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© Juventus FC via Getty Images
Quattro Juventus in quattro anni, gli anni di Pivatelli e la formazione del Marocco

L’esonero di Igor Tudor ha poco senso ed è anche per questo, oltre che per alternative che stanno fra le scommesse e i bolliti, che l’allenatore croato non è ancora stato esonerato. Come tanti colleghi, da Chivu in giù, è stato una seconda scelta e solo per questa mancanza di status gli verrà presentato al più tardi a fine stagione un conto che non dovrebbe essere lui a pagare (si fa per dire, visto che è pagato). La Juventus attuale ha infatti una rosa da zona Champions League, pur con la zavorra degli errori di Giuntoli e anche in parte della gestione precedente, oltre che ovviamente del sempre innominato Elkann. Il tutto aggravato dal caso Vlahovic, sul quale di fatto Tudor non può puntare come vorrebbe, costretto com’è a fingere di credere in David. Il problema dei problemi non è l’introduzione della difesa a quattro e nemmeno la classifica, che in alto è cortissima e commentabile solo in base all'ìultimo risultato, ma l’assurda stratificazione e somma di errori, ‘regalo’ di quattro dirigenze calcistiche, senza contare quelle finanziarie e strategiche, diverse negli ultimi quattro anni: l’addio di Paratici è del maggio 2021, dopo di lui Cherubini, Giuntoli e adesso Comolli, il tutto a cavallo della fine dell’era di Andrea Agnelli, dei saluti ad Arrivabene, del risamento di Scanavino, eccetera. Se in quattro anni ci sono stati quattro diversi uomini forti a prendere le decisioni sportive i primi colpevoli non sono loro ma chi li sceglie.

Pochi fra i viventi hanno davvero visto giocare Gino Pivatelli, morto all’età di 92 anni. Attaccante che visse i suoi anni migliori al Bologna ma che le grandi vittorie le ottenne a fine carriera nel Milan, dove Rocco lo reiventò jolly: a volte punta, più spesso mezzala, a volte ala tattica, come si diceva una volta (e come fu schierato nella finale di Coppa dei Campioni del 1963 vinta a Wembley sul Benfica, anche se durante la prtita si spostò), in certi casi libero e perno di una costruzione dal basso ante litteram. Onestamente lo abbiamo conosciuto meglio come vice di Maifredi nel memorabile Bologna di fine anni Ottanta: un rapporto nato come prestanome, visto che nel 1987 Maifredi aveva soltanto il patentino di seconda categoria e non poteva in teoria sedere in panchina in Serie A e B, e poi proseguito come vice. Capocannoniere della Serie A 1955-56 davanti a Nordhal, Pivatelli era persguitato da due leggende metropolitane a metà. La prima quella di essere poco coraggioso e quindi poco adatto a fare l’attaccante nel calcio della sua epoca: fama guadagnata per una serie di articoli di Brera ma non proprio fondata, vista la carriera fatta in un’epoca di fatto senza televisione né tutele. La seconda quella di avere fatto smettere di giocare a calcio il giovane difensore Arrigo Sacchi, quando lo allenava al Baracca Lugo, un Sacchi disgustato dalle presunte idee tattiche antiquate di Pivatelli: in realtà il futuro allenatore del Milan e della Nazionale non era nemmeno al livello della Serie C, per sua stessa ammissione, e soprattutto smise perché dovette prendere in mano l’azienda di famiglia. Non sono una leggenda i due gol clamorosi sbagliati nel fango di Belfast, nel 1958, che insieme a prestazioni modeste degli oriundi (Ghiggia espiulso, Schiaffino giocò la peggior partita della sua vita) impedeirono all'Italia di qualificarsi per il Mondiale, anche se va ricordato che era un Mondiale a 16 squadre: quelle due occasioni, pur in un'ottima carriera, sarebbero sempre state il tormento di Pivatelli. 

Il Marocco ha vinto uno dei Mondiali Under 20 meno interessanti di sempre, a causa della colllocazione in calendario che di fatto ha impedito la convocazione di quasi tutti quelli veri. L’Argentina battuta in finale, per dire, era senza, fra gli altri, Mastantuono e Echeverri. Delle assenze dell’Italia, fuori agli ottavi contro gli Stati Uniti, abbiamo già scritto e insomma è andata così. Interessante è che il Marocco, trascinato dal sinistro magico di Yassir Zabiri, diversamente dalla nazionale maggiore non sia una sorta di Francia B ma inizi ad avere giocatori formati lì. Non è il caso di Byar, di proprietà del Bologna e ora al Foggia, nato in Francia e di formazione francese, e nemmeno di El Haddad, titolare tranne che in finale, che gioca nel Venezia, che si è formato totalmente in Italia e in teoria potrebbe essere convocato anche da Gattuso. E quindi? In un mondo in cui i passaporti sono quasi diventati un’opinione la formazione calcistica dovrebbe essere il principale criterio per stabilire la nazionalità.

stefano@indiscreto.net