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La scelta di Bove

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© LAPRESSE
Un rientro difficile, le 72 ore della FIFA, la vera età del secondo anello e la Juventus di Modesto

Edoardo Bove, che abbiamo visto settimana scorsa a Wimbledon a tifare per l’amico Cobolli, non ha perso la speranza di giocare in Italia. Senz’altro lo può fare all’estero, quasi dappertutto, dalla Premier League in giù (Bundesliga, Liga, eccetera), come avvenuto in altri casi con defibrillatore sottocutaneo, tipo Eriksen e Blind, ma lui non ha perso la speranza di farlo nella Roma e magari anche di rientrare in campo entro un anno dal malore durante Fiorentina-Inter dello scorso 1 dicembre. Le normative italiane, gestite dalla Federazione Medico Sportiva Italiana, sono state finora tra le più rigide in Europa e vietano l'attività agonistica ai giocatori con un defibrillatore sottocutaneo, per motivi legati alla sicurezza e al rischio di danni al dispositivo durante il contatto fisico. Al momento queste normative non sono cambiate, ma ci potrebbe essere l’escamotage di rimuovere il defibrillatore, visto che è stato accertato che Bove non ha patologie croniche. Una vicenda che interessa anche a migliaia di ragazzi normali, con piccoli problemi cardiaci, con una domanda gigantesca: rischiare la vita sotto la propria responsabilità o affidare a terzi la tutela della propria salute? Non c'è la risposta giusta, ma quella italiana non ci dispiace.

Anche la FIFA di Infantino fa cose giuste. L’obbligo delle 72 ore, minimo, fra una partita ufficiale e l’altra ha fatto stizzire qualche lega importante, ma sembra puro buon senso. Nella peggiore delle ipotesi, quella di club impegnati il giovedì sera in Europa o Conference League, con la settimana dopo le convocazioni per le nazionali da rispettare già il lunedì, tutto potrebbe funzionare con uno o più posticipi in contemporanea la domenica sera. Non ci sarebbero suicidi di massa. Questo al di là del fatto che le partite di campionato il lunedì, specialmente quella del tardo pomeriggio quando c’è, siano di una tristezza assoluta.

Milano e il suo sindaco Sala si stanno coprendo di ridicolo nel goffo tentativo di svendere San Siro, ma sarebbe meglio dire l’area di San Siro, a Inter e Milan per 197 milioni. L’ultimo numero è il cambio della data per così dire di nascita del secondo anello, che non potrebbe essere abbattuto dopo i 70 anni che farebbero scattare il vincolo, impedendo quindi interventi anche sul resto dello stadio. E quando scadono i 70 anni? Secondo Sala il 10 novembre 2025, ai 70 anni del verbale di collaudo. Secondo la realtà i 70 anni sono già scaduti, visto che a San Siro il secondo anello, con relativo pubblico, c’era già dal 1954 come testimoniato da mille cronache e foto. E secondo il TAR, che fra poco dovrebbe decidere? Al di là dei cavilli da non perdere di vista, per dirla in cialtronese, la big picture: e cioè che il trasferimento di San Siro da Milano a Oaktree RedBird è strettamente legato al suo abbattimento, al punto che qualsiasi progetto di ristrutturazione (su tutti quello di Webuild) mai è stato preso in considerazione e che mai è stato nemmeno velinato. Un silenzio assordante che nella capitale immobiliare d’Italia non sorprende.

Che cosa farà François Modesto alla Juventus? La domanda rimane valida anche adesso che la sua nomina a direttore tecnico è ufficiale, visto che la Juventus ha un padrone, per parlare antico, sempre più interventista e cioè John Elkann, un presidente, Gianluca Ferrero (in quanto suo commercialista coinvolto nella vicenda giudiziaria dell'eredità Agnelli-Elkann, che potrebbe costare a Elkann 175 milioni), un amministratore delegato, Maurizio Scanavino, un diretttore generale, Damien Comolli, e presto nominerà un direttore sportivo. Certo il quarantasettenne ex difensore del Cagliari ha, al di là delle denominazioni, sempre avuto in mano la parte sportiva delle squadre in cui ha lavorato: Olympiacos. Nottingham Forest, Monza, e l'avrebbe avuta anche della Roma se la Soulokou fosse durata. E il suo approccio è molto simile a quello di Comolli: grande attenzione allo scouting e ai dati. È il tipo di dirigente che piace molto a una proprietà straniera e non proprio centrata sulle vittorie, in teoria, anche se poi nella realtà ha lavorato con padroni vecchio stampo: Marinakis, Berlusconi e adesso Elkann. 

stefano@indiscreto.net