La presentazione del Trionda come pallone ufficiale del Mondiale 2026 ci ricorda che non ci sono più i palloni di una volta, a cui per diventare iconici bastava esistere, e del resto non ci sono nemmeno più i Mondiali di una volta, concetto che diventerà più chiaro con le probabili 64 squadre del 2030. Certo c’è sempre l’Adidas, peraltro nemmeno lei quella di una volta visto che Horst Dassler è morto 38 anni fa, per non parlare dei tanti cambi di strategia e di gestione, senza mai comunque mollare l'osso della FIFA.
Il Trionda, presentato a New York alla presenza di tanti campioni del mondo, fra i quali Zidane, Del Piero e Klinsmann, deve ovviamente dare un contentino a ognuna delle tre nazioni ospitanti, quindi ecco la foglia d’acero per il Canada, l’aquila per il Messico, le stelle per gli Stati Uniti, ed è molto colarato, vagamente da spiaggia, tipo il Brazuca del 2014. E ottimizzato per il VAR, visto che potrà trasmettere informazioni, al punto che si può definire 'pallone intelligente'. Esteticamente comunmque un bel pallone, non triste, composto da soltanto quattro pannelli e destinato ad essere ricordato meno dei predecessori senza colpe specifiche.
Interessante è notare l’impatto dei palloni mondiali su un mercato che in tutto il mondo, sommando in maniera grezza i numeri dei grandi produttori, vale circa 60 milioni di pezzi. Se pensiamo che il pallone mondiale più venduto di sempre è il Teamgeist di Germania 2006, con circa 15 milioni di pezzi, e spalmando questo dato su un quadriennio, si vede che al massimo il pallone del Mondiale conta per il 5% annuo. Di sicuro, un discorso già fatto per le mascotte, quasi nessuno ricorda i nomi dei palloni mondiali in un’epoca in cui il Mondiale ha perso la sua importanza sportiva, pur rimanendo una grande festa del calcio a cui è meglio partecipare che non partecipare. Tutto è più grande, basti pensare che il mitizzato Telstar di Messico 1970 vendette 600.000 pezzi e fu considerato all'epoca un successo clamoroso.
Come il 70% dei palloni prodotti nel mondo, anche quelli Adidas (così come i Nike, per dire) vengono prodotti in un luogo ben preciso, Sialkot, in Pakistan, da aziende terze anche se ogni tanto qualche inchiesta verifica che tanto terze non sono. Una storia di specializzazione, e in passato di sfruttamento del lavoro non soltanto minorile (da oltre 20 anni gli standard sono simili a quelli, per dire, della Cina) che parte da lontano e che ha iniziato a incrociarsi con i palloni mondiali a partire dallo storico Tango di Spagna ’82. Il Trionda da allenamento costa sui 40 euro, entre quello professionale, per le partite ufficiali, poò arrivare a 180. In media un operaio di Sialkot, dove l’industria non è soltanto quella tessile (infatti pare che i bambini di un tempo siano stati riconvertiti in altre produzioni, mediaticamente meno visibili), guadagna circa 120 dollari al mese, sotto la pur bassa, 160 dollari, soglia di sussistenza locale. Anche queste sono storie mondiali, ma se si è passati sopra al trattamento degli operai di Qatar 2022 lo si farà anche per quelli del Trionda.
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