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Quando Scirea esordì in Nazionale

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Il futuro campione del mondo giocò la prima partita in azzurro a Firenze: il 30 dicembre 1975, Italia-Grecia finì 3-2 e la sua prestazione fu oggetto di qualche critica.

Quando, il 30 dicembre 1975, Gaetano Scirea scese in campo allo Stadio Artemio Franchi di Firenze per la sua prima partita in maglia azzurra, la Nazionale italiana stava attraversando un momento difficile della sua storia. Il ricordo della deludentissima spedizione al mondiale in Germania dell’anno precedente non era ancora svanito in un’opinione pubblica che assisteva con profondo scetticismo all’opera di ricostruzione che Fulvio Bernardini ed Enzo Bearzot stavano portando avanti. Uno scetticismo avallato dai risultati: gli azzurri non erano riusciti a qualificarsi per la fase finale di Euro 1976 e la fiducia nella possibilità di andare ai campionati del mondo che si sarebbero tenuti in Argentina nel 1978 era davvero ai minimi. E se, da una parte, l’idea che fosse indispensabile testare nuovi talenti con i quali provare a costruire un ciclo era condivisa, dall’altra la disponibilità della critica a scendere a patti con la necessità di dare tempo ai giovani per maturare e trovare sicurezze, anche sbagliando, era molto limitata.

La prima convocazione

L’amichevole di fine anno che la Nazionale doveva disputare a Firenze contro la Grecia si immergeva in questo clima. Come anticipato, era il 30 dicembre 1975 e, per l’occasione, la direzione tecnica degli azzurri aveva deciso di convocare in prima squadra il ventiduenne Gaetano Scirea, prodotto del vivaio dell’Atalanta approdato alla Juventus nell’estate del 1974. Un giocatore sul quale Boniperti investì non poco: 700 milioni di lire oltre ai cartellini di Giorgio Mastropasqua, Gian Pietro Marchetti e la comproprietà di Giuliano Musiello. Inserito ormai stabilmente nel gruppo dei titolari bianconeri, con i quali aveva vinto il primo scudetto della carriera nel 1974-75, in quell’Italia-Grecia il giovane libero sarebbe stato provato al posto di un monumento del calcio italiano come Giacinto Facchetti che, superati ormai abbondantemente i trenta, aveva rinunciato alle scorribande offensive sulla fascia sinistra e si era ritagliato uno spazio più maturo nel reparto difensivo alle spalle dei compagni che giocavano in marcatura. La scelta di Bernardini e Bearzot nasceva non solo dal fatto che Scirea faceva parte della nuova generazione di calciatori italiani che si affacciava alla ribalta ma, soprattutto, dal modo con il quale si era posto all’attenzione del pubblico e della critica, che intrigava molto i selezionatori azzurri.

Le doti tecniche

Il suo stile, che risentiva positivamente dei suoi trascorsi nelle zone più avanzate del campo e di una tecnica di base qualitativamente elevata, gli dava naturalezza nell’impostare il gioco dal basso, cosa piuttosto rara a quei tempi, tanto da essere una prerogativa esclusiva degli interpreti di valore assoluto del ruolo come Franz Beckenbauer. Bernardini, se aveva qualche riserva nei suoi confronti, la nutriva per via delle sue capacità nel gioco aereo, che non era un fondamentale nel quale Scirea spiccava. Un’area di miglioramento alla quale sapeva sopperire con senso dell’anticipo e lettura ottimale dello sviluppo delle situazioni di gioco. In quella partita d’esordio, diversi erano i compagni con i quali Gaetano aveva la confidenza degli allenamenti quotidiani. Zoff in porta, Gentile a metà tra marcatura e fase di appoggio sulla fascia, Benetti, Capello e Causio in mezzo al campo erano gli juventini che avrebbero dovuto rendergli meno ansioso il primo impatto con la maglia azzurra. Che, non avendo bisogno la sua carriera di decori agiografici, a onor del vero non fu indimenticabile.

La critica

Le cronache dell’epoca raccontano di un ragazzo piuttosto timido negli appoggi alla manovra offensiva e fragile nei contrasti, tanto da lasciare qualche spazio aperto nell’assetto difensivo nonostante Capello, soprattutto nelle rare proiezioni offensive che si era concesso, andasse a supportarlo. Nel post-partita, Scirea fu costretto a difendersi dalle aspre domande dei cronisti, che gli rimproverarono di aver trasmesso insicurezza alla difesa e una scadente copertura nelle azioni determinanti della Grecia. Gaetano, con l’arrendevole trasparenza che lo contraddistinse sempre, confessò di aver pagato dazio all’emozione nelle prime fasi della partita (finita 3-2 per l’Italia) e, con l’avanzare dei minuti, di non essersi concesso troppe licenze offensive “perché i nostri avversari attaccavano con pericolosità e sarebbe stato poco prudente allontanarsi dall’area”. Uno Scirea quasi snaturato nel modo di giocare se paragonato a quello che, sette anni dopo, palleggiava nell’area di rigore della Germania Ovest in attesa del gol di Tardelli. Ma lui, introverso e taciturno, sapeva di non dover strafare in quella partita, limitandosi a “tentare di fare poche cose ma bene”.

Ai mondiali del 1978

Quell’Italia-Grecia fu la sua prima partita in Nazionale e rimase unica per quasi un anno. Facchetti riprese il suo posto: per vincere il girone di qualificazione che portava al mundial del 1978 contro un’Inghilterra che faceva paura, il suo carisma era considerato più prezioso del talento emergente di Scirea, che veniva chiamato in causa nelle partite amichevoli per sciogliere i lacci di un’inesperienza che in Argentina sarebbe stata imperdonabile. Già, perché alla fine il libero titolare dell’Italia al campionato del mondo fu lui, grazie anche all’onestà intellettuale di Facchetti che, in condizioni fisiche non ottimali a causa di un infortunio accusato nell’ultima parte della stagione, comunicò a Bearzot di volersi fare da parte. Un passaggio di testimone ideale tra due icone del calcio italiano, campioni per qualità tecniche oltre che esempi di integrità morale.