La classifica cortissima della Serie A dopo 5 giornate, con Milan, Napoli, Roma, Juventus, Inter e Atalanta (e Cremonese…) nello spazio di 3 punti, si presta alla solita discussione fra ottimisti dell’incertezza e disfattisti del livellamento, ma non c’è dubbio che la notizia sia la sconfitta a San Siro del Napoli ex capolista solitario, contro il Milan di un Allegri a 58 anni battezzato maestro di calcio fra le risate (soprattutto le sue) di chi lo giudicava superato anche quando vinceva gli scudetti, Milan 2010-11 compreso, tirando fuori il massimo dalla rosa a disposizione. Una sconfitta, quella del Napoli, al di là dei suoi demeriti viste le tante assenze (Buongiorno, Beukema, Rrahmani, Olivera, Spinazzola, oltre a Lukaku), concentrate in difesa, e le tante occasioni sprecate, con una superiorità evidente (19 tiri contro 6, 7 calci d’angolo a 1) anche in una serata di scarsa vena di tutti, a partire da Conte che al primo minuto ha dovuto fare invenzioni obbligate e poi ha provato a rimescolare tutto, con l’unica sostituzione che è stata quella di McTominay.
Il Milan capolista insieme al Napoli e alla Roma ha dimostrato una volta di più che al netto del discorso Vlahovic con un paio di centrali difensivi di buon livello sarebbe da scudetto, perché Allegri lo ha messo a posto proprio per mascherare questa sua lacuna: ogni cross degli avversari, anche fatto a casaccio (e ieri il Napoli ne ha fatti 33, pur senza avere Garrincha e Gento) si trasforma in una situazione da gol e non sempre la qualità del centrocampo costruito intorno a Modric può rimediare a tutto. La cosa bella è che si tratta sempre del solito Allegri.
Guardando Pisa-Fiorentina abbiamo sentito i sapori di una volta e non soltanto perché questo derby in Serie A mancava dai tempi del sale di Anconetani. Agonismo, occasioni, una provinciale tosta e una semigrande in difficoltà. Ha colpito la partita di Gudmundsson, una delle peggiori giocate da quando è in Italia fra Genoa e Fiorentina, non per gli errori ma per l'atteggiamento negativo e passivo. Per la Fiorentina è un caso, ma in questa Serie A uno come lui in un ambiente diverso, non diciamo con un mental coach, potrebbe fare la differenza. Scommettiamo sul fatto che il 'furto' di gennaio da parte di una delle aspiranti allo scudetto sarà lui.
La morte di Carlo Sassi, a 95 anni, fa ricordare un’epoca, quella prima del 1967, in cui nel calcio italiano poteva accadere letteralmente qualsiasi cosa e nessuno ne parlava, ma soprattutto quella, durata fino all’internet di massa di metà anni Novanta, in cui gli episodi discussi al bar erano soltanto quelli che la Domenica Sportiva e poche altre trasmissioni (come Pressing sulle reti Fininvest) mostravano. O meglio, decidevano di mostrare. Nelle mani di Sassi e di pochi altri moviolisti (lui in senso stretto lo fu fino al 1991) c’era insomma un potere enorme, come provano anche le polemiche postume come quella sul gol di Turone (il Sassi d’epoca era dubbioso, il Sassi pensionato lo giudicava da annullare, con tanto di accuse alla RAI romana per avere manipolato le immagini). Insomma, i giornalisti equilibrati come Sassi sono da rimpiangere, ma quei tempi e quel calcio proprio no.