Giovedì 5 maggio 1983 sui giornali appare una fotografia curiosa. Ritrae Gianpiero Marini, una vita da mediano nell'Inter, con gli occhi socchiusi, l'espressione addolorata, i capelli sparati in aria e una miriade di elettrodi collegati alla testa. Gli stanno facendo un elettroencefalogramma. Domenica primo maggio, Inter e Juventus si sono giocate a Torino uno spareggio per il secondo posto in classifica e ad avere la peggio è stato il povero Marini, colpito da un mattone. I bianconeri erano a tre lunghezze dalla Roma capolista, con appena tre gare ancora da giocare e sei punti in palio, mentre i nerazzurri inseguivano la coppia di testa a meno due dai torinesi.
La tensione prima della gara
Come prevedibile, la tensione nella settimana che precede la gara è alle stelle. Vincendo a Catanzaro, in concomitanza con lo 0-0 a Milano tra interisti e giallorossi, la Juventus ha rosicchiato un punto alla Lupa e vincendo il derby d'Italia in casa sogna di mettere ulteriore pressione a Di Bartolomei e compagni. A Roma si tifa per un pareggio tra le inseguitrici, ma quando c'è di mezzo la Juve è difficile restare calmi. Er gol de Turone è passato da meno di due anni e persino Boniperti ha da tempo abbandonato il celebre “stile” sabaudo in favore di critiche sferzanti al sistema calcio. Perché quando in classifica s'insegue, un po' di sano vittimismo non guasta mai. Pruzzo, al termine della gara a San Siro, mette da parte diplomazia e riti scaramantici: “È fatta! Siamo la Roma-scudetto” dichiara al Corriere. Liedholm ci va molto più cauto: “Non è cambiato nulla con il calcolo delle probabilità, trentacinque per la Roma, trentacinque per la Juventus e trenta per l'Inter”. E a chi gli chiede di firmare i gagliardetti con il secondo tricolore giallorosso stampato sopra, rifiuta l'autografo. A Roma già da un po' di tempo sono in vendita piatti, posate, tovagliolini e bicchieri con i colori della squadra, per permettere di festeggiare il tricolore in grande stile. E l'articolo più venduto sono delle provocanti mutandine giallorosse per signora, idea di una boutique del centro. All'entusiasmo capitale, Torino risponde con nervosismo e un po' di livore e l'arrivo degli odiati interisti infiamma ulteriormente animi già eccitati. Dopo aver battuto in semifinale il Widzew Łódź, la Juventus è attesa ad Atene il 25 maggio per giocarsi da favorita la finale di Coppa dei Campioni contro l'Amburgo, ma pure di fronte a un obiettivo tanto prestigioso quanto alla portata, rendere onore con cavalleria a chi ti ha soffiato lo scudetto è impensabile. Addirittura Mario Soldati, intellettuale e letterato raffinatissimo, si getta nell'agone augurandosi che la Roma venga superata al fotofinish: “Sarebbe giusto e anzi utile all'Italia che la vecchia città piena di guai non fosse rivitalizzata, ingannevolmente, dall'ondata di freschezza della gloria sportiva”. L'Inter, da par suo, non pensa più allo scudetto e Mazzola, intervistato, mette in chiaro il vero obiettivo di fine campionato: “Dobbiamo soffiare ai bianconeri il secondo posto”.
Cannonieri e palloni d'oro
Alla vigilia del big match tiene banco la sfida per il titolo di capocannoniere tra l'interista Altobelli e lo juventino Platini, mentre Paolo Rossi, che rientra da un infortunio, riceverà il Pallone d'oro da due emissari di France Football. Ci sono tutti gli ingredienti “per una grande giornata di sport” come forse direbbe de Coubertin, ma l'uomo della strada manca di afflato poetico. Quando il pullman interista arriva all'ingresso dello stadio Comunale, piovono sul mezzo tre mattoni, simbolo concreto di un odio che di sportivo ha poco, pochissimo. Un vetro s'infrange e Gianpiero Marini, seduto all'interno, viene colpito, ricoverato per accertamenti e obbligato a saltare la gara: “Ho visto arrivare quattro o cinque mattoni. Non so se l'ultimo o il penultimo mi è piombato sulla testa. Colpito di striscio, ho sentito un gran dolore. Mi avesse colpito alla tempia, addio, mi avrebbe ammazzato”. In campo la Juventus è nervosa. Reclama rigori, protesta, pasticcia, passa due volte sotto di due gol, poi tira fuori l'orgoglio e rimonta. Una partita spettacolare si conclude sul 3-3, con due gol di Platini e il pareggio di Bettega a tredici minuti dal novantesimo. All'orizzonte, però, spunta un guastafeste in toga e martelletto: in una decina di giorni il risultato si trasformerà in 2-0 a tavolino. Prima del fischio d'inizio, i nerazzurri hanno consegnato all'arbitro il certificato medico di “Pinna d'oro”, come Brera aveva soprannominato Marini per via dei suoi piedi all'infuori, e acquisito il documento incriminante il tribunale non può fare altro che procedere a norma di legge. “La Juve l'abbiamo battuta sul campo. Il colpo del k.o. potrebbe darlo il giudice sportivo e a me non sta bene” dichiara infuriato il presidente della Roma Viola, che si sognava campione senza polemiche. “Sconfitta a tavolino alla Juve? Che assurdità, se io passeggio in via Montenapoleone a Milano e prendo una sassata, danno la vittoria alla Juve?” si domanda Trapattoni con logica discutibile, infiammando ulteriormente gli animi. Boniperti, inacidito, parte per Fiuggi a “curarsi il fegato”, come sostiene il Corriere, ma l'unico che avrebbe i motivi per infuriarsi è Marini. Il mediano campione del mondo, un pezzo di storia interista, una volta dimesso dall'ospedale rinuncia ad andare a pesca come programmato: “Se tocco la parte colpita, sento un po' di male”. Tutto sommato gli è andata di lusso. L'ennesimo colpo subito dalla credibilità dell'intero movimento, però, è più forte e come accade nei casi di trauma cranico, subentra l'amnesia selettiva. La Roma vince il campionato sul campo pareggiando a Genova alla penultima, così alla fine quel mattone è solo ulteriormente alimento della rivalità tra Inter e Juventus. Sabato 13 settembre verrà scritto l'ennesimo capitolo di un'inimicizia che negli anni ha assunto i contorni della faida, dal 9-1 in cui l'Inter schierò la Primavera, passando per Ronaldo e Iuliano e proseguendo con Calciopoli e lo “scudetto di cartone”. Con la speranza, almeno quella innocente, che vicende come quella capitata a Marini non si ripetano.