Il Napoli è campione d’Italia per la quarta volta nella sua storia, la seconda con De Laurentiis e la seconda senza Maradona, la prima con Antonio Conte in panchina. Un successo diventato ufficiale soltanto all’ultima giornata, battendo 2-0 il Cagliari con i gol di McTominay e Lukaku, rendendo inutile la vittoria dell’Inter a Como. Napoli 82 punti, Inter 81: per Conte il quinto scudetto (senza contare la Premier League con il Chelsea...), diventando l’unico allenatore della storia a vincerlo con tre squadre diverse dopo quelli del triennio 2011-2014 alla Juventus e quello a porte chiuse per il Covid con l’Inter 2020-21. Scudetti che hanno generato vittorie di altri e non macerie. Nel momento dei festeggiamenti del Napoli è inutile analizzare gli scenari riguardanti il suo futuro, visto che con lo scudetto sul petto il pallino è nelle sue mani, potendo scegliere se approfondire i segnali arrivatigli da diversi club, soprattutto dalla Juventus, o accettare la sfida di una Champions League da vivere da protagonista con un Napoli rinforzato da De Bruyne o gente di pari status, zittendo chi dice che a livello internazionale Conte non esista. Sarà per il clima di festa, ma in questo momento un addio di Conte al Napoli ci sembrerebbe più assurdo di quello di Spalletti due anni fa (con asterisco FIGC), visto che De Laurentiis con Conte si è comportato in maniera ben diversa, lasciandogli quasi totalmente il palcoscenico.
C’è poco da fare, siamo caduti nella trappola: il Napoli ha tanti ottimi giocatori e molti di questi (Meret, Di Lorenzo, Juan Jesus, Rrahmani, Olivera, Anguissa, Lobotka, Politano, Simeone, Raspadori) hanno vinto anche lo scudetto di due anni fa, ma siamo sempre qui a parlare di Conte, come in fondo vuole lui, mandando fuori di testa anche i presidenti che ha fatto vincere. Non De Laurentiis, che lo ha capito e sopportato, oltre che supportato con un grande e dispendioso mercato estivo, seguito dal risparmio invernale e dalle giravolte su Osimhen. In questo senso Conte è davvero il Mourinho italiano, al punto di oscurare i meriti di McTominay, Anguissa e Di Lorenzo, e i demeriti di chi è arrivato dietro di poco o di molto pur avendo in estate la stessa credibilità del Napoli. Una squadra che dopo il 3-0 preso dal Verona ha cambiato marcia e che da fine settembre è stata o prima o seconda in classifica, resistendo fino alla fine con la complicità del rendimento casalingo dell’Atalanta e del crollo fisico dell’Inter, unito agli episodi che nel calcio sono tutto e cambiano giudizi, campionati, carriere. Facile trovare il gol scudetto in ogni gol segnato (cosa dire di quello di Billing all'Inter?) o subito dagli avversari. Ovviamente dopo Verona non è che Conte abbia schiacciato un tasto, però è per le sue pressioni che a fine agosto De Laurentis ha dato tutto e anche di più per arrivare a Lukaku e McTominay, comunque accolti da scetticismo: un attaccante che non segna più e un buon giocatore travolto dai fallimenti tecnici del Manchester United. Proprio perché buona parte della rosa è simile la differenza con lo scudetto di Spalletti è enorme: due anni fa una squadra che aveva dominato il campionato e dato lezioni di calcio, tenendo fino alla fine nonostante una Champions di lusso (finita ai quarti di finale), chiudendo con 90 punti, 16 di vantaggio sulla Lazio seconda, il miglior attacco, la miglior difesa e un più 49 di differenza reti. Oggi 82 punti, uno di vantaggio sulla seconda, nessun impegno europeo, il terzo attacco, sempre la miglior difesa (27 gol subiti), e un più 32 di differenza reti. Tutto merito di Osimhen e Kvaratskelia? Anzi, di mezzo Kvaratskhelia perché il georgiano ha giocato il girone d’andata con il Napoli e lo ha fatto anche bene, a volte anche da gregario, viene da dire da giocatore alla Conte. Non è uno scudetto da record aritmetici, ma è senz'altro un record averlo vinto dopo la cessione a metà stagione del proprio miglior giocatore, sia pure per i necessari soldi del PSG. E, lo ribadiamo, quella che di fatto è stata la rinuncia a Osimhen per credere in un giocatore in chiaro declino come Lukaku, che però per Conte è fondamentale.
Adesso l’allenatore e De Laurentiis si incontreranno con calma, rimanendo sempre uguali a sé stessi e quindi rendendo il compromesso più difficile, ma non si sa mai e ribadiamo che un addio in questo momento sarebbe sbagliato per entrambe le parti. In ogni caso questo ciclo non è di Conte ma di De Laurentiis, ormai da anni presidente a tempo pienissimo e produttore cinematografico solo per Wikipedia (gli ultimi film prodotti risalgono a 4 anni fa), unico dei presidenti con grandi club avuti in regalo a inizio millennio ad arrivare in altissimo, lui partendo dalla Serie C, oltretutto senza conoscere il calcio e senza essere poi questo grande tifoso. Cosa che ha trasformato in un vantaggio, riuscendo spesso a vendere al momento giusto i Koulibaly della situazione o a salutare giocatori amatissimi come Mertens: ecco, dispiace che Mertens non abbia potuto festeggiare uno scudetto al Napoli. Proprio per queste sue caratteristiche uniche De Laurentiis ha avuto il merito di affidarsi a direttori sportivi bravi ma non ingombranti (Marino, Bigon, Giuntoli, ora Manna dopo la parentesi Meluso in un anno in cui niente ha funzionato), che hanno filtrato le sue intuizioni e i suoi input, mettendoci anche del loro: Manna-McTominay un buon esempio.
La grandezza di questo quarto scudetto del Napoli risiede quindi nella sua attualità, perché nello sport conta soltanto il presente, ma anche nella sua normalità: è uno scudetto vinto di regolarità, senza imprese storiche, uno scudetto di quelli che potrebbero vincere Inter, Milan o Juventus ripartendo pochi giorni dopo. È lo scudetto di un grande club che è sempre lì, che può avere brutte annate (e quella scorsa è stata tremenda) o brutti cicli, ma che ha cambiato status non per merito di una divinità come Maradona ma di un imprenditore come De Laurentiis.
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