“Il più forte portiere del mondo senza mani”: parola dell’avvocato Gianni Agnelli. Stiamo parlando di Claudio Garella, il numero uno più atipico che il nostro campionato abbia mai conosciuto. Forse, nella storia. Un portiere capace di parare con ogni parte del corpo: piedi, gambe, schiena e, persino, con il sedere. Raramente, invece, con le mani. A tratti goffo, eppure decisivo, istintivo, vincente. Un’autentica icona fuori dagli schemi, che ha lasciato il segno negli anni ’80 vincendo, in soli tre anni, due scudetti. Due titoli conquistati difendendo i pali del Verona campione d’Italia (1984-1985) e del Napoli di Maradona, anch’esso campione (1986-1987). Due trionfi da outsider, ottenuti con uno stile irripetibile che lo ha reso un vero e proprio cult.
Le “garellate” d’autore
Ma prima della gloria e dei titoli, c’è stato un tempo in cui Garella era più sinonimo di incertezza che di sicurezza. Nella sua esperienza alla Lazio – la terza in Serie A, dopo il debutto con il Torino e un anno al Novara – le sue uscite avventurose e i rinvii sbilenchi lasciavano perplessi allenatori e tifosi. Il portiere era ancora troppo giovane, un talento grezzo. È proprio a Roma che giornalisti e tifosi coniano il termine “garellate”, per indicare quelle respinte di piede che inizialmente sembravano papere, ma che in altri contesti si rivelavano decisive. Prima di lasciare la massima serie per approdare in B, alla Sampdoria nel 1978, Garella fece una promessa al direttore sportivo della Lazio, Jannich: “Voi mi mandate in Serie B, ma io tornerò a giocare in Serie A e farò dei grandi campionati”.
Quello scudetto con il Verona…
Un solo anno in Serie B è bastato a Garella per tornare nel massimo campionato. A riportarlo in A fu l’Hellas Verona nel 1981. Qui le cose cambiarono. Un giornalista dell’Arena gli diede un nuovo soprannome: Garellik. “Preso da Diabolik, perché mi nascondevo, facevo paura agli avversari e paravo tutto”, racconterà anni dopo lo stesso Garella. Nel 1985, quell’Hellas raggiunse il primo e unico scudetto della sua storia, sotto la guida del grande Osvaldo Bagnoli. L’anno del trionfo, Garella fu protagonista di prestazioni memorabili, come quella all’Olimpico contro la Roma campione in carica, nell’ottobre del 1984, quando mantenne la porta inviolata con una serie di parate decisive eseguite con ogni parte del corpo. Un suo compagno di squadra, Hans-Peter Briegel, ha ricordato così Garella in un’intervista: “Primo allenamento: arrivo e vedo questo tizio pieno di vestiti, anche se c’erano trenta gradi, con una pancia enorme. Penso: è il magazziniere. Invece era il portiere, Garella, già. Una settimana dopo lo rivedo: aveva perso dieci chili, forse di più.”
…e quello con il Napoli
Dopo lo scudetto con gli scaligeri, nel 1986 Garella approdò al Napoli. Qui coronò un sogno personale: giocare con Diego Armando Maradona. Anche a Napoli, come a Verona, fu protagonista del primo scudetto nella storia del club. Praticamente un portafortuna con i guanti. In quella stagione disputò 29 partite e mantenne inviolata la porta in 15 occasioni. Merito sì delle sue parate, ma anche di una difesa granitica – con Bruscolotti, Ferrario, Bagni e Francini – che rendeva quasi impossibile segnare. Ma lo scudetto non fu l’unico trofeo conquistato: il Napoli, infatti, vinse anche la Coppa Italia, battendo in finale l’Atalanta. L’anno successivo, gli azzurri sfiorarono il bis in campionato. Solo un calo nelle ultime tre giornate consegnò lo scudetto al primo Milan di Arrigo Sacchi. La parentesi azzurra di Garella si concluse però nel peggiore dei modi. Durante un Napoli-Inter, molti ricordano una lite accesissima in campo con Renica, un testa a testa nei minuti finali. Una spia, forse, di un malessere interno che travolse nel giro di poche giornate quel Napoli dei record.
L’Udinese, l’Avellino e il ritiro
Nel 1988 Garella passò all’Udinese, in Serie B, dove rimase fino al 1990. Una promozione al primo anno, seguita però da una retrocessione la stagione successiva. Chiuse poi la carriera con l’Avellino, nel 1991, a causa di un brutto infortunio da cui non riuscì mai a riprendersi. L’unico rimpianto? Non essere mai stato convocato in Nazionale, superato nelle gerarchie da fuoriclasse del calibro di Dino Zoff, Franco Tancredi, Walter Zenga e Stefano Tacconi. Garella ha lasciato questo mondo il 12 agosto del 2022, a seguito di alcune complicazioni in seguito ad un intervento al cuore. La storia di Claudio Garella non è solo una pagina affascinante di sport, ma anche una profonda lezione di vita. In un mondo che spesso premia l’omologazione e l’apparenza, lui ha dimostrato che si può vincere – due scudetti, una promozione, l’affetto dei tifosi – restando fedeli alla propria natura. Anche se a tratti goffo, poco ortodosso, lontano dai canoni classici del ruolo, Garella ha lasciato il segno proprio grazie alla sua unicità. La sua carriera insegna che non serve essere perfetti per essere grandi: basta essere autentici, credere nel proprio modo di stare in campo… e nella vita.