Dopo essere stato il grande suggeritore dell’operazione Gattuso, Gigi Buffon è riuscito a portare Silvio Baldini alla guida dell’Under 21, con un un Gravina in questo caso abbastanza perplesso. Mentre scriviamo queste righe la nomina non è ancora ufficiale, ma l'orientamento del presidente della FIGC è chiaro. Se Gattuso, pur non essendo fra i primi cento allenatori italiani, assicura buona stampa e il carisma da campione del mondo e da ex ottimo calciatore, Baldini rappresenta qualcosa di davvero nuovo, a livello di comunicazione prima ancora che tattico, visto che il 4-2-3-1 non ha segreti, come del resto qualsiasi altro modulo. Di pelle Gravina avrebbe riconfermato Nunziata, pur non essendo rimasto estasiato davanti al gioco dell'ultimo ciclo di Under 21, e al limite avrebbe promosso Bollini dall’Under 19, in linea con la sua idea di creare una sorta di cantera di tecnici federali (per questo è rimasto deluso da Corradi, che ha abbandonato l’Under 20 per fare il collaboratore di Allegri al Milan), e così ha preferito rimanere a metà strada. Un bravo allenatore, senz'altro migliore di Gattuso, uno che piace ai giornalisti e porterà attenzione su una nazionale spesso dimenticata, con questa mania di fare l'antipersonaggio che lo rende paradossalmente più personaggio di Mourinho e Guardiola. L’importante è che un allenatore che ha a disposzione Pisilli, Comuzzo, Kayode, eccetera, non si metta a fare piagnistei preventivi e a sproloquiare sui giovani senza i mitologici 'valori'. La sensazione che abbiamo è comunque quella di una ventata di aria fresca, che arrivi con un allenatore di 67 anni fresco di promozione in B con il Pescara è significativo.
A proposito di valori o presunti tale... Theo Hernandez all’Al-Hilal di Simone Inzaghi è un’operazione che certo non fa piacere ad Allegri, amante e buon gestore dei giocatori di qualità, ma non è per questo che l’addio del francese al Milan fa notizia e nemmeno per i soldi incassati dal club rossonero, che peraltro cedendolo al Como a gennaio ne avrebbe presi il doppio. Fa notizia perché Theo Hernandez era il simbolo del Milan di Paolo Maldini dirigente, molto più di altri giocatori presi da Maldini da quando nel 2019, andato via Leonardo e con Boban rimasto poco, ha avuto in mano il potere: Rafael Leão, Kessié, Bennacer, Saelemaekers, Tonali. Maignan, Giroud, Ibrahimovic, eccetera, citando le scelte più azzeccate, cioè la categoria di cui Theo Hernandez fa parte. Non a caso nel suo post di addio oltre alle frasi di circostanza e ad altre meno di circostanze, quelle sul Milan che non rispecchierebbe più i suoi valori (quali?), perché ancora nel 2025 non si può scrivere che si va via per soldi, il difensore ha citato per nome e ringraziato soltanto Maldini. Chissà che gli arabi non gli consentano di ritrovarsi. E non in Arabia. Per il momento possiamo dire che anche con Tare il Milan prosegue nel fare scelte, giuste o sbagliate che siano, non da tifosi, visto che Theo Hernandez nella sua discontinuità, comunque ad alto livello, era amatissimo.
Theo Hernandez avrebbe potuto giocare il Milan-Como del prossimo 8 febbraio, di sicuro non a San Siro causa Olimpiadi e forse, almeno nei sogni della Lega, in Australia dietro pagamento di 10 milioni alla Lega e di altri soldi ai club. Un po' a sorpresa, vista la chiara ostilità della FIFA e della UEFA nei confronti di questo tipo di operazioni, è arrivato il sì del Consiglio Federale, adesso la palla è nel campo di Ceferin e Infantino. Che non hanno niente contro Milan-Como a Perth (fra l'altro a livello FIFA stanno cadendo anche gli ostacoli regolamentari alla disputa all'esteri di partite dei campionati nazionali), ma moltissimo contro la colonizzazione delle leghe più forti. Dopo Milan-Como a Perth perché non la spesso evocata trentanovesima giornata di Premier League in Qatar?
Peggio del modo in cui la Sampdoria è rimasta in Serie B c’è soltanto il modo con cui ha scelto il nuovo allenatore, dopo l’inspiegabile mancata riconferma di Evani. In estrema sintesi, Massimo Donati è stato scelto non dal presidente Manfredi, ormai marginale, o dal direttore sportivo Andrea Mancini (figlio di Roberto), che comunque rimangono ufficialmente in carica, ma da un manager inglese, Nathan Walker, messo alla Samp da quelli che si presume siano i veri controllanti, cioè gli imprenditori di Singapore dietro alla società lussemburghese a cui di fatto fa capo la Sampdoria. Pane per i cultori dello scudetto dei bilanci (Quali? In quale paese?), mentre il banale presente calcistico dice che Walker si è affidato agli algoritmi che ormai sono di uso comune (ne è una grande fan anche Comolli, infatti la Juventus sta facendo mercato senza un direttore sportivo, mentre ha appena scelto Modesto come direttore tecnico) e gli algoritmi hanno decretato che Donati, quattro stagioni da allenatore di cui due in Serie D (un esonero e una promozione in C), una in C e una, con esonero, nella Serie A greca, sia l’uomo giusto per il rilancio di un club che naviga a vista. Mentre Mancini junior, e immaginiamo anche quello senior, spingevano per la permenenza di Evani e in subordine per Lombardo. Situazione che promette poco di buono, visto che gli azionisti asiatici vorrebbero inserire un responsabile tecnico di loro fiducia, oltre a Walker, con l'ex Anderlecht Jesper Fredberg candidato numero uno. Il punto poi non sono nemmeno i nomi o risultati, ma la proprietà. Soltanto il modello Bundesliga può salvare il calcio dal livello medio in giù, se no tanto vale guardare la Champions e basta.