In quella squadra era uno dei più tranquilli. Non che ci volesse molto, ricordando la Lazio campione d'Italia del 1974, ma Felice Pulici oltre ad essere il portiere, quindi il primo a comparire nelle distinte e nei ricordi della formazione-tipo, si faceva notare soprattutto per ciò che non faceva, rispetto ai più turbolenti compagni. Qualcosa combinava, non mancavano mai le scaramucce tra quei due clan (Chinaglia da una parte, Martini dall'altro) che non si sopportavano ma che in campo trovavano un'inaspettata unità; tuttavia anche in campo il suo ruolo lo obbligava a una concentrazione maggiore.
Il brianzolo a Roma
Portiere, Mosè come secondo nome a sottolinare l'ambiente molto cattolico da cui proveniva, dalla "Brianza velenosa" come avrebbe cantato anni dopo Lucio Battisti. Lui stesso cattolico praticante, sempre a messa anche quando andrà alla Lazio. Nato comunque in provincia di Monza, a metà strada tra Milano e Como, e un destino che sembra dovergli riservare un posto alla catena di montaggio. L'oratorio come pratica, un grande classico di quell'epoca, anni Cinquanta-Sessanta, se arriva l'osservatore giusto bene altrimenti si rimane a giocare con i propri sogni. Seregno, e poi Lecco in Serie B: il balzo è fatto. Da Lecco a Novara, una carriera che sembra dirigersi tutta al nord, dove le squadre non mancano anche a buon livello. Nel luglio 1972, dopo 4 anni al Novara, la chiamata di un club che ha dei colori simili a quelli dei piemontesi: la Lazio. Già sposato, già con una famiglia, il balzo nella capitale per uno che non è mai uscito dal nord-ovest potrebbe essere da vertigini. Per adattarsi va a vivere assieme a Re Cecconi e Frustalupi, suoi nuovi compagni di squadra, in una pensioncina nel quartiere Parioli. Anche così si fa gruppo. Il resto lo decide il campo.
12 maggio 1974, giorno doppiamente storico
Quella Lazio, appena risalita dalla Serie B alla Serie A, è da subito una macchina da guerra. Nonostante molti non si possano vedere, il gruppo in campo è un blocco di cemento, a cominciare da lui, da Felice Pulici con le sue parate precise, le sue "pinzate" al pallone, con o senza guanti. E se proprio ne deve prendere, di guanti, li sceglie di lana perché migliori degli altri. La filastrocca si compone subito: Pulici, Petrelli, Martini, giù giù fino a Chinaglia, Frustalupi e D'Amico.
Maestrelli è il suo mentore, come per tutti i membri di quella squadra unica nella storia del calcio italiano. Intoccabile titolare in porta, nei cinque anni laziali non salta una partita di campionato, al massimo viene sostituito una volta nella stagione della quasi-retrocessione, a Firenze, dopo l'intervallo di una gara persa 4-3. Presente anche quando, il giorno dello scudetto del 12 maggio 1974, la moglie partorisce il secondogenito Gabriele. Tornerà alla Lazio a fine carriera, come riserva di Marigo, per poi entrare nello staff della Primavera. Intanto si è laureato in Legge, diventando esperto di diritto sportivo e nello staff degli avvocati della Lazio. La sua morte, nel 2016 a 81 anni, ha commosso tutti i tifosi biancocelesti che mai si erano dimenticati di lui.