"Grazie per tutto ciò che hai fatto per noi, mister". Questo il messaggio con cui la Lazio sui social ha voluto celebrare Sven-Goran Eriksson il 26 agosto dello scorso anno, quando il tecnico svedese è morto all’età di 76 anni per un tumore al pancreas. Un amore corrisposto quello per “Svennis” che nel maggio dello scorso anno, già malato ma ancora capace di emozionarsi e di sorridere alla vita, era venuto a prendersi l’ultimo abbraccio del popolo biancoceleste: "Mi ricordo gli anni bellissimi vissuti insieme. Non ho mai avuto una squadra così forte e non ho mai vinto così tanti titoli in così poco tempo. Grazie mille per tutto", disse da ospite d’onore all’Olimpico prima del match contro il Sassuolo, lui che approdò nella Capitale potendosi già fregiare di un campionato svedese, due Coppe di Svezia e una Coppa Uefa alla guida del Göteborg; di tre campionati, una Coppa e una Supercoppa di Portogallo con il Benfica e delle due Coppe Italia vinte con Roma e Sampdoria.
L'arrivo alla Lazio di Eriksson
Era il giugno del 1997 quando il presidente Cragnotti gli affidò la Lazio, chiedendogli il definitivo salto di qualità dopo gli anni di Zeman e di competere ai massimi livelli. Eriksson accettò la sfida e oltre al suo elegante carisma, sempre in giacca e cravatta e con i suoi occhiali da professore, si portò dietro dalla Sampdoria anche il suo “capitano” Roberto Mancini, altra spiccata personalità da mettere al servizio di una squadra desiderosa di iniziare a vincere. E grazie anche agli arrivi di Almeyda dal Siviglia e degli juventini Boksic (un ritorno) e Jugovic (già allenato da Sven in blucerchiato) arrivò subito un trofeo: la Coppa Italia conquistata all’Olimpico il 29 aprile 1998 con il 3-1 rifilato al Milan nella finale di ritorno (a ribaltare il ko per 1-0 incassato a San Siro), mentre il sogno di vincere la Coppa Uefa sfumò nella finale persa il successivo 6 maggio a Parigi contro l’Inter di Ronaldo il “Fenomeno”.
Eriksson e i tronfi europei con la Lazio
Una delusione da cui seppe ripartire la Lazio, settima in campionato ma ora consapevole del suo nuovo “status” e ulteriormente rinforzata in estate con una campagna acquisti sontuosa: Salas dal River Plate, Stankovic dalla Stella Rossa, un altro ex sampdoriano come Mihajlovic, De la Peña e Couto dal Barcellona, Conceição dal Porto e per finire Vieri dall’Atletico Madrid. Tanti i campioni messi a disposizione di Eriksson, che con le sue capacità gestionali e la sua sapienza calcistica riuscì però ad assemblarli in poco tempo, lanciandosi così a caccia dello scudetto e di nuova gloria in Europa. Il primo obiettivo svanì con il pari di Firenze alla penultima giornata, costato il decisivo sorpasso ad opera del Milan, ma fu comunque festa grande per il trionfo nell’ultima edizione della Coppa delle Coppe, alzata da capitan Nesta al cielo di Birmingham il 19 maggio 1999 dopo il 2-1 al Maiorca di Cuper, colpito prima da Vieri e poi da Nedved. La Lazio era ormai tra le grandi del continente e se ne accorse all’inizio della stagione successiva (quella del centenario del club) anche il Manchester United di Ferguson, campione d’Europa in carica e “matado” da Salas a Montecarlo il 27 agosto nella finale della Supercoppa Uefa.
Scudetto e "double"
Vieri fu ceduto all’Inter, ma arrivarono altri “pezzi da 90” come Veron e Sensini dal Parma, Simeone dall’Inter e Simone Inzaghi dal Piacenza, ai quali si aggiunse nel mercato invernale Ravanelli dalla Juve. Al debutto assoluto in Champions League i biancocelesti si spinsero fino ai quarti (eliminati dal Valencia dei futuri laziali Lopez e Mendieta) e in campionato centrarono invece un’impresa leggendaria: a otto giornate dalla fine erano a -9 dalla Juve ma riuscirono a rimontarla, battendola a Torino nello scontro diretto e conquistando poi lo scudetto all’ultimo tuffo, con l’Olimpico in delirio il 14 maggio del 2000 dopo il 3-0 alla Reggina e la sconfitta dei bianconeri sotto il diluvio di Perugia. Un trionfo reso ancora più dolce dalla Coppa Italia vinta superando l’Inter in una doppia finale, con Eriksson ancora oggi unico tecnico capace di bissare con la Lazio l’impresa tricolore di Tommaso Maestrelli e di centrare il “double” in tre Paesi diversi (Svezia, Portogallo e Italia). Un capolavoro quello dello svedese e dei suoi ragazzi, molti dei quali ne hanno seguito le orme, ispirati da un maestro che dopo aver vinto un’altra Supercoppa italiana lasciò la Lazio nel gennaio 2001, dimissionario per assumere l’incarico di ct dell’Inghilterra. La sua avventura biancoceleste si chiuse così con 188 panchine (106 vittorie, 48 pari e 34 ko) e con sette trofei: uno scudetto, due Coppe Italia e altrettante Supercoppe italiane, più una Coppa delle Coppe e una Supercoppa europea. Ma non è solo per questi numeri che “Svennis” resterà per sempre nel cuore di ogni laziale.