Sempre domenica, sempre a Bologna e sempre in Terza Categoria (non pensiate però che gli "sfigati" giochino solo in Emilia Romagna…) un'altra partita (Fossolo 76-Real Azzurri) finiva in rissa. Risultato: due giocatori (uno per parte) squalificati per sei giornate in quanto «colpivano violentemente con un pugno un giocatore avversario provocandogli la frattura del setto nasale» e altri due tesserati del Real Azzurri squalificati rispettivamente per cinque e quattro giornate per «aver colpito violentemente (nel primo caso) e spintonato (nel secondo) un avversario a fine gara».
Ogni ulteriore commento sarebbe superfluo. Solo una provocazione. Queste sono le conseguenze del veleno che viene continuamente sparso nel mondo del calcio, ring impunito di polemiche e risse verbali. Piccole dosi di violenza, iniettate a tradimento, che goccia dopo goccia penetrano nel sentimento e nella passione della gente comune, facendo passare il concetto che, in nome di una maglia o di una bandiera, tutto è lecito. Anche pestare un arbitro, reo magari di non aver concesso un gol o un rigore. Perché, in fondo, lo "sfigato" è (sempre e comunque) quello con il fischietto in bocca. Quello che sbaglia, o non vede, apposta, per favorire una squadra piuttosto che un'altra. Basta accendere la televisione o sfogliare un quotidiano sportivo qualunque: dai addosso all'arbitro, la colpa è sempre sua…
Brutti, sporchi, cattivi, pure corrotti. Per questo i nostri bambini che giocano a calcio, da un paio di anni, si devono "autoarbitrare". Lo ha deciso il Settore Giovanile e Scolastico della Figc, almeno nella categoria Pulcini: «Per non alimentare le proteste dei genitori a bordo campo». Meglio rimuovere il problema, piuttosto che educare (ragazzi, mamme e papà) al rispetto delle decisioni e alla conoscenza di un regolamento il più delle volte ignorato o male interpretato. Per prendere a calci l'arbitro c'è sempre tempo. Fra qualche anno, in un anonimo campetto di periferia, campionato di Terza categoria. Ecco perché la vicenda di Bologna non ha un solo colpevole. E il guaio è che "loro", i bambini, ci guardano...
Gianluca Grassi