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Briegel, il carrarmato dello scudetto

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Il tedesco vinse uno storico tricolore col Verona nel 1985, poi alla Sampdoria alzò al cielo la Coppa Italia con un gol nella finale d'andata contro il Torino

Nel 1986 il pessimismo pervade la penisola italiana. Quattro anni dopo la sbronza in Spagna, la Nazionale è stata eliminata agli ottavi nel Mondiale messicano, il primo governo Craxi ha appena rassegnato le dimissioni, la serie A è travolta da un nuovo caso scommesse e la Federcalcio è indagata per lo scandalo dei fondi neri. Solo a Verona sembra trovarsi qualcuno disposto a sorridere, un tedesco. Vinto lo scudetto 1985, l'anno dopo i gialloblù disputano per la prima volta la Coppa dei Campioni, ma “la festa s'è rotta” come scrive Repubblica già nell'agosto 1985. Garella è passato al Napoli, Fanna e Marangon all'Inter, ma più delle cessioni – e del cambio al vertice della società – è la maturata consapevolezza di aver vissuto una favola irripetibile a guastare l'umore generale. La deludente campagna europea e il decimo posto finale in campionato sono come i titoli di coda in chiusura di un'epoca, così in estate partono pure Galderisi e Briegel, bomber e idolo scudetto. E allora chi è quel tedesco felice? Il giovane difensore dell'Eintracht Francoforte Thomas Berthold, che ha messo nero su bianco il suo passaggio sull'Adige nel 1987-88: “Durante i Mondiali ho parlato a lungo con Rummenigge e anche con Briegel, mi hanno spiegato quant'è bello giocare in Italia e come si vive bene da voi. Mi sembra tutto perfettamente in ordine” afferma, con lo sguardo rivolto non più in là del suo futuro conto in banca. Per molti è l'erede di Briegel, ma a Verona sanno bene che uno come Hans-Peter, quello che a inizio carriera a Kaiserslautern tutti chiamavano “Gorilla” ma che ha trascinato l'Hellas a quel tricolore irripetibile, nasce ogni cento anni.

Briegel il pentatleta

Ex lunghista, triplista e centometrista, figlio di agricoltori, Briegel avrebbe potuto tranquillamente fare carriera nel pentathlon, ma “decisi che il calcio era meglio dell’atletica. Meno sacrifici, meno allenamenti. Così potevo continuare a studiare”. Comincia proprio con il Kaiserslautern e lo fischiano perché a tanto fisico non abbina doti tecniche eccelse: “Mi venivano le lacrime agli occhi e più d’una volta fui sul punto di mandare tutti a quel paese”, ma lavora e lavora sui suoi difetti e diventa un idolo. Comincia attaccante, retrocede a stopper, terzino sinistro, mediano, ma ovunque il suo dinamismo e la sua tenuta atletica, uniti a un gran tiro e a una tecnica in continuo miglioramento, spiccano. Nel 1980 è eletto miglior giocatore di Germania. Esordisce in Nazionale, vince l'Europeo dello stesso anno e conquista la finale del Mondiale 1982 contro l'Italia, dove procura suo malgrado il rigore poi sbagliato da Cabrini: “Se rigiocassimo fra cinque giorni sono certo che il titolo lo vinceremmo noi” prova a consolarsi. E pure se confessa che “nella ripresa non ce la facevo più a stare dietro a Conti” entra nelle grazie dei club di serie A.

Briegel scrive la storia col Verona

Nell'estate 1984 ci prova il Napoli, e se la cosa non va in porto è solo perché Briegel tira troppo la corda dal punto di vista contrattuale, e ci riesce il Verona: “I miei programmi erano diversi. Io avrei voluto recarmi in Italia per passare un periodo di vacanza sul Lago di Garda. Ora invece le mie vacanze le devo passare in Germania per venire poi a lavorare in Italia” si lamenta curiosamente lui dopo la firma. Poi, per il bene di tutti, giunge a più miti consigli. Nell'anno dello scudetto, presentato ai primi di luglio con il danese Elkjaer, mette subito in chiaro alla prima giornata cos'è in grado di fare. In Verona-Napoli, esordio in campionato di Maradona, si incolla al Pibe, lo annulla e trova il tempo per segnare di testa il primo gol nel 3-1 finale dei suoi: “Mi è venuto un po' da ridere” ricorda. Il Bentegodi si stropiccia gli occhi per il suo panzer: “Troppo 'piccolo' l'argentino di fronte al colosso Briegel” pontifica Annibale Frossi sul Corriere. In campionato Hans-Peter segna nove gol, pur partendo da posizione arretrata, e le sue cavalcate attraverso il campo sconquassano la serie A più di una mandria di bufali che attraversa le praterie americane travolgendo tutto ciò che incontra.

Il trasferimento alla Sampdoria

Nell'estate 1986, settimane prima che la futura meteora Berthold si feliciti per il suo passaggio nella bella Italia, Briegel si trasferisce alla Sampdoria. Per i giornali ha “tradito” per soldi la promessa fatta con una stretta di mano al presidente veronese Chiampan. Tuttavia, il motivo reale della sua partenza sono le esigenze di bilancio di una società che dopo aver fatto il grande salto nel calcio che conta, ora deve rientrare nei ranghi. A Genova arriva da sconfitto, un'altra volta, in una finale Mondiale. All'Azteca di Città del Messico stavolta non è riuscito a fermare Maradona e il suo errore sul lancio di Diego in occasione del gol del decisivo 3-2 di Burruchaga pesa come un macigno: “Due finali di un Mondiale si possono anche perdere, però sapere arrivare sino in fondo è un merito. Per questo ammetto di non avere rimpianti” confessa lui in controtendenza.

In blucerchiato, ormai trentunenne, Briegel non è più dirompente come a Verona, il suo incedere non squassa più le linee avversarie come in passato. Salta subito sei partite di campionato, tra cui il ritorno al Bentegodi, e a fine stagione la Samp chiude al sesto posto. Ben due posizioni dietro a un Verona che sembra tornato quello di due anni prima. Senza di lui. Va decisamente meglio nel 1987-88, quando la Sampdoria chiude quarta e vince la Coppa Italia con un gol nella finale di andata proprio di Briegel. Va meno bene il suo grande ritorno a Verona, il 7 febbraio 1988: Briegel sfiora il gol dell'ex di testa, la Samp va in vantaggio con Vialli, poi nel secondo tempo la partita cambia e dopo Pacione e Volpecina, segna addirittura Berthold a porta vuota. È il primo gol in A del “nuovo Briegel”, l'unico quell'anno, segno evidente che tra lui e chi l'ha preceduto c'era poco da spartire. A fine anno Hans-Peter si ritira, prova come allenatore ma non è il suo, così si trasferisce in Messico fondando un'associazione benefica che aiuta i ragazzi di strada. Proprio lì dove ha perso la sua seconda Coppa del Mondo su due. Un bis molto meno improbabile di quel pazzo, meraviglioso scudetto vinto dal Verona grazie al suo straordinario panzer.