da strabuzzare gli occhi: Dani Alves, Thiago Silva, Marquinhos, Verratti, Thiago Motta e Cavani. Tutti acquistati da squadre italiane. E nel Bayern Monaco un ex Genoa come il terzino destro brasiliano Rafinha e due giocatori acquistati dalla Juventus, Vidal e Coman, che poi decider&agrave; con un suo gol la finale di Champions del 2020, quella post-chiusure per via della pandemia di Covid-19. Il mondo ribaltato, rispetto a due decenni prima. Bayern Monaco e Paris Saint-Germain, curiosamente, non hanno mai pareggiato nei precedenti scontri diretti.&nbsp;       

Moltissimi calciatori hanno giocato in queste due squadre prima o dopo aver militato nei club di Serie A. Allenatori compresi...

Da Rizzitelli a Weah: Bayern Monaco-Psg attraverso "gli italiani"

        &Egrave; la notte di mercoled&igrave; 7 marzo 2007, quando all&rsquo;Allianz Arena di Monaco si presenta il Real Madrid. In palio c&rsquo;&egrave; il passaggio ai quarti di finale della Champions League 2006-07. L&rsquo;andata &egrave; terminata 3-2 per le Merengues, grazie alla doppietta di Raul e al sigillo di Van Nistelrooy, reti mitigate dai gol di Lucio e Van Bommel, che hanno tenuto in corsa il Bayern Monaco.&nbsp; I gol pi&ugrave; veloci di sempre in Champions League Per passare il turno i bavaresi devono solo vincere: la partita si mette in discesa dopo soli 10 secondi e 12 centesimi di gioco. &Egrave; questo il tempo che Roy Makaay impiega per segnare il gol del vantaggio tedesco. La realizzazione lampo entra di diritto nella storia: &egrave; il gol pi&ugrave; veloce di sempre in Champions League. La rete dell&rsquo;olandese relega sul terzo gradino del podio di questa speciale classifica il nostro Alessandro Del Piero, che aveva impiegato appena 20 secondi e 12 centesimi per bucare Schmeichel a Old Trafford contro il Manchester United, nella seconda gara del girone dell&rsquo;edizione 1997-98. Pinturicchio verr&agrave; poi superato da Gilberto Silva, che sapr&agrave; anticiparlo di soli 5 centesimi, punendo il Psv in un match della fase a gironi 2002-03. Pintucchio uscir&agrave; dal podio nel 2011, quando Jonas del Valencia segner&agrave; al Leverkusen dopo soli 10,96 secondi, stabilendo cos&igrave; il terzetto a oggi definitivo: Makaay (10.12&rsquo;&rsquo;), Jonas (10.96&rsquo;&rsquo;), Gilberto Silva (20.07&rsquo;&rsquo;). L&rsquo;azione del gol di Makaay contro il Real Madrid L&rsquo;illogico nel gol lampo di Makaay al Real Madrid sta nel fatto che siano le stesse Merengues a battere il calcio d&rsquo;inizio. Dopo il fischio dell&rsquo;arbitro Michel la palla viene toccata indietro e allargata subito sulla sinistra per Roberto Carlos. Il terzino sbaglia il controllo e si fa prendere d&rsquo;infilata da Salihamidzic: due tocchi e servizio al centro verso Makaay che sta attaccando la profondit&agrave; in mezzo alle maglie bianche. All&rsquo;olandese arriva un pallone perfetto che, di prima intenzione, indirizza verso il secondo palo bucando Casillas. L&rsquo;Allianz Arena esplode di gioia, mentre Capello in panchina quasi non ci crede. L&rsquo;eliminazione del Real nell&rsquo;anno del Milan L&rsquo;avvincente confronto tra Bayern e Real si decider&agrave; nella ripresa, con il futuro interista Lucio a segnare il 2-0 su azione d&rsquo;angolo e Ruud van Nistelrooy ad accorciare su penalty a pochi minuti dal termine. Il rigore dell&rsquo;olandese non baster&agrave; ai Blancos: il 4 pari maturato tra andata e ritorno qualifica i bavaresi grazie alla regola dei gol in trasferta. Ai quarti di finale sar&agrave; il Milan di Ancelotti a vendicare Don Fabio, eliminando il Bayern nel cammino verso il trionfo che arriver&agrave; ad Atene. &nbsp;       

Il 7 marzo 2007 l&rsquo;olandese del Bayern Monaco segn&ograve; dopo soli 10 secondi e 12 centesimi nella sfida degli ottavi contro le Merengues stabilendo un nuovo record

Makaay e quel gol al Real, il più veloce di sempre in Champions League

        &ldquo;Lasciarti non &egrave; possibile. No lasciarti non &egrave; possibile&hellip;&rdquo;. Nel maggio 1976 c&rsquo;&egrave; un uomo solo al comando della classifica dei singoli pi&ugrave; venduti: Lucio Battisti. &ldquo;Ancora tu, ma non dovevamo vederci pi&ugrave;?&rdquo;. Il 12 maggio 1976, per la terza volta consecutiva, c&rsquo;&egrave; ancora il Bayern Monaco in finale di Coppa dei Campioni. I bavaresi arrivano a Glasgow da pluricampioni in carica: dopo il filotto compiuto dall&rsquo;Ajax di Johan Cruijff tra il 1971 e il 1973, hanno centrato due successi consecutivi. Il calcio tedesco domina il globo, grazie alla Germania Ovest campione del mondo &rsquo;74 e grazie soprattutto alla corazzata del Bayern che, oltre a catechizzare la pi&ugrave; importante competizione europea, ha donato a quella Nazionale l&rsquo;ossatura decisiva. Sepp Maier, Franz Beckenbauer, Uli Hoeness e Gerd Muller, quattro istituzioni calcistiche pi&ugrave; che semplici giocatori. Sono loro i protagonisti pi&ugrave; osannati nello straordinario ciclo del Bayern Monaco anni &rsquo;70. &nbsp; I primi due trionfi &nbsp; E pensare che questo ciclo incredibile ha rischiato il collasso almeno in due circostanze. La prima agli albori, quando i tedeschi allenati ancora da Udo Lattek affrontano gli svedesi del&rsquo;Atvidabergs nel primo turno 1973-74. L&rsquo;andata a Monaco termina 3-0, ma in Svezia la musica cambia: Beckenbauer e soci sono sotto 3-0. A 15 minuti dal termine Uli Hoeness segna il 3-1 che consente di passare un turno compromesso, grazie al brivido finale che solo la lotteria dei rigori pu&ograve; regalare. Da una quasi eliminazione con i modestissimi svedesi, alla coppa alzata al cielo pochi mesi pi&ugrave; tardi a Bruxelles contro l&rsquo;Atletico Madrid (finale giocata due volte: solo per l&rsquo;edizione 1973-74 il regolamento prevede la ripetizione in caso di parit&agrave;, senza usufruire di supplementari e rigori). L&rsquo;1-1 del 15 maggio viene spazzato via due giorni pi&ugrave; tardi dal netto successo del Bayern (4-0, doppiette di Hoeness e Muller), che diventa cos&igrave; la prima squadra tedesca a mettere le mani sulle grandi orecchie. Anche il bis &egrave; particolare: i bavaresi iniziano la stagione con un'umiliazione incredibile, perdendo addirittura 6-0 la prima partita di campionato contro il Kickers Offenbach. &Egrave; questa la seconda circostanza che mette a repentaglio un intero ciclo. Il disastroso avvio porta all&rsquo;esonero di Lattek, che a gennaio viene sostituito da Dettmar Cramer. Definito &ldquo;il padre del calcio giapponese&rdquo; - il suo lavoro in Oriente ha contribuito con decisione a innalzare definitivamente il livello calcistico nipponico -, Cramer non riesce a porre rimedio alla disastrosa situazione in Bundesliga (finir&agrave; decimo), mentre in Europa si conferma campione. A cadere nella finale del Parco dei Principi sono gli inglesi del Leeds United: 2-0 firmato Franz Roth e Gerd Muller.&nbsp;  &nbsp; &ldquo;Lasciarti non &egrave; possibile&rdquo; &nbsp; Il 12 maggio 1976, mentre Battisti pone una pietra miliare nella musica italiana e mondiale, il Bayern Monaco entra definitivamente nella leggenda. La corazzata guidata da Cramer pu&ograve; emulare il precedente ciclo dei Lancieri, unici insieme al Real Madrid - che ne vinse addirittura 5 consecutive nelle prime edizioni -, capaci di centrare il tris. La storia la scrive &ldquo;ancora lui&rdquo;, Franz Roth, centrocampista meno appariscente rispetto ai compagni, ma dall&rsquo;efficacia unica e, soprattutto, con il gol nel sangue. Oltre ad aver segnato nella finale precedente contro il Leeds, nell&rsquo;ormai lontano 1967 regal&ograve; al Bayern anche la prima storica coppa europea, decidendo nei tempi supplementari la finale di Coppa Coppe 1966-67 contro il Rangers. Al 57&rsquo; la sua terribile punizione (simile a quella di Ronald Koeman che castigher&agrave; la Sampdoria nel 1992) affossa il Saint-&Eacute;tienne nella finale di Glasgow. Spagnoli, inglesi, e ora anche francesi, caduti sotto i colpi della corazzata tedesca che domina l&rsquo;Europa. Franz Beckenbauer alza la coppa. &ldquo;Ancora tu, non mi sorprende lo sai&rdquo;. Una regola introdotta nel 1968-69 stabilisce che il trofeo diventi di propriet&agrave; di qualsiasi squadra riesca a vincerlo per un totale di cinque volte o per tre anni consecutivi. La regola, che verr&agrave; abolita dal 2008-09, consente al Bayern Monaco di tenere la coppa per sempre. E allora &ldquo;no, lasciarti non &egrave; possibile&hellip;&rdquo;       

Il 12 maggio 1976 la corazzata tedesca capitanata da Franz Beckenbauer entrava nella leggenda vincendo il trofeo per il terzo anno di fila

La terza Coppa dei Campioni consecutiva del Bayern Monaco

        Il nuovo tassello di un dominio che dura dalla stagione 2012/2013. Con la vittoria ottenuta di misura in trasferta sul campo del Werder Brema, il Bayern Monaco per l'ottava volta consecutiva (trentesima nella sua storia) si &egrave; laureato campione di Germania. Un risultato apparentemente scontato, visto l'innesto di alcuni giovani talenti come i due terzini titolari della Francia campione del mondo Pavard ed Hernandez, l'approdo di Coutinho, l'ingaggio di Perisic in un attacco che vedeva Robert Lewandowski il massimo punto di riferimento dopo che al termine della scorsa stagione la formazione bavarese aveva perso Franck Ribery (passato alla Fiorentina), Arjen Robben (ritirato) e James Rodriguez (tornato al Real Madrid). Eppure cos&igrave; non &egrave; stato. Non sono mancati momenti difficili sopratutto nella prima fase della stagione, con la squadra che gi&agrave; prima che cominciasse la Bundesliga aveva dimostrato numerose criticit&agrave; sotto il profilo tecnico gi&agrave; nella finale di Supercoppa di Germania conquistata dagli storici rivali del Borussia Dortmund, acuitesi poi man mano nelle prime giornate di campionato, fino ad arrivare al punto di non ritorno il 2 Novembre 2019, con la pesante disfatta sul campo dell'Eintracht Francoforte (5-1 il punteggio finale). Impossibile andare avanti cos&igrave;, con un clima irrespirabile negli spogliatoi, con la rottura tra i giocatori e il tecnico Niko Kovac. Da qui la decisione, il giorno successivo, da parte della dirigenza del Bayern di esonerare il tecnico croato. Quello che per&ograve; contava in quel frangente era trovare un traghettatore che potesse ricreare lo spogliatoio in un momento in cui la situazione in campionato era ancora recuperabile, con la squadra terza, a quattro punti dalla capolista Borussia M&ouml;nchengladbach. La scelta di Rummenigge alla fine cade su un tecnico entrato solo da pochi mesi nello staff di Kovac, ma che in quel breve periodo era riuscito a legare piuttosto bene con i giocatori: Hans Dieter Flick. Nessuno in quel momento pu&ograve; immaginare che questa scelta rappresenter&agrave; il punto di svolta della stagione, e che sopratutto riporter&agrave; il Bayern a mostrare la sua vera anima in campo. Quella vincente. DALL'ADDIO AL CALCIO GIOCATO ALL'APPRODO AL BAYERN MONACO Apprezzato fin da subito dai senatori del Bayern per aver collaborato con lui in nazionale, Hans Dieter Flick (nato ad Heidelberg il 24 febbraio 1965) comprende benissimo le sensazioni che stanno attraversando in quel difficile momento i giocatori, perch&egrave; anche lui in passato &egrave; stato calciatore, vestendo peraltro la maglia del club bavarese. Dopo aver iniziato a giocare a calcio all'et&agrave; di sei anni nelle giovanili del M&uuml;ckenloch (dove rester&agrave; fino al 1976), e dopo aver militato nelle giovanili del Neckargem&uuml;nd dal 1976 al 1981, e del Sanhausen dal 1981 al 1983 (dove approder&agrave; anche in prima squadra), nel 1985 Flick approda come giocatore al Bayern Monaco. Vi rimarr&agrave; fino al 1990 giocando in quelle cinque stagioni 69 partite, segnando 8 goal e conquistando 4 Meisterschale. In seguito approder&agrave; al Colonia, dove giocher&agrave; fino al 1993, prima di concludere anticipatamente la sua carriera nel calcio professionistico per i continui infortuni alle ginocchia. Dopo aver militato nel Victoria Bammental dal 1994 al 2000 (dal 1996 nel doppio ruolo di allenatore-giocatore), dal 2000 al 2005 Flick allena l'Hoffenheim, allora in terza divisione. Nell'estate 2006 la brevissima esperienza di due mesi nello staff del Salisburgo di Giovanni Trapattoni, e poi l'approdo nello staff tecnico della Nazionale tedesca, fortemente voluto dal nuovo ct Joachim L&ouml;w, con cui collaborer&agrave; fino al termine del Mondiale 2014, che vedr&agrave; in Brasile la Mannschaft conquistare il suo quarto titolo mondiale. Dopo anni di studio, ecco nell'estate del 2019 la proposta della dirigenza del Bayern (e in particolare di Rummenigge) di entrare nello staff tecnico di Kovac, subito accettata dal tecnico di Heidelberg. LA RINASCITA TECNICA DEL BAYERN Il 3 Novembre 2019, dunque, Hansi Flick viene nominato allenatore ad interim del Bayern Monaco. Fin da subito il dialogo con la squadra &egrave; continuo, e cos&igrave; non solo la comunicazione tra tecnico e giocatori &egrave; pi&ugrave; fluida, ma al contempo migliora la disposizione tattica degli stessi in campo. Se con Kovac, infatti, il Bayern veniva schierato con un 4-3-3 che non consentiva ai giocatori di esprimere il massimo in campo , ecco che con l'avvento in panchina di Flick lo schema si trasforma in un pi&ugrave; bilanciato 4-2-3-1, che consente ai giocatori di rispolverare quella modalit&agrave; di gioco che ha portato negli anni il Bayern a ottenere diverse soddisfazioni sia in campionato che nelle coppe, sfruttando le fasce laterali per poi contare o sull'estro di Lewandowski, o sulla capacit&agrave; di spaziare in tutta l'area di rigore da parte di Thomas M&uuml;ller (rilanciato dall'arrivo di Flick), pronto a servire dei palloni preziosi per il polacco. Aggressione alta e sovrapposizione dei fluidificanti sulle fasce, ma anche la possibilit&agrave; per gli interni di centrocampo di arrivare fino alla tre quarti. Un altro merito da attribuire a Flick riguarda la maggior valorizzazione dei giovani talenti che permettono a Lewandowski di essere ancora pi&ugrave; implacabile che mai. In particolare nell'arco della stagione &egrave; stato decisivo il contributo fornito dai giovani Davies, Gnabry e Coman, diventati autentici punti di riferimento della squadra nel portare avanti le azioni in campo, oltre alle certezze rappresentate da Goretzka e da Kimmich. Fin dal debutto di Flick in panchina, il Bayern ha cominciato a mostrare dei chiari segnali di risveglio, come ben dimostra proprio la prima partita del tecnico di Heidelberg in campionato lo scorso 9 Novembre, vinta per 4-0 contro i rivali del Borussia Dortmund.  Da qui &egrave; dunque iniziata una lunga rincorsa, che (nonostante due sconfitte consecutive maturate in casa contro il Bayer Leverkusen e in trasferta nel big match contro il M&ouml;nchengladbach a inizio dicembre) ha portato il Bayern a recuperare il distacco maturato in classifica. Se al termine del girone di andata il distacco del Bayern (4 punti) era rimasto invariato dalla testa della classifica (acquisita nel frattempo dal Lipsia ai danni del Borussia M&ouml;nchengladbach), il girone di ritorno ha visto il Bayern vincere 15 partite su 16, pareggiando solamente in casa lo scorso 9 Febbraio il big match con il Lipsia di Julian Nagelsmann, e assicurandosi la certezza matematica dell'ottavo Meisterschale consecutivo lo scorso 16 Giugno, grazie alla vittoria in trasferta per 1-0 sul campo del Werder Brema.             Visualizza questo post su Instagram  ?? Flick signs his new contract with FC Bayern: #FCBayern and Hansi #Flick agreed a new deal to 30 June 2023 at the start of April &ndash; now the 55-year old has signed his new contract as head coach of the German record champions in the board offices at S&auml;bener Stra&szlig;e. #Flick2023 Un post condiviso da  #MEI8TER  ? (@fcbayern) in data: 30 Apr 2020 alle ore 4:31 PDT      Una marcia trionfale, quella del Bayern guidato da Hansi Flick sia in patria (con la vittoria del campionato e la qualificazione alla finale della Coppa di Germania, che lo vedr&agrave; impegnato il prossimo 4 Luglio contro il Bayer Leverkusen), sia in ambito europeo (con la vittoria della gara di andata degli ottavi di Champions League per 3-0 sul campo del Chelsea), che ha spinto la dirigenza del Bayern il 22 Dicembre dello scorso anno a riconfermarlo fino al termine della corrente stagione, e poi, lo scorso 3 Aprile a prolungare l'accordo con il tecnico di Heidelberg fino al 2023. Una decisione rafforzata anche dai numeri: nelle 30 partite finora disputate sotto la gestione Flick (tra Bundesliga, Coppa di Germania e Champions League)&nbsp;il Bayern ha ottenuto 27 vittorie, 1 pareggio e 2 sole sconfitte. Una squadra, il Bayern Monaco, capace di mettersi alle spalle un momento piuttosto difficile, e ora pronta a scrivere un ciclo importante nella propria storia sia in ottica presente che in prospettiva futura, sia in patria che in Europa grazie al suo nuovo condottiero. Un uomo capace in breve tempo di creare un bellissimo feeling non solo con la squadra, ma anche con il pubblico bavarese, e che ha ora davanti a se la possibilit&agrave; di entrare nella storia del Bayern come in passato era successo ad esempio ad Otmar Hitzfeld e a Jupp Heynckes, dopo essere entrato in punta di piedi la scorsa estate. Un condottiero di nome Hansi Flick.       

Per l'ottava stagione consecutiva il Bayern Monaco si aggiudica la Bundesliga. Merito non solo di un ottimo Lewandowski, ma anche e sopratutto del tecnico Hans Dieter Flick, subentrato a Niko Kovac lo scorso Novembre, e capace di rivitalizzare la formazione bavarese in crisi di risultati.

Flick e l'ottavo Meisterschale consecutivo del Bayern

Un campione non solo nello sport, ma anche nella vita. Al gol partita segnato nel Klassiker ai danni del Borussia Dortmund al 43&#39; minuto del primo tempo, il 25enne difensore del Bayern Monaco Joshua Kimmich nelle scorse settimane di lockdown &egrave; stato in grado di segnare un goal altrettanto importante nella lotta al Coronavirus. Assieme al compagno di squadra Leon Goretzka ha infatti dato vita a un progetto solidale chiamato &ldquo;We Kick Corona&rdquo;, volto a sostenere le realt&agrave; mediche e sociali impegnate nella lotta al Coronavirus, arrivando a raccogliere in poco pi&ugrave; di due mesi oltre 4 milioni e mezzo di Euro, e riuscendo a coinvolgere non solo gli altri compagni di squadra o la stessa societ&agrave; d&#39;appartenenza (il Bayern), ma anche giocatori appartenenti ad altre squadre militanti in Bundesliga o in altri campionati, calciatrici femminili impegnate nella Nazionale tedesca, atleti impegnati in altre competizioni extra-calcistiche, e addirittura la gente comune.  Un progetto, quello messo a punto da Joshua Kimmich assieme al compagno di squadra Leon Goretzka, che prende il via ufficialmente lo scorso 20 Marzo, quando i due giocatori attraverso un post uscito su Twitter annunciano la donazione a titolo personale di 1 milione di euro per la raccolta fondi da loro organizzata, denominata &quot;WeKickCorona&quot;. In un momento in cui la Germania &egrave; alle prese con il lockdown dovuto all&#39;emergenza sanitaria legata al Coronavirus, con le principali attivit&agrave; sportive e ricreative chiuse, con l&#39;attivit&agrave; sociale limitata, e le associazioni benefiche e al contempo le strutture mediche intente a dare il massimo pur andando oltre le proprie possibilit&agrave; economiche, Kimmich e Goretzka (in qualit&agrave; di calciatori professionisti alle prese con una vita sana e sotto certi aspetti privilegiata, come da loro stessi sostenuto) capiscono che &egrave; arrivato il momento di prendersi le proprie responsabilit&agrave; con la convinzione che ognuno pu&ograve; fare in modo che il coronavirus non si diffonda ulteriormente, ma tutti insieme uniti possiamo fare in modo che la societ&agrave; possa ripartire. L&#39;obiettivo di &quot;WeKickCorona&quot;, consiste, quindi, nel voler aiutare coloro che aiutano gli altri e dare il proprio contributo in modo da poter far ripartire la societ&agrave;, con l&#39;auspicio che essa possa essere pi&ugrave; forte di prima.  Dalle attrezzature mediche negli ospedali all&#39;aiuto per i senzatetto, dalle donazioni di sangue agli aiuti richiesti dalle associazioni benefiche e di volontariato: questi alcuni degli aiuti garantiti da &quot;WeKickCorona&quot; in queste settimane.  Dopo la primissima donazione effettuata dagli stessi Kimmich e Goretzka, sono stati tantissimi i sostenitori che hanno voluto dare il loro contributo economico, tra i giocatori della Bundesliga (tra i quali figurano tra gli altri Mats Hummels, Jonas Hector, Lukas Klostermann, Sebastian Rode, Yannick Gerhardt), ma anche tra giocatori appartenenti ad altre squadre quali ad esempio Benedikt H&ouml;wedes (Lokomotiv Mosca), Leroy San&egrave; (Manchester City, vicino all&#39;approdo al Bayern Monaco per la prossima stagione), Julian Draxler (PSG), Sead Kolasinac (Arsenal), Thilo Kehrer (PSG), Klaas Jan Huntelaar (Ajax), ecc. Nell&#39;elenco figurano tecnici presenti (Hansi Flick) e passati (Niko Kovac ed Ottmar Hitzfeld) del Bayern, ma anche giocatrici della Nazionale femminile tedesca (Giulia Gwinn, Turid Knaak, Klara B&uuml;hl, Lina Magull), come anche atleti impegnati in altre discipline (Felix Neureuther per lo sci, Alexander Zverev per il tennis, Dennis Schr&ouml;der per il basket (NBA, Oklahoma City Thunder)), l&#39;attore e regista Floran David Fitz come anche tanta gente comune. Allo stato attuale sono oltre 3500 i sostenitori di questa iniziativa, che ha portato alla raccolta di oltre 4 milioni e mezzo di euro.   Der #FCBayern spendet 250.000 Euro an #WeKickCorona. Dieser Betrag ergibt sich aus dem Verkauf der Mund-Nasen-Masken des deutschen Rekordmeisters.  https://t.co/9COiP8xcIc &mdash; FC Bayern M&uuml;nchen (@FCBayern) May 27, 2020    Ovviamente anche il Bayern Monaco (squadra in cui militano Kimmich e Goretzka) ha voluto dare il proprio contributo mettendo in vendita sul proprio sito delle mascherine speciali raffiguranti il logo della formazione bavarese grazie al prezioso contributo di alcune aziende, abili a riconvertire delle sciarpe (che il Bayern avrebbe distribuito ai tifosi in occasione della gara di ritorno degli ottavi di Champions League contro il Chelsea) nelle suddette mascherine. 250.000 euro la cifra raccolta dalla vendita delle mascherine, che in data odierna il Bayern ha consegnato a Kimmich e a Goretzka. &ldquo;&Egrave; fantastico ci&ograve; che Leon Goretzka e Joshua Kimmich hanno realizzato con&quot; WeKickCorona &quot;. Siamo felici di essere in grado di consegnare il profitto di &euro; 250.000 dalla nostra campagna mascherine a questa straordinaria iniziativa dei nostri giocatori di oggi&ldquo;, ha dichiarato il CEO Karl Heinz Rummenigge.  Un&#39;iniziativa, quella di &quot;WeKickCorona&quot;, che ci ricorda una volta di pi&ugrave; come anche il calcio in un momento assai delicato come quello attuale per via del Coronavirus, pu&ograve; essere in grado di regalare delle belle storie. Grazie a dei grandi campioni in campo come nella vita di tutti i giorni A campioni quali Goretzka. A campioni come Kimmich. 

Il 25enne difensore del Bayern (autore del gol partita nel big match contro il Borussia Dortmund) nelle scorse settimane ha dato vita assieme al compagno di squadra Leon Goretzka alla raccolta fondi&ldquo;WeKickCorona&rdquo;, volta a sostenere le realt&agrave; mediche e sociali impegnate nella lotta al Coronavirus, e che in due mesi &egrave; riuscita ad accumulare pi&ugrave; di quattro milioni e mezzo di Euro

Kimmich, campione in campo e fuori

Un anticipo della Bundesliga che verr&agrave;. Bayern Monaco e Borussia Dortmund si sono dati battaglia questo fine settimana nella finale della Supercoppa di Germania (la DFL-Supercup) che ha visto i gialloneri di Lucien Favre mettere fine al tris di successi consecutivi della formazione bavarese guidata da Niko Kovac battendola per 2-0. Un successo (il primo di Favre sulla panchina tedesca) che non solo consente al Borussia di conquistare la sua sesta Supercoppa di Germania avvicinandosi cos&igrave; al Bayern (vincitore di ben 7 Supercoppe), ma che ribadisce una volta di pi&ugrave; come in questo momento la stessa formazione giallonera abbia una posizione di vantaggio rispetto agli storici rivali bavaresi grazie al contributo fondamentale del suo gioiellino, il 19enne talento inglese Jadon Sancho.  Dopo un primo tempo affrontato quasi sottotono &egrave; nella ripresa che il giovane attaccante inglese di origini trinidadiane si sveglia recuperando nei primi minuti di gioco una palla persa a centrocampo da Thiago Alcantara (autore di una partita da dimenticare), andando cos&igrave; a fornire ad Alcacer l&#39;assist per il vantaggio del Dortmund, su cui il portiere del Bayern e della nazionale tedesca Manuel Neuer non pu&ograve; fare nulla. Sancho sar&agrave; fondamentale anche nell&#39;azione del definitivo 2-0, in quanto nel momento migliore del Bayern (che poco prima su incursione di Kimmisch in area di rigore aveva sfiorato il pari, sventato solamente dall&#39;intervento del portiere del Dortmund, Hitz) riuscir&agrave; a ripartire dalla propria area di rigore e in contropiede a fulminare in area Neuer, facendogli passare il pallone addirittura sotto le gambe.  Una partita, quella di Supercoppa, che, quindi conferma una volta di pi&ugrave; le doti tecniche di Sancho, abile nei dribbling e nelle ripartenze in contropiede e che, dopo essersi fatto notare tra il 2016 e il 2017 a livello di nazionale giovanile segnando 7 goal in 11 partite nella Nazionale inglese Under 16, e portando l&#39;Under 17 a conquistare sia il secondo posto nell&#39;Europeo di categoria segnando cinque reti, sia il Mondiale (sebbene il contributo sia stato limitato alla fase a gironi), solamente lo scorso anno grazie all&#39;avvento di Favre sulla panchina del Dortmund &egrave; riuscito finalmente a mostrare in campionato tutto il suo potenziale segnando 12 goal nelle 31 partite giocate, con l&#39;obiettivo quest&#39;anno di fare ancora meglio. Un giocatore, Sancho, ingaggiato dal Dortmund nell&#39;estate 2017 dalle giovanili del Manchester City per farne l&#39;erede di Dembel&egrave;, passato poco prima al Barcellona, e in cui sia il club giallonero, sia sopratutto i tifosi credono molto, e il cui talento &egrave; stato riconosciuto anche oltremanica dal Guardian, al punto da inserirlo nel 2017 tra i 60 migliori calciatori nati nel 2000.  Non si pensi per&ograve; che dietro la vittoria del Borussia ci sia solamente la firma di Sancho, in quanto l&#39;altra grande causa che ha portato alla disfatta del Bayern Monaco in Supercoppa di Germania &egrave; rappresentata in ottica di calciomercato dal mancato rafforzamento della rosa della formazione bavarese rispetto alla passata stagione. Se neanche pochi mesi fa gli uomini di Kovac erano riusciti a vincere Bundesliga (con un punto di vantaggio sul Dortmund dopo averlo battuto 5-0 nel confronto diretto avvenuto lo scorso aprile) e Coppa di Germania (contro il Lipsia), allo stato attuale la formazione bavarese sembra quasi l&#39;ombra di se stessa, con una difesa che anche contro il Borussia ha ballato fin troppo (con Thiago Alcantara come detto assai deludente, e con il trio Kimmich-Boateng e Sule incapace di prendere le misure agli avversari) concedendo troppe occasioni da rete. Se a questo aggiungiamo anche gli addii di Hummels (passato proprio al Dortmund ed infortunatosi in fase di allenamento), Robben (ritiratosi a fine stagione), Ribery (in procinto di andare a giocare o in Cina o in Arabia) e James Rodriguez (passato al Real Madrid) si capace come, nonostante l&#39;ingaggio dei giovani difensori francesi Hernandez e Pavard, campioni del mondo lo scorso anno nella Francia guidata da Didier Deschamps e tenuti in panchina sabato da Kovac, ci sia ancora molto da fare in ottica mercato, sopratutto in fase offensiva. In Supercoppa Coman e Lewandowski hanno fatto quello che hanno potuto, ma come ammesso anche dal polacco (apparso in ritardo di preparazione) quello che pi&ugrave; di tutto manca al Bayern non sono i giovani, destinati con il tempo a mostrare il proprio potenziale, quanto i giocatori capaci di dare da subito il proprio contributo.  Non &egrave; un caso che nei giorni scorsi veniva dato per certo l&#39;interessamento del Bayern per l&#39;attaccante del Manchester City Leroy San&egrave;, che secondo i media tedeschi sarebbe dovuto approdare a Monaco di Baviera nei primi giorni di questa settimana. Non c&#39;&egrave; dubbio, per&ograve;, che l&#39;infortunio al ginocchio destro occorso ieri pomeriggio al giocatore tedesco di origini senegalesi (per il quale il Bayern era pronto a sborsare una cifra pari a 200 milioni di euro, e pi&ugrave; precisamente 100 milioni per il City, pi&ugrave; un quinquennale da 20 milioni lordi a stagione per il giocatore) nella finale di Community Shield rischia (in attesa di ulteriori esami medici) di far saltare l&#39;obiettivo principale della formazione bavarese per questa sessione di calciomercato,  Una cosa, comunque &egrave; certa: San&egrave; o non San&egrave; il Bayern Monaco ha il disperato bisogno di trovare un rinforzo in avanti possibilmente prima dell&#39;inizio della Bundesliga, che scatter&agrave; Venerd&igrave; 16 Agosto con l&#39;anticipo serale che vedr&agrave; in campo proprio i bavaresi contro l&#39;Hertha Berlino, in modo da non veder pregiudicata la propria leadership in campionato a favore degli storici rivali del Dortmund. Prima che sia troppo tardi. 

Il 19enne attaccante inglese asfalta un Bayern indebolito rispetto alla passata stagione, regalando a Lucien Favre il primo trofeo sulla panchina del Borussia Dortmund.

Il talento di Sancho e la sconfitta del Bayern in Supercoppa di Germania

Il miglior colpo di mercato del Bayern Monaco non &egrave; stato James Rodriguez, ma l&#39;avere scippato definitivamente l&#39;Allianz Arena ai cugini del Monaco 1860, praticamente per niente considerato il giro d&#39;affari di una delle societ&agrave; al top europeo. La notizia di oggi &egrave; infatti che il 1860 non solo non giocher&agrave; la prossima stagione in uno degli stadi pi&ugrave; belli del mondo, ma nemmeno ci potr&agrave; tornare se nei prossimi anni dovesse tornare in alto rispetto alla sua collocazione attuale (Regionalliga). Parlare di scippo non &egrave; un&#39;esagerazione, perch&eacute; la storia di uno degli stadi pi&ugrave; belli del mondo parla abbastanza chiaro. Costruito in vista del mondiale del 2006 ma fin dall&#39;inizio posseduto da entrambi con quota paritaria del 50%, ai due club &egrave; costato ufficialmente 286 milioni di euro ma in realt&agrave; almeno 50 milioni di pi&ugrave; tenendo conto dei vari finanziamenti e del relativo costo. Una cifra simile fu poi spesa dalla collettivit&agrave; bavarese per infrastrutture, trasporti e migliorie varie nei dintorni: il solito regalo pubblico a privati, &#39;numero&#39; anche di paesi che visti da lontano sembrano seri. Senza contare vari episodi di corruzione, alcuni dei quali con dirigenti del 1860 coinvolti. In concreto Bayern e Monaco hanno iniziato a giocarci dal 2005, prima del Mondiale, ma fin da subito i conti ai cugini poveri (gi&agrave; nell&#39;equivalente tedesco della serie B, dove sarebbero rimasti) non sono tornati. Uno stadio da 75.000 per una squadra di bassa classifica nella Bundesliga 2 era stato un passo pi&ugrave; lungo della gamba, cos&igrave; nell&#39;aprile del 2006 il 1860 ha venduto la sua quota al Bayern per... 11 milioni! Il club stava fallendo e in pi&ugrave; nel contratto c&#39;era una clausola che prevedeva la possibilit&agrave; di ricomprarsi quel 50% entro il 2010 pagando circa il doppio di quegli 11 milioni. La situazione per&ograve; peggior&ograve; e il 1860 nel 2007 vendette anche quel diritto in cambio di quattro spiccioli e dell&#39;incasso di due amichevoli. Da quel momento &egrave; diventato un semplice inquilino. Adesso questo finale di partita spiacevole, perch&eacute; stiamo parlando di una squadra comunque gloriosa (ha vinto la Bundesliga prima del Bayern, nel 1966, e negli anni Cinquanta era di gran lunga la squadra pi&ugrave; seguita in citt&agrave;: ne era tifosissimo anche il bambino Franz Beckenbauer) e che si trova in Regionalliga per un serie incredibile di circostanze. Poco pi&ugrave; di un mese fa il 1860 perdendo con il Regensburg &egrave; retrocesso dalla seconda alla terza serie, terza serie a cui non si &egrave; potuto iscrivere perch&eacute; il suo azionista principale, il giordano&nbsp;Hasan Ismaik, non ha voluto versare quanto gli spettava (pare 5 milioni) di versare per l&#39;iscrizione perch&eacute; avrebbe voluto prima diventare azionista di maggioranza (cosa in Germania per fortuna impossibile, tranne che per i club diretta emanazione di un&#39;azienda, come il Bayer Leverkusen). E quindi? Il Bayern ha cinicamente sfruttato la situazione, non vuole il 1860 nemmeno pi&ugrave; come inquilino anche se la media-spettatori era comunque discreta, sui 26.000 a partita: numeri che ne farebbero la settima squadra della nostra serie A... E adesso il 1860 le partite casalinghe se le giocher&agrave; nello storico Grunwalder Stadium, 12.500 posti, con l&#39;aggettivo storico che per una volta non usiamo a caso visto che &egrave; stato costruito nel 1911 e l&igrave; il 1960 giocava durante la Bundesliga 1965/66 (la stella della squadra era l&#39;ex minatore Timo Konietzka). Lo stesso Bayern ci ha giocato fino a quando nel 1972 and&ograve; all&#39;Olympiastadion. La ruota gira, ma per qualcuno gira sempre bene. 

Bayern e Monaco 1860, l&#39;Allianz Arena non &egrave; per i poveri

Carlo Ancelotti conquistando la Bundesliga con il Bayern Monaco &egrave; diventato uno dei pochi allenatori capaci di vincere quattro campionati nazionali europei in almeno quattro nazioni diverse: gli altri sono Ivic (che ne ha vinti cinque), Happel, Trapattoni e Mourinho. Non esattamente gli ultimi della pista, quindi. Onore quindi ad un allenatore che sarebbe perfetto, per et&agrave; (58 anni) e tante altre caratteristiche, per guidare una grande nazionale ma che ancora ha voglia di misurarsi con la quotidianit&agrave; del calcio di club.  Va detto che vincere la Bundesliga guidando il Bayern non &egrave; un'impresa impossibile, non stiamo insomma parlando di Ranieri con il Leicester City dell'anno scorso anche se la celebrazione dell'italiano all'estero &egrave; quasi un dovere. La discussione non &egrave; quindi sul valore di Ancelotti, ma su quello della Bundesliga. S&igrave;, perch&eacute; erano 12 anni che nessuna squadra tedesca di presentava alle semifinali di almeno un coppa europea e la cosa fa sensazione, perch&eacute; dal punto di vista della gestione la Bundesliga &egrave; un modello (anche per le sue strutture proprietarie) molto pi&ugrave; interessante della Premier League, che gode di un vantaggio competitivo notevolissimo, cio&egrave; che tutto il mondo parla, magari male ma lo parla, l'inglese e comprende certi riferimenti culturali anglosassoni.  Ma al di l&agrave; dei risultati europei e dei punti raccolti per il ranking UEFA, mai cos&igrave; pochi nelle ultime cinque stagioni, c'&egrave; da dire che il Bayern e le squadre tedesche in generale non hanno lo stesso atteggiamento arrogante, in senso positivo, che ha la Germania nei confronti delle sue avversarie. Sensazioni e considerazioni da bar, mentre la realt&agrave; dice che il problema del Bayern &egrave; probabilmente anche l'assenza di un rivale davvero pericoloso in patria, con tutto il rispetto per il Borussia Dortmund. E alle spalle della squadra pi&ugrave; amata-odiata di Germania il ricambio &egrave; continuo, basti pensare che squadre con una buona storia europea anche recente come&nbsp;Wolfsburg, Leverkusen, Schalke and Borussia Monchengladbach hanno una classifica media o medio-bassa (in particolare il Wolfsburg, ai confini del playoff per la salvezza).  La considerazione &egrave; la stessa che si pu&ograve; fare sul fair play finanziario UEFA, che in Germania viene 'naturalmente' applicato al proprio interno: equilibrare costi e ricavi, anche nel breve periodo, porta a solidit&agrave; e sviluppo, ma dal punto di vista sportivo tende a cristallizzare le posizioni acquisite. L'analisi non pu&ograve; prescindere dalla ripartizione dei diritti televisivi, che in Germania &egrave; relativamente 'comunista', cio&egrave; con la squadra che prende di pi&ugrave; dalla ripartizione (il Bayern) in base a vari criteri, che non va oltre il doppio della squadra che prende di meno. A falsare la competizione nazionale sono quindi il marketing, visto che non ci immaginiamo magliette del Wolfsburg vendute ai tifosi cinesi, e la Champions League.

Il valore di Ancelotti e quello della Bundesliga

Se il calciomercato fosse soltanto una questione di quantit&agrave; il re d'Europa sarebbe Enrico Preziosi che con il suo Genoa ha negli ultimi cinque campionati schierato in campo la bellezza di 137 giocatori. Un record continentale, prendendo in considerazione le prime cinque leghe (Serie A, Premier League, Ligue 1, Bundesliga e Liga) calcistiche d'Europa e quindi anche del mondo, sottolineato dal report del CIES Football Observatory, che ha analizzato i giocatori delle squadre che nelle ultime cinque stagioni hanno sempre militato nei massimi campionati del loro paese. I risultati sono davvero degni di riflessione, perch&eacute; in tutta l'Europa che conta soltanto 11 club hanno schierato pi&ugrave; di 100 giocatori e di questi 8 sono italiani: oltre al Genoa vanno citati Chievo (terzo con 117), Fiorentina (quarta con 112), Inter (quinta con 111), Udinese (sesta con 110), Roma (settima con 106), Atalanta (ottava con 104) e Milan (undicesimo con 102). In certi casi, come quello dell'Atalanta, il risultato &egrave; un misto di arrivi dal settore giovanile e di compravendite, ma nella quasi totalit&agrave; siamo di fronte a un giro spesso incomprensibile (o fin troppo comprensibile) di arrivi e partenze con una giustificazione sportiva minima. Non &egrave; un caso che all'estremo opposto, cio&egrave; di chi ha schierato meno giocatori, ci siano Bayern Monaco (55!), Real Madrid, Barcellona e Paris Saint-Germain. I club italiani con le idee pi&ugrave; chiare sono, usando questo parametro, il Napoli (80 giocatori schierati) e la Juventus (87). Mettere in campo tanti giocatori non &egrave; di per s&eacute; una cosa negativa finanziariamente, perch&eacute; spesso sono schierati per farli vedere a potenziali acquirenti (&egrave; il caso dell'Udinese, dell'Atalanta a e dello stesso Genoa), ma lo &egrave; senz'altro dal punto di vista dei risultati sportivi, a volte pessimi e sempre inferiori al potenziale. In altre parole, cambiando sempre si cancellano gli effetti anche delle scelte giuste.

Il porto di Genoa (compravendite all'italiana)

Il sorteggio riservato alle squadre italiane impegnate negli ottavi di Champions League e ai sedicesimi di Europa League &egrave; stato estremamente duro. Vediamolo nel dettaglio.  Partiamo dalla Champions: Real Madrid per la Roma, Bayern Monaco per la Juventus. Assieme al Barcellona campione in carica, le nostre due compagini sono state estratte proprio contro i clienti pi&ugrave; scomodi. A due giorni dal sorteggio di Euro 2016, che &egrave; stato piuttosto clemente, arriva una sonora mazzata per le ambizioni di Roma e Juventus. Specialmente quest&rsquo;ultima avr&agrave; i suoi rimorsi nel vedere il Manchester City, due volte battuto nel girone, associato alla Dinamo Kiev. Inutile fare pronostici ora, a due mesi dagli incontri, ma &egrave; ovvio che tanto la formazione di Garcia quanto quella di Allegri arriveranno da sfavorite all&rsquo;appuntamento, e a meno di clamorosi capovolgimenti sul pronostico, anche la rimonta nel ranking rischia di subire un brusco stop. Insomma, San Siro, sede della finale, diventa molto pi&ugrave; lontano. Non mancano le sfide di lusso, oltre a quelle che ci riguardano da vicino. Arsenal-Barcellona &egrave; ormai un classico della fase a eliminazione diretta e rimane una sfida affascinante, nonostante i valori pendano nettamente dalla parte dei catalani; Paris SG-Chelsea &egrave; gara da &ldquo;tripla&rdquo; (bisogner&agrave; valutare le condizioni del Chelsea a febbraio. Col campionato compromesso, Mourinho punter&agrave; tutto sulla coppa). Da Benfica-Zenit e soprattutto da Gent-Wolfsburg spunteranno fuori i nomi che tutti vorranno affrontare ai quarti di finale.  Gli ottavi di Champions sorteggiati a Nyon:  Gent-Wolfsburg (andata 17 febbraio; ritorno 8 marzo) Roma-Real Madrid (andata 17 febbraio; ritorno 8 marzo) Paris SG-Chelsea (andata 16 febbraio; ritorno 9 marzo) Arsenal-Barcellona (andata 23 febbraio; ritorno 16 marzo) Juventus-Bayern Monaco (andata 23 febbraio; ritorno 16 marzo) Psv-Atletico Madrid (andata 24 febbraio; ritorno 15 marzo) Benfica-Zenit (andata 16 febbraio; ritorno 9 marzo) Dinamo Kiev-Manchester City (andata 24 febbraio; ritorno 15 marzo) [poll id="33"]  &nbsp;  [poll id="34"]  &nbsp;  Non &egrave; andata meglio in Europa League: la Fiorentina era quella che rischiava di pi&ugrave; un sorteggio brusco e infatti le &egrave; capitato il Tottenham in quella che sar&agrave; una rivincita della scorsa edizione. Estrazione tosta anche per il Napoli, che pesca il Villarreal, attualmente quinto nella Liga spagnola. La Lazio si prende invece i turchi del Galatasaray, retrocessi dalla Champions League. Non sar&agrave; facile per nessuna delle nostre rappresentanti. Dando un'occhiata agli altri accoppiamenti, si pu&ograve; notare il facile cammino delle inglesi (Tottenham a parte): il Liverpool trova i tedeschi dell'Augsburg, il Manchester United i danesi del Midtjylland. Gli incontri di cartello sono&nbsp; Borussia Dortmund-Porto, gara che avrebbe potuto tranquillamente essere un ottavo di Champions, e Marsiglia-Athletic Bilbao.  I sedicesimi di Europa League (andata 18 febbraio 2016, ritorno 25 febbraio 2016):  Valencia-Rapid Vienna Fiorentina-Tottenham Borussia Dortmund-Porto Fenerbah&ccedil;e-Lokomotiv Mosca (andata 16 febbraio) Anderlecht-Olympiacos Midtjylland-Manchester Utd Augsburg-Liverpool Sparta Praga-Krasnodar Galatasaray-Lazio Sion-Braga (ritorno 24 febbraio) Shakhtar D.-Schalke Marsiglia-Athletic Bilbao Siviglia-Molde Sporting Lisbona-Bayer Leverkusen Villarreal-Napoli St. Etienne-Basilea  [poll id="35"]

Champions League, sorteggi terribili per Juve e Roma

Cinque gol in nove minuti probabilmente non si erano visti nemmeno in un 10 contro 1 sul campetto di terra battuta in discesa della parrocchia. La difficolt&agrave; dell'impresa di Robert Lewandowski, oltre alla quantit&agrave; e al fatto di aver giocato contro l'orologio, sta nell'essere entrato in corso d'opera e nel trovare il Bayern sotto di una rete. Con il Wolfsburg, poi. Il club che ha soffiato Julian Draxler alla Juventus nell'ultimo giorno di mercato. Non diciamo che il polacco ci ha abituati a cose del genere, ma gi&agrave; in passato un piccolo antipasto era stato servito. Cena di gala, semifinale di andata di Champions tra Borussia e Real Madrid. Mourinho affond&ograve; al Signal Iduna Park sotto il poker del centravanti che proprio in quell'anno - era il 2013 - avrebbe meritato la terza piazza del Pallone d'Oro e invece fin&igrave; soltanto in 13esima posizione. Quando si parla o si scrive di argomenti che hanno natura statistica, la curiosit&agrave; di trovare un precedente &egrave; tanta. E improvvisamente tornano di moda nomi come Panagiotis Pontikos o Archie Thompson. Il primo, almeno in competizioni ufficiali, &egrave; l'attuale detentore del record di pi&ugrave; reti segnate in una singola partita. Terza divisione del campionato cipriota, non proprio roba da guerra per le pay tv. 7 maggio 2007, Olympos Xylofagou - S.E.K. Athanasiou termina sul punteggio di 24-3 e l'attaccante ne mette addirittura 16. Il secondo, invece, fu il protagonista della leggendaria vittoria dell'Australia nel match di qualificazione al Mondiale del 2002 contro le Samoa Americane. Il punteggio ufficiale della FIFA arriv&ograve; solamente il giorno dopo, bisognava ricontare tutto. 31-0 e celebrazioni da Guinness dei primati. Dei 28 gol siglati in carriera da Thompson con la maglia dei Socceroos, ben 13 furono messi a referto in quei 90 minuti. Ritornando alla cinquina di Lewandowski e sorvolando su quelle di Messi o Luiz Adriano, un richiamo doveroso va fatto a Oleg Salenko e al frammento di USA 94 tra Russia e Camerun. Roger Milla diventava il pi&ugrave; vecchio (42 anni) a lasciare il proprio nome sui tabellini di un Mondiale e l'attaccante del Logro&ntilde;&eacute;s (club di prima divisione spagnola, erano altri tempi) cominciava a spartirsi nello stupore del globo il titolo di capocannoniere insieme a Hristo Stoichkov. In casa nostra, l'ultimo appassionato di tombola fu Miro Klose nel match tra Lazio e Bologna del maggio del 2013 ripetendo ci&ograve; che fecero molti anni prima Pruzzo con la Roma, Hamrin con la Fiorentina o Angelillo con l'Inter. Tutti, per&ograve;, dietro a Piola e Sivori con le due "sestine" per Pro Vercelli e Juventus. Non si sono spinti fino a tanto Gilardino e Lucarelli, ma restano comunque nella storia dell'inedito della Serie A. Parma-Livorno del 2005 finiva 6-4 ed entrambi firmavano una quaterna.  @damorirne

Lewandowski, Archie Thompson e Oleg Salenko

ARSENAL: &Egrave; cambiato solo il portiere nell&rsquo;undici titolare dei Gunners. Al posto del polacco Szczesny, passato alla Roma, alla corte di Wenger &egrave; arrivato Petr Cech. In uscita si registra l&rsquo;addio del francese Abou Diaby, dopo nove stagioni a Londra: svincolato, si &egrave; accasato al Marsiglia. Sarebbe servita una punta, ma alla fine non &egrave; arrivata. VOTO: 6  ATL&Eacute;TICO MADRID: Hanno cambiato pelle i Colchoneros di Diego Simeone, che hanno incassato un centinaio di milioni dalle cessioni e altrettanti ne hanno spesi per rinforzarsi. Partiti Miranda (Inter), Mandzukic (Juventus), Arda Turan (Barcellona), Alderweireld (Tottenham), Suarez (Fiorentina), Raul Garcia (Athletic Bilbao) e Jimenez (Benfica), sono arrivati Filipe Luis (dal Chelsea, si tratta ovviamente di un ritorno), Carrasco (dal Monaco), Oliver Torres (dal Porto), Savic (dalla Fiorentina), Vietto (dal Villarreal), Mensah (dal Vitoria Guimar&atilde;es), Kranevitter (dal River), e soprattutto &egrave; approdato al Vicente Calder&oacute;n quel Jackson Martinez inseguito da diversi club europei. &Egrave; lui il principale colpo dell&rsquo;estate biancorossa. Con Griezmann potr&agrave; formare una bella coppia d&rsquo;attacco. VOTO: 7  BARCELLONA: se ne sono andati Xavi, Pedro e Montoya, tre prodotti della cantera. Nel frattempo non &egrave; potuto arrivare nessuno, perch&eacute; il mercato del Bar&ccedil;a &egrave; bloccato fino a gennaio, ma dalla prossima finestra di mercato entreranno in rosa Aleix Vidal, uno dei migliori terzini delle ultime stagioni, e Arda Turan. Costi: 18 milioni il primo, prelevato dal Siviglia, 34 il secondo, preso dall&rsquo;Atl&eacute;tico Madrid. VOTO: 6,5  BAYERN MONACO: i bavaresi hanno speso 81 milioni in questa sessione, ingaggiando dalla Juventus il cileno Arturo Vidal e il francese Kingsley Coman (7), dallo Stoccarda il centrocampista ventenne Joshua Kimmich (7) e dallo Shakhtar Donetsk il brasiliano Douglas Costa (37). Tra le cessioni invece, sono da registrare quella di Dante al Wolfsburg e soprattutto quella clamorosa di Bastian Schweinsteiger, che lascia il club nel quale entr&ograve; nel 2001 per passare al Manchester United. Certo &egrave; che se un tempo il Bayern aveva una forte identit&agrave; tedesca, con Guardiola questa &egrave; stata archiviata per lasciar spazio a un&rsquo;anima sempre pi&ugrave; latina. VOTO: 7,5  CHELSEA: Il volto nuovo dei campioni d&rsquo;Inghilterra &egrave; sicuramente Pedro, soffiato in extremis al Manchester United. L&rsquo;ex Barcellona - costato 21 milioni di sterline - trova posto nel tridente alle spalle della punta, assieme a Willian e Hazard. Altro esborso economico notevole &egrave; quello riguardante il difensore ghanese Baba, preso dai tedeschi dell&rsquo;Augsburg per 14 milioni di sterline. Tra i trasferimenti in uscita, rientrano Filipe Luis, tornato all&rsquo;Atl&eacute;tico Madrid, e Petr Cech, che ha lasciato il sud-ovest londinese per trasferirsi nella parte nord-est della citt&agrave;, ai rivali dell&rsquo;Arsenal. Si &egrave; svincolata l'icona ivoriana Didier Drogba, andato a giocare in Canada. VOTO: 6,5  LIVERPOOL: parte il dopo-Gerrard in casa dei Reds. Il team di Brendan Rodgers ha speso parecchio in questo mercato per cercare di colmare il gap con le grandi. Liberatosi della zavorra-Balotelli, il Liverpool si &egrave; rifatto il look in attacco, puntando sul brasiliano Firmino, costato 21 milioni di sterline dall&rsquo;Hoffenheim e sul belga Benteke, pagato 32 milioni dall&rsquo;Aston Villa. Nuovo terzino destro, l&rsquo;inglese Clyne, prelevato dal Southampton. A centrocampo &egrave; arrivato James Milner: ottimo colpo, soprattutto se consideriamo l'ingaggio a parametro zero. Notevoli anche gli incassi: le cessioni di Lambert, Coates, Aspas, Borini e soprattutto Sterling, hanno permesso di ridurre il saldo negativo tra entrate e uscite. VOTO: 7  MANCHESTER CITY: duecento, dicasi duecento, milioni di euro spesi. L&rsquo;estate del Manchester City non &egrave; stata di certo priva di movimenti. La rosa del tecnico Pellegrini si &egrave; arricchita di due giocatori d&rsquo;attacco di indiscutibile valore, come la stellina De Bruyne, pagata la bellezza di 74 milioni ai tedeschi del Wolfsburg e l&rsquo;inglese Raheem Sterling, per il quale i Citizens hanno sborsato 68 milioni nelle casse del Liverpool. Ventiquattro anni il primo, ventuno il secondo: colpi destinati a durare negli anni. Poi c&rsquo;&egrave; l&rsquo;arrivo di Nicolas Otamendi dal Valencia: per assicurarsi il difensore argentino, Al Mubarak ha tirato fuori altri 28 milioni. La caccia al titolo &egrave; aperta, cos&igrave; come quella alla Champions, dove il City non ha mai recitato da protagonista. VOTO: 8  MANCHESTER UTD: l&rsquo;ultimo giorno di mercato aveva visto lo scambio di portieri tra i Red Devils e il Real Madrid: De Gea stava lasciando l&rsquo;Old Trafford per il Bernabeu con il costaricano Keylor Navas che avrebbe dovuto il percorso inverso. Poi &egrave; saltato tutto in extremis e gli estremi difensori sono rimasti nei rispettivi club. &Egrave; stata un&rsquo;estate che ha visto un grande via-vai dalle parti di Van Gaal. Fuori Van Persie, Di Maria e Rafael, e dentro Depay, Schweinsteiger, Darmian e Schneiderlin. E in extremis, ecco il colpo-Martial, ottanta milioni versati nelle casse del Monaco all&rsquo;ultimo giorno di mercato: non male per un attaccante di diciannove anni. Il francesino diventa l&rsquo;under 20 pi&ugrave; pagato della storia.. VOTO: 7,5  PARIS SG: alla fine Ibrahimovic &egrave; rimasto e al suo fianco nella formazione titolare dei parigini non avr&agrave; solo il vecchio compagno Cavani, ma anche il nuovo acquisto Angel Di Maria, costato 63 milioni di euro e divenuto il giocatore pi&ugrave; pagato nella storia, se si sommano tutti i suoi trasferimenti. Tra gli altri affari, si segnalano i due francesi Kurzawa e Stambouli, provenienti rispettivamente da Monaco e Tottenham (23 milioni per il difensore, 9 per il centrocampista). Brutte notizie per il &ldquo;nostro&rdquo; Sirigu: la concorrenza in porta &egrave; aumentata con l&rsquo;arrivo del tedesco Trapp dall&rsquo;Eintracht Francoforte. Tra le cessioni, l&rsquo;unica che ha permesso di fare cassa &egrave; quella di Cabaye, venduto al Crystal Palace per 14 milioni di euro. VOTO: 7,5  REAL MADRID: delle grandi squadre straniere, il Real &egrave; l&rsquo;unica che inizia la stagione con un nuovo tecnico. In sella a una delle panchine pi&ugrave; calde d&rsquo;Europa c&rsquo;&egrave; ora Rafa Benitez. Per una volta, i Blancos non investono dalla trequarti in avanti, ma rafforzano difesa e centrocampo. Sulla terza linea &egrave; arrivato Danilo: il terzino destro si &egrave; trasferito al Bernabeu per 32 milioni di euro. La stessa cifra per cui &egrave; arrivato dall&rsquo;Inter il croato Mateo Kovacic. Oltre a Danilo, dal Porto proviene anche il centrocampista Casemiro, gi&agrave; nella capitale spagnola dal 2012 al 2014. Per prenderlo, il Real Madrid ha esercitato la clausola di controriscatto. Diversi volti lasciano la Casa Blanca: come detto Casillas se ne va al Porto, Khedira si trasferisce alla Juve, Illarramendi alla Real Sociedad, Coentr&atilde;o in prestito al Monaco, Lucas Silva in prestito al Marsiglia. Via anche Hernandez per fine prestito: il messicano &egrave; tornato per un lampo al Manchester United, per poi trasferirsi al Bayer Leverkusen. VOTO: 6  Giovanni Del Bianco @g_delbianco

Calciomercato estero, ecco come cambiano le big d'Europa

Trentasette milioni, pi&ugrave; bonus. La cifra incassata dalla Juve per Arturo Vidal, seppur pi&ugrave; bassa delle richieste bianconere di qualche tempo fa, sarebbe notevole. Considerando gli acciacchi dell&rsquo;ultima stagione, un certo caratterino fuori dal campo del giocatore e la plusvalenza di venticinque milioni rispetto ai dodici spesi per prelevarlo dal Bayer Leverkusen, l&rsquo;affare &egrave; soddisfacente per entrambe le parti. Il Bayern Monaco si garantisce il cileno, la Juve ha denaro fresco da reinvestire, magari andando a pesca proprio in Baviera, con l&rsquo;acquisto di Mario G&ouml;tze. Solo per l&rsquo;affare Zidane al Real Madrid, nell&rsquo;estate 2001, Madama incass&ograve; di pi&ugrave; (73 milioni di euro, coi quali venne rifondata la squadra: arrivarono Buffon, Nedved e Thuram). Al pari della cessione di Vidal, troviamo poi quella di Filippo Inzaghi nella stessa stagione, anche se non furono 37 milioni di euro cash (20 milioni in contanti pi&ugrave; Cristian Zenoni, leggermente sopravvalutato). Scorrendo ulteriormente la lista, tra le alte cifre incassate dal club bianconero dobbiamo passare al 2006-07, quando con la discesa in Serie B dovuta a Calciopoli, fu resa necessaria la vendita di molti campioni, tra cui quella di Zlatan Ibrahimovic all&rsquo;Inter (25 milioni). In quell&rsquo;estate calda lasciarono Torino anche Zambrotta e Thuram al Barcellona (14 milioni il primo, 5 il secondo), Fabio Cannavaro ed Emerson al Real Madrid (11,5 ciascuno), Patrick Vieira all&rsquo;Inter (9) e Adrian Mutu alla Fiorentina (8). Tra le cifre remunerative, da ricordare i 19 milioni di euro incassati per Angelo Peruzzi, ceduto all&rsquo;Inter nel 1999-00, stessa stagione in cui fu frettolosamente sblognato all&rsquo;Arsenal Thierry Henry per 16 milioni di euro. In quel caso per&ograve; l'affare fu tutto dei Gunners. Sedici milioni &egrave; anche la cifra ricevuta dalla Roma per Matteo Brighi nel 2004-05, e per Diego al Wolfsburg nel 2010-11 (minusvalenza: fu prelevato dal Werder Brema per il doppio). A quindici milioni furono venduti Christian Vieri all&rsquo;Atl&eacute;tico Madrid nel 1997-98 e Darko Kovacevic alla Lazio nel 2001-02, quest'ultimo un vero anno d&rsquo;oro per le casse del club, a conferma di una certa abilit&agrave; della Juventus anche nel saper vendere. A volte in modo precipitoso (Vieri ed Henry, appunto), altre al momento giusto. E tra questi, potrebbe rientrare Vidal.  Giovanni Del Bianco @g_delbianco

Vidal e gli altri. Le cessioni pi&ugrave; remunerative della Juventus

Quanto sta facendo Pep Guardiola al Bayern Monaco ci ricorda una volta di pi&ugrave; che i grandi allenatori, ma anche quelli di livello pi&ugrave; basso, si dividono in due grandi categorie mediatiche: quelli da risultato e quelli da progetto. La condanna dei primi &egrave; quella di vincere, nessuna considerazione sportiva o estetica li salver&agrave; nel caso non alzino trofei. La condanna dei secondi &egrave; quella di dover mostrare la propria mano, al limite anche di stupire, per alimentare il proprio mito. Guardiola fa chiaramente parte della seconda categoria e i dirigenti del Bayern ingaggiandolo nelll'estate 2013 dopo la Champions League vinta con Heynckes in panchina lo sapevano benissimo, anzi lo hanno preso proprio per questo motivo: svincolare l'immagine del club meglio gestito al mondo dalle vittorie, pur numerose e prestigiose, per proiettarlo in un'altra dimensione, quella di chi fa scuola. Come poche squadre nella storia del calcio, tipo il Barcellona di... Guardiola. Che in due stagioni al Bayern ha vinto due campionati tedeschi in grande scioltezza, una Coppa del Mondo per club, raggiunto due semifinali di Champions League, conquistato altre cosette ed in generale ha fatto vedere un ottimo calcio, a un ritmo pi&ugrave; alto rispetto all'epoca precedente (soprattutto in Bundesliga, dove si giocava al passo) unito a mosse da fenomeno (tipo Lahm a centrocampo) e a quelle varianti tattiche (la difesa a tre, che ad alto livello europeo nessuno schiera) che fanno dire "Ecco, la mano di Guardiola". In questo 2015 per&ograve; il guru catalano &egrave; andato oltre, decidendo di smantellare in maniera sistematica l'anima tedesca del Bayern in un'epoca in cui il calcio tedesco &egrave; ai suoi massimi per produzione di talenti. La cessione di Bastian Schweisteiger, al Bayern fin da quando aveva 14 anni, al Manchester United, &egrave; stato il primo colpo. Il sostanziale ostracismo nei confronti dell'eroe mondiale Mario G&ouml;tze, di fatto invitato a trovarsi una sistemazione (che potrebbe essere la Juventus, ma tutto pu&ograve; accadere), il secondo. La freddezza con Ribery, ancora convalescente, che tedesco non &egrave; ma che di questa era dorata del Bayern &egrave; stato uno dei protagonisti. E in Germania scrivono che non sia un super-tifoso nemmeno di Thomas M&uuml;ller... da quando Guardiola &egrave; arrivato sono partite colonne della Champions 2013 come Luiz Gustavo, Mandzukic, Kroos e anche lo stesso Mario Gomez, forse venduto al momento giusto ma comunque molto amato dai tifosi, senza che il club fosse finanziariamente con l'acqua alla gola, anzi. Di pi&ugrave;: un litigio con lo stesso Guardiola ha portato alle dimissioni di&nbsp;Hans-Wilhelm Muller-Wohlfahrt, lo storico (dal 1977!) medico sociale e super-consigliere del Bayern, riferimento di atleti di tutto il mondo, da Bolt in gi&ugrave;. E quindi? Sfumato il sogno di guidare la nazionale brasiliana al Mondiale di casa, Guardiola ha investito molto sul Bayern perch&eacute; vincere lasciando una traccia &egrave; molto pi&ugrave; difficile che vincere e basta, ma anche i dirigenti del Bayern hanno investito molto su di lui consegnandogli di fatto la societ&agrave; e temendo una sua partenza verso il Manchester City. Molti allenatori da risultato invidiano Guardiola, qualcuno (indovinate chi) addirittura lo odia, ma lui forse invidia loro che devono soltanto vincere.  Twitter @StefanoOlivari

Guardiola, il fenomeno che tiene prigioniero il Bayern

Il guerriero ripone le consumate armi sotto la Mole, ritiene il momento propizio per il&nbsp;ritorno in Germania. &Egrave; arrivato il momento dei saluti, il rapporto tra Arturo Vidal e la Juventus volger&agrave; ufficialmente al capolinea gi&agrave; nei prossimi giorni - al superamento delle visite mediche - dopo una passione lunga quattro anni e fomentata dai numerosi successi. Svuotato l'armadietto e riempita la valigia, il cileno attende l'imbarco, sar&agrave; un nuovo giocatore del Bayern Monaco di Guardiola. Un affare da 40 milioni, 37 pi&ugrave; bonus.  Contratto in scadenza nel 2017, ultima stagione non all'altezza delle precedenti anche perch&eacute; spesso schierato fuori ruolo, 28 primavere&nbsp;e rischio svalutazione negli anni a venire. Al di l&agrave; di ogni irrazionale discorso di cuore, c'&egrave; da sottolineare l'acume della dirigenza bianconera. &Egrave; stata chiaramente una scelta impopolare, ma le regole non scritte della finanza calcistica non conoscono n&eacute; sentono le ragioni dell'anima. La cessione di Vidal regala ancora pi&ugrave; energia al gi&agrave; tortuoso sentiero che la Juventus ha imboccato con gli addii di Pirlo e Tevez, con quest'ultimo che &egrave; l'unico da considerare veramente insostituibile. Marotta e Agnelli hanno avuto il coraggio di fare quello che gli altri non avevano fatto, mandando a quel paese il discutibile motto boskoviano "squadra che vince non si cambia" e operando con lungimiranza nelle operazioni Dybala ('93), Rugani ('94) e Vadal&agrave; (addirittura '97). Il non velatissimo riferimento &egrave; all'Inter del Triplete.  Poi non si capisce il motivo per il quale si debba trattenere un giocatore contro la sua - pi&ugrave; o meno presunta - volont&agrave;. &Egrave; il Bayern Monaco che vuole Vidal o &egrave; anche Vidal che vuole il Bayern Monaco? Una storia, solitamente, nasce dall'accordo tra due persone e le motivazioni, nel calcio quanto nella vita, si trovano all'apice della piramide umana. L'assegno che andr&agrave; a rimpinguare le casse della societ&agrave; dei campioni d'Italia verr&agrave; ridistribuito finalmente sull'acquisto pesante. Tanti i nomi fatti negli ultimi giorni, forse troppi. Quello pi&ugrave; vicino sarebbe G&ouml;tze, il campioncino che ha regalato la gioia mondiale alla Germania nella notte di Rio, quello pi&ugrave; indicato Isco. E qualcuno, nella gerarchia dei 10, tiri in mezzo anche Pastore, di ritorno dalla brillante esperienza di Copa Am&eacute;rica. Altro punto di domanda. Siamo sicuri che il trequartista sia la priorit&agrave; necessaria? Se l'obiettivo &egrave; sostituire Vidal, si trovi un altro Vidal. Qui non si parla di nessun ruolo, si parla di carisma, di capacit&agrave; nella gestione delle due fasi, di intelligenza, di forza fisica e di tutte le altre qualit&agrave; che hanno portato il cileno alle luci della ribalta.  @damorirne

Juve, Vidal via? Ora o mai pi&ugrave;

A poche ore dal match di ritorno tra Porto e Bayern Monaco, riviviamo il precedente pi&ugrave; illustre tra le due squadre, quando i lusitani vinsero la loro prima Coppa dei Campioni a danno proprio dei bavaresi. Correva l&rsquo;anno 1987, finale in programma al Prater di Vienna, sede abbastanza usuale tra anni Ottanta e Novanta (ben tre volte nell&rsquo;arco di otto anni).  Le squadre. Quel Bayern Monaco era composto da dieci giocatori tedeschi e uno belga, il portiere Pfaff. In realt&agrave;, tra i tedeschi, ce n&rsquo;era anche uno della Germania Est, il centrocampista Norbert Nachtweih, che nel 1976 approfitt&ograve; di una partita dell&rsquo;Under 21 in Turchia per fuggire da Oriente a Occidente insieme al compagno di squadra J&uuml;rgen Pahl: i due fuggiaschi si beccarono una squalifica di un anno da parte della Fifa e poi tornarono a calcare i campi da calcio. Tecnico della squadra era il grande Udo Lattek, uno dei tecnici pi&ugrave; vincenti della storia del calcio mondiale (assieme a Trapattoni, &egrave; l&rsquo;unico ad aver trionfato in tutte e tre le coppe europee). Il Bayern si presentava come favorito alla finale viennese, grazie a una rosa che vantava campioni assoluti, come i futuri interisti Andreas Brehme e Lothar Matth&auml;us. Di fronte, il Porto di Artur Jorge, capitanato dal difensore Jo&atilde;o Pinto e meno autarchico dei tedeschi. C&rsquo;erano infatti un polacco, il portiere Mlynarczyk, un algerino, Madjer, e tre brasiliani, Celso, Casagrande e Juary.  Il percorso. Rabat Ajax (Malta), Vitkovice (Cecoslovacchia), Br&oslash;ndby (Danimarca), Dinamo Kiev (Urss) gli avversari fatti fuori dai portoghesi; PSV (Olanda), Austria Vienna (Austria), Anderlecht (Belgio), Real Madrid (Spagna) quelli sbattuti fuori dalla porta da parte del Bayern. Anche il blasone delle squadre sbattute fuori dalla porta, nel percorso verso la finale, dunque, dava pi&ugrave; credito ai tedeschi rispetto al Porto, alla sua prima finale di Coppa dei Campioni (nel 1984 aveva perso la finale di Coppa delle Coppe contro la Juventus, unica sconfitta della storia della squadra in una finale europea).  E veniamo alla finale di Vienna. Le squadre si presentano prive dei rispettivi bomber: al Bayern manca Roland Wohlfarth, autore di quattro reti nell&rsquo;edizione interessata, al Porto Fernando Gomes, autore di cinque gol e Scarpa d&rsquo;oro nell&rsquo;83 e nell&rsquo;85. Non &egrave; l&rsquo;unica assenza in casa dei Drag&otilde;es: anche Jaime Pacheco e Lima Pereira devono saltare la gara pi&ugrave; importante mai giocata dal club. L&rsquo;avvio di gara d&agrave; ragione al Bayern, che dopo 25&rsquo; passa con il numero 11 Ludwig K&ouml;gl, che di testa sblocca l&rsquo;incontro, approfittando di un assist involontario di un difensore portoghese. All&rsquo;intervallo, i tedeschi conducono 1-0. Artur Jorge corre ai ripari togliendo il centrocampista Quim ed inserendo al suo posto un&rsquo;altra punta, il brasiliano Juary, ex giocatore di Avellino, Inter, Ascoli e Cremonese (22 reti in cinque stagioni italiane, tutte festeggiate con dei giri attorno alla bandierina del corner). Le speranze dei tifosi portoghesi sono riposte su Paulo Futre, attaccante che negli anni Novanta approder&agrave; alla Reggiana, ma che sar&agrave; goduto poco in Emilia, per colpa di un grave infortunio al ginocchio, che comprometter&agrave; la sua carriera. Ma Futre &egrave; nervoso e spreca tanto. Gli uomini della provvidenza diventano cos&igrave; proprio Juary e l&rsquo;algerino Madjer, quest&rsquo;ultimo uno dei calciatori africani pi&ugrave; famosi ai tempi. A cavallo tra il 78&rsquo; e l&rsquo;80&rsquo;, Juary e Madjer ribaltano la partita. Il brasiliano serve prima l&rsquo;assist all&rsquo;algerino, il quale supera Pfaff con un gol di tacco che gli varr&agrave; il soprannome di &ldquo;tacco di Allah&rdquo;. Poi, ecco lo scambio di ruoli: Madjer in versione assist-man e Juary in quella di finalizzatore. Dallo 0-1 al 2-1 in un batter d&rsquo;occhi. Il Porto si ritrova avanti e una volta sorpassati gli avversari, deve solo resistere nei dieci minuti finali, per portare a casa la sua prima Coppa dei Campioni. Per tornare al massimo successo continentale, i Drag&otilde;es dovranno attendere l&rsquo;avvento di Jos&eacute; Mourinho e l&rsquo;edizione del 2003-04. Per il Bayern invece &egrave; una grossa occasione persa per tornare sul tetto d&rsquo;Europa dopo il grande ciclo degli anni Settanta. In piccolo, una rimonta simile a quella che subir&agrave; nel 1999 contro il Manchester United. Due minuti di follia che costano un&rsquo;intera stagione.  Giovanni Del Bianco

Quando il Porto super&ograve; il Bayern col tacco di Allah

Franck Ribery ha lasciato la nazionale francese a 31 anni di et&agrave;, dopo averla servita quasi sempre (il quasi dipende dal comportamento suo e di met&agrave; Francia durante il Mondiale 2010 in Sudafrica, con il famoso sciopero dei neri pi&ugrave; Ribery) con onore in 81 partite e avere sfiorato il Mondiale nel 2006 nella squadra ai tempi allenata da Domenech. Lo ha deciso e comunicato in maniera trasparente, dicendo di volersi dedicare al Bayern Monaco, mentre in altri paesi ci si sarebbe messi d'accordo sottobanco con il commissario tecnico. Il caso Hackett-Italia, nella pallacanestro, insegna, paragonato ad altre defezioni eccellenti... Va detto che Ribery, assente per infortunio in Brasile, se ci avesse davvero tenuto sarebbe stato nell'ultimo Mondiale a disposizione di Deschamps: l'infortunio alla schiena era di quelli gestibili con qualche iniezione, ma ha preferito non rischiare il finale di carriera con il Bayern Monaco con cui ha ancora tre anni di contratto. Conclusione politicamente corretta? Il calcio delle nazionali importa sempre di meno a chi fa parte del giro dei grandi club, diversamente un campione relativamente giovane come Ribery non avrebbe preso questa decisione con l'Europeo 2016 (il primo a 24 squadre, purtroppo) da giocare in Francia. Abbiamo tenuto per la fine ci&ograve; che veramente pensiamo: Ribery, soprattutto dopo la sua conversione all'Islam, ha assunto nei confronti della Francia intesa come paese un atteggiamento polemico a prescindere e attribuisce ogni critica mediatica (e anche le cronache, tipo quelle sulla vicenda 2010 delle prostitute pi&ugrave; o meno minorenni) ad un'antipatia della Francia per cos&igrave; dire bianca nei suoi confronti. Se a questo si somma il fatto che Blanc prima e Deschamps poi abbiano cercato di convocare qualche francese 'tradizionale' in pi&ugrave; fra i Bleus, si capisce come questo addio non sia dovuto solo al desiderio di comprendere meglio gli schemi di Guardiola.  Twitter @StefanoOlivari

Ribery francese a met&agrave;

Il Bayern Monaco, modello di tutti quelli che vogliono copiare la Germania dimenticando di non avere a disposizione l'ingrediente pi&ugrave; importante (cio&egrave; i tedeschi), aveva davvero cos&igrave; bisogno di 30 milioni di euro? &Egrave; la prima domanda da farsi adesso che Toni Kroos &egrave; diventato ufficialmente un giocatore del Real Madrid con un contratto fino al 2020 da circa (il meccanismo &egrave; a salire) 11 milioni di euro lordi a stagione. La risposta &egrave; ovviamente no, nel senso che un club cos&igrave; ricco e bene amministrato, macchina che prescinde dai singoli (basti pensare a come &egrave; stata assorbita la carcerazione di Hoeness), non aveva certo bisogno di questa cifra. Importante, superiore tanto per fare un confronto a quanto speso dalla Roma per Iturbe che da noi sembra un colpo epocale, ma non decisiva per il futuro del club e nemmeno per il suo presente, essendo il quarto club al mondo per fatturato. E allora? Nel calcio-azienda i giocatori vanno venduti al massimo della loro parabola. E quale miglior momento per vendere uno come Kroos, che acquistato sedicenne praticamente per niente adesso ha la visibilit&agrave; planetaria di un Mondiale vinto? Da titolare, cambiando anche posizione nel corso del torneo segnando gol televisti da miliardi di persone (in questo caso davvero, non come quando dobbiamo pompare i nostri derby). Il contratto di Kroos, 24 anni, con il Bayern, sarebbe scaduto il prossimo giugno e l'adeguamento a cifre da Robben non era in alcun caso previsto. La storia dir&agrave; se il Real ha fatto un colpo pazzesco, a sconto, o se si &egrave; solo messo in casa una riserva di superlusso come &egrave; nello stile delle gestioni Perez Uno e Due. Di certo il calcio che si autofinanzia funziona cos&igrave;, anche se noi continua a sembrare strano e 'brutto'. Tutto per&ograve; dipende dalla propriet&agrave;: un atteggiamento simile &egrave; accettabile in un club a propriet&agrave; diffusa come &egrave; appunto il Bayern, mentre lo &egrave; meno dove c'&egrave; un azionista di maggioranza forte o un proprietario unico. Possedere una squadra di calcio non &egrave; un obbligo, quindi la retorica aziendalista su Thohir, Berlusconi, Agnelli, Lotito, eccetera, &egrave; davvero degna di miglior causa.  Twitter @StefanoOlivari

La visibilit&agrave; di Kroos

Il Bayern Monaco di Guardiola &egrave; stato asfaltato dal Real Madrid di Ancelotti, molto al di l&agrave; del pur chiaro 0-5 nell'arco delle due partite di semifinale, con quella al Bernabeu giocata fra l'altro meglio di quella in casa (sfiorando pi&ugrave; volte il pareggio e dando l'idea comunque di essere in salute). La sostanza dell'eliminazione non &egrave; il risultato, perch&eacute; fra le inglesi e le quattro altre corazzate (PSG, Real Madrid, Barcellona e appunto il Bayern) &egrave; chiaro che ogni anno uno vince e gli altri no, ma la scarsa convinzione che i campioni d'Europa in carica hanno manifestato un po' in tutta questa Champions League, arrivando quasi fino in fondo per manifesta bravura e per quello che il c.t. del basket azzurro Pianigiani definisce 'il vissuto della squadra'. In altre parole, la squadra che ha dominato la Bundesliga potendosi permettere di giocare sottoritmo (ma era cos&igrave; anche per il Bayern di Heynckes) non &egrave; arrivata nel modo giusto all'appuntamento pi&ugrave; importante della stagione. Da questo al fallimento, di una stagione o addirittura di un'idea di calcio, passa un oceano. Prima di tutto perch&eacute; nelle stagioni passate il Bayern giocava esattamente come si &egrave; visto contro il Real (Guardiola si &egrave; anche astenuto dalla magata di Lahm centrale di centrocampo, vista pi&ugrave; volte in stagione) e la Champions l'ha vinta una volta sola, soffrendo le pene dell'inferno con il Borussia Dortmund, dopo un decennio di delusioni in finale o nella fase calda. E poi perch&eacute; Guardiola, che dopo l'anno sabbatico aveva a disposizione mille panchine con ingaggio a suo piacimento, ha scelto la sfida pi&ugrave; difficile: andare in un posto dove si era appena vinto, avendo la consapevolezza che come risultati si potesse al massimo pareggiare, ma con la volont&agrave; di proporre un'idea di calcio universale, senza i vantaggi ambientali di Barcellona. Non c'&egrave; riuscito? Tutti saprebbero vincere la Bundesliga con questo Bayern e anche con il prossimo, quello con Lewandowski? Forse. Ma quando i Guardiola non vincono si ha la sensazione di non avere buttato via del tempo, quando non vincono quelli 'da risultato' (il migliore di tutti &egrave; secondo noi Mourinho, ma anche il contropiedista Ancelotti fa parte di questa categoria) si avverte invece il vuoto. Un dibattito eterno, di sicuro Guardiola &egrave; furbo a vendersi cos&igrave; perch&eacute; i suoi fallimenti sono e saranno sempre meno... fallimentari. Sar&agrave; anche per questo che molti colleghi fra gli 'altri' lo detestano mentre i giornalisti, sempre alla ricerca non di notizie ma di un guru in cui credere, lo amano. L'unica certezza &egrave; che il possesso palla (cos&igrave; come il contropiede di altri tecnici) non &egrave; un crimine, come sembra essere diventato stamattina, visto che fino a ieri era l'arma migliore per difendersi senza affanno e attaccare al momento giusto. Tante foreste sono state disboscate invano? Sono bastati due gol presi su azione da calcio piazzato, notoriamente colpa del tiqui-taca, per cambiare opinioni granitiche.

34 risultati per 'Bayern%20Monaco'

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