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Tre sostituzioni, cartellini rossi e altre innovazioni

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Nel tempo le regole nel calcio sono cambiate e si sono modificate modellando il gioco fino alla versione attuale

Il calcio d'inizio deve essere un calcio piazzato. Caricare è regolare. Spingere con le mani è permesso. Il pallone può essere colpito con le mani. Ogni giocatore deve procurarsi un copricapo di flanella o rosso o blu scuro, da assegnare a seconda del colore a ciascun giocatore. Se vi state chiedendo di che diavolo si tratta, la risposta non è sicuramente la più ovvia: stiamo parlando di calcio. È un estratto delle “Sheffield Rules”, che nel 1858 hanno provato a dare dei confini chiari al gioco del football che stava spopolando in quel di Cambridge. Ma negli ultimi centodiciassette anni di cose ne sono cambiate parecchie nello “sport più bello del mondo”.

Correva l’anno 1995

Il 27 agosto, ad esempio, saranno passati trent'anni dall'introduzione di una regola che oggi è già stata superata, ma che all'epoca rappresentò una mezza rivoluzione: le tre sostituzioni indipendenti dal ruolo. I primi a effettuarle in A, tra le diciotto squadre totali, furono dieci allenatori i cui nomi detti uno dopo l'altro potrebbero essere la ninna nanna ideale per far addormentare felice ogni calciofilo dai trentacinque anni in su: Bianchi, Boskov, Cagni, Lippi, Mondonico, Ranieri, Scala, Trapattoni, Zaccheroni, Zeman. Pura poesia. Fino al 1965 in caso d'infortunio del portiere le squadre italiane erano obbligate a giocare in dieci e a sostituirlo con un giocatore di movimento. Una doppia sciagura. Il compagno più grosso tra quelli in campo era quindi costretto a indossare i guantoni e a mettersi alla prova tra i pali, con esiti spesso disastrosi. Il primo numero dodici a subentrare al titolare infortunato fu il foggiano Gastone Ballarini, che al diciassettesimo del secondo tempo di una sfida con la Juventus sostituì il titolare Giuseppe Moschioni, infortunato in uno scontro con il bianconero Traspedini. I diavoletti del Foggia, quel 5 settembre 1965 entrarono così nella storia per quella maglia mai indossata prima sui campi della Serie A. “La sostituzione avviene a esclusivo giudizio dell'allenatore e l'arbitro non è tenuto ad accertarne il motivo. Il giocatore con il numero dodici deve sostare in panchina indossando la divisa prescritta e rendersi subito disponibile in caso di necessità” spiegava il Corriere agli straniti lettori.

Le svolte successive e la “staffetta”

Era una modifica “sperimentale”, ma già ai Mondiali 1966 si cominciò a parlare con insistenza della necessità di estendere il cambio anche ad altri ruoli: l'infortunio di Bulgarelli a metà primo tempo nella sfida nefasta contro la Corea del Nord, che obbligò l'Italia a giocare in dieci per più di un'ora, fu benzina sul fuoco. Così dal 1968-69 si introdusse anche il tredicesimo uomo, reso celebre dalla “staffetta” Rivera-Mazzola ai Mondiali di Messico 1970 e da core 'ngrato Altafini, che ultratrentenne alla Juventus divenne il capostipite dei supersub, con trentasette gol segnati in bianconero partendo sempre o quasi dalla panchina. I Mondiali del 1970 furono innovativi anche per un altro stravolgimento epocale: l'introduzione dei cartellini gialli e rossi. L'arbitro Ken Aston, fermo a un semaforo, stava riflettendo sul mezzo scandalo provocato a Inghilterra 1966 dall'Argentino Antonio Rattín, che espulso si rifiutò di lasciare il campo per undici minuti, ed ebbe la visione che lo consacrò come padre del cartellino. Il primo “rosso” fu sventolato in faccia a un giocatore di A il 28 ottobre 1973: lo sfortunato primatista fu il terzino del Verona Franco Nanni, in una gara contro il Cesena valida per la terza giornata di campionato. “Da romagnolo, ogni volta me ne dicevano di tutti i colori. Così calciai con rabbia il pallone, che finì verso la loro panchina sfiorando il tecnico Bersellini. Presi tre giornate, non pensavo” ha ricordato in un'intervista al Corriere di Verona.

E poi i calci di rigore

Altra travolgente novità messicana fu l'introduzione della lotteria dei rigori dopo i supplementari. Prima, se la contesa non si sbloccava si doveva ricorrere alla monetina e per l'Italia l'ultima volta che questo accadde a un trofeo internazionale fu un trionfo. Il 5 giugno 1968, al termine della tesissima semifinale contro l'Unione Sovietica agli Europei, ferma sullo 0-0, l’arbitro tedesco Kurt Waldemar Tschenscher chiamò negli spogliatoi dello Stadio San Paolo di Napoli i due capitani, Facchetti e Shesternyov. Chiese a ognuno di scegliere la faccia di una moneta da dieci franchi francesi e il buon Giacinto, che era stato sopravanzato dal russo alla scelta del campo, s'impose indicando per primo “testa” e lasciando “croce” all'avversario. Un urlo di gioia fu il segnale per i giornalisti e i tifosi assiepati all'esterno degli spogliatoi della vittoria azzurra.

Meno felice fu l'introduzione del Golden Goal, soprattutto per la povera Repubblica Ceca sconfitta da un “gol della morte” di Bierhoff nei supplementari della finale di Euro 1996, così come il Silver Goal che ci vide soccombere contro la Francia di Trezeguet quattro anni dopo a Rotterdam. Chi non ricorda con sbigottimento quel bolide di prima intenzione dell'ex bomber della Juve, mente.

Un'altra novità importantissima dei Novanta fu l'introduzione dal 1992-93 del divieto per il portiere di raccogliere il pallone con le mani in caso di retropassaggio di un compagno. Un vecchio leitmotiv del catenaccio all'Italiana che faceva impazzire i nostri rivali stranieri quando in svantaggio negli ultimi minuti di gara erano costretti a soccombere alla famigerata “melina”. Le mille modifiche sul fuorigioco e le centinaia di discussioni sull'intenzionalità o meno dei contrasti, invece, dovevano essere spazzate via una volta per tutte nel 2016 (a partire dalla coppa dei Paesi Bassi) dalla glaciale oggettività del VAR, ma sappiamo tutti quanto sia ancora utopica questa eventualità. Anche se sono passati quasi dieci anni. Davanti a simili stravolgimenti, le tre sostituzioni, diventate cinque nelle concitate settimane del Covid, sono quasi un'inezia. Quello stesso anno, infatti, si discuteva molto di più dell'altra novità stagionale: i numeri fissi di maglia accompagnati dal nome del giocatore, come da modello NBA. Una vera e propria manna per esperti di merchandising e collezionisti.