Nel marzo 1983 Ludo Coeck, regista belga dell'Anderlecht, è nel mirino del Milan. Il Corriere lo raggiunge nel ritiro della nazionale e il biondo ventisettenne di Berchem, provincia di Anversa, è di una sincerità adamantina: “Innanzitutto è un problema di soldi, ma so che in Italia gli stranieri sono meglio pagati di noi” le sue parole in apertura d'intervista. Acquistato dai bianco-malva dieci anni prima per circa 350 milioni di lire, da sempre Coeck è considerato l'erede di Paul Van Himst, il Pelé belga. A Bruxelles conquista due campionati, tre Coppe del Belgio, altrettante Coppe delle Coppe e Supercoppe europee. Indossa il numero dieci e al termine della stagione 1982-83 vincerà pure la Coppa Uefa. È tra i migliori centrocampisti d'Europa e Ilario Castagner, tecnico rossonero, se n'è invaghito. L'interesse è reciproco. A Spagna 1982 il mondo lo ha ammirato segnare un gol da quaranta metri a El Salvador e contro l'Argentina cancellare dal campo Maradona con una prestazione clamorosa, ma per lui l'Italia è come la kryptonite per Superman: radioattiva e velenosa. Già nel 1980 Coeck era stato costretto a seguire da casa gli Europei disputati tra Roma, Milano, Napoli e Torino e chiusi dal Belgio al secondo posto: “La più grande delusione della mia vita”. Ma quello che ex post potrebbe essere visto come un presagio funesto, all'epoca non destò sospetti: “I milanisti non rischiano con me. Sono separato da mia moglie e non ho conti da rendere a nessuno, nemmeno a mia madre!” dichiara ironico, ricordando la vicenda di Jan Ceulemans che due anni prima aveva rinunciato ai rossoneri su insistenza della mamma. Ad aprile, con il Milan che dà spettacolo in cadetteria, Castagner si espone: “Dipendesse da me avrei già chiuso la trattativa per Coeck un mese e mezzo fa”. Il 20 porta con sé Franco Baresi a Bruxelles per osservarlo nella semifinale di ritorno di Coppa Uefa contro i Bohemians di Praga, ma di nuovo i malefici influssi italici mettono tutto a repentaglio. Coeck si è infortunato alla spalla sinistra il sabato precedente e per i medici ha “una possibilità su due di giocare”. Scende comunque in campo e pure se non è al meglio al termine della gara si ferma a discutere del suo futuro con Castagner e il vicepresidente milanista Nardi in una brasserie.
Coeck obiettivo del Milan, ma va all’Inter
Il trasferimento sembra imminente, ma Farina non è d'accordo e a furia di tentennare favorisce l'inserimento dell'Inter. Mazzola aveva preso Falcao dalla Roma per la regia, ma una telefonata di Andreotti a Fraizzoli fa saltare tutto, così i nerazzurri presentano all'Anderlecht un'offerta da un miliardo e trecento milioni e chiudono l'affare. Castagner, che sognava una coppia di Diavoli Rossi in rossonero con il neoacquisto Gerets, rimane deluso, ma l'Inter finirà per pentirsene. È stato Rino Marchesi a volere Ludo, al suo fianco alla presentazione del 20 giugno, ma al raduno il giocatore trova Radice: “Non avrò problemi, anche se il mister mi aveva già spiegato cosa avrei dovuto fare” dichiara senza polemiche in un discreto italiano. Parla in francese, inglese, tedesco, fiammingo e spagnolo e racconta di aver imparato la nuova lingua leggendo un libro per una ventina di minuti. Un fenomeno. Di fianco a Mazzola sembrano padre e figlio: i biondi capelli vaporosi, il baffo curato, uno stuzzicadenti perennemente all'angolo della bocca che gli varrà il soprannome di “Stecchino”. Lo “stile Coeck” già affascina. Arrivato a Milano, in due ore trova un appartamento in affitto – un “miracolo” in piena crisi degli alloggi – e nel centrocampo interista è subito di casa. Radice spiega che “sotto il profilo tattico i calciatori belgi sono più avanti degli altri”, tuttavia sul piano fisico Ludo è un disastro: il 13 agosto, in un'amichevole a Livorno, si stira un muscolo e comincia un calvario. Lo definiscono il “giallo Coeck”. Tra distorsioni alla caviglia, dolorose botte al costato, operazioni mediche mal riuscite e infortuni durante la pausa nazionali, in campionato disputa appena nove partite senza mai segnare e a fine anno viene sbolognato all'Ascoli di Mazzone. I tifosi lo accolgono come un profeta, ma i problemi fisici lo perseguitano pure nelle Marche.
La parentesi all’Ascoli e la morte prematura
Nel contratto con l'Inter, il patron Rozzi ha fatto inserire una clausola che permette ai bianconeri di ottenere un rimborso e di restituirlo se non è in perfette condizioni fisiche, quasi fosse un pacco postale danneggiato. Quando i medici scoprono che Ludo ha una malformazione all'anca e una gamba più corta di tre centimetri, scatta il diritto di resa. “I dirigenti nerazzurri non volevano che avvertissi l'Ascoli dei miei persistenti dolori alla caviglia” confessa con sincerità Coeck, guastando i rapporti con il nuovo presidente Pellegrini, già costretto a pagargli lo stipendio controvoglia. Nel suo ruolo è stato preso Brady e l'altro straniero è Rummenigge, così il regista belga è in soprannumero: “Mi terrorizza l'idea di non giocare più”. Torna in Belgio, inganna il tempo allenandosi con una squadra giovanile e incide una versione rock dell'inno nazionale per raccogliere fondi per la carestia in Etiopia. Poi, il 7 ottobre 1985, la serie di sfortunati eventi che lo ha travolto vira in tragedia: alle 20 circa, nei pressi della natia Anversa, la sua BMW perde aderenza sull'asfalto bagnato e si schianta tra un camion e lo spartitraffico. Quando arriva in ospedale lo dichiarano clinicamente morto per emorragia cerebrale, lo spappolamento del fegato e altre lesioni, ma provano a operarlo con poche speranze. È tutto inutile e Ludo Coeck muore la mattina del 9 ottobre 1985. “Spero che l'Italia mi ricordi come il giocatore che ha vinto il maggior numero di scudetti della sfortuna” aveva sdrammatizzato lasciando l'Inter. Purtroppo, era solo l'inizio.