La clamorosa marcia indietro di Gasperini ha sorpreso anche i dirigenti dell’Atalanta, da mesi entrati nell’ordine di idee di sostituire un allenatore che ha il contratto fino al 2026 ma che in più occasioni, pubbliche e private, aveva manifestato l’intenzione di andare via con una stagione di anticipo. Nemmeno il tempo di fare il toto-nomi (sarebbe la situazione ideale per il rilancio di Thiago Motta, ma ai Percassi piace Runjaic) e subito il cambio di scenario. Cosa è successo? È successo che nessun grande club italiano ha ancora fatto un’offerta seria a un allenatore di 67 anni che negli ultimi anni ha incantato l’Europa ma dal punto di vista umano entra in collisione con i giocatori di un certo status. Un allenatore che fra l’altro guadagna, giustamente, tantissimo: 3 milioni di euro netti a stagione come base, più premi e incentivi di vario tipo che in pratica sono un riconoscimento per le tante plusvalenze fatte fare al club bergamasco: fra fisso e variabile Gasperini è, giustamente (va ribadito), ai livelli di Conte e Inzaghi. Il punto è che l’Atalanta è il suo contesto ideale, anche per vincere, anche adesso che tutti conoscono perfettamente i suoi meccanismi (per questo al Gewiss Stadium è la settima squadra d’Italia e in trasferta la prima) e sanno come dargli fastidio.
Il 30 aprile 2025 gli interisti se lo ricorderanno per la partita di Barcellona, comunque vada a finire, ma per l’Inter un’altra partita importante si gioca a Milano visto che il 30 aprile è il termine che il raffazzonato bando del Comune ha posto per le manifestazioni di interesse per San Siro. In estrema sintesi: chi intende fare un’offerta per lo stadio e la relativa area deve farsi avanti, anche con una proposta generica entro questo termine. È evidente a tutti che il bando è stato fatto su misura per svendere lo stadio a Inter e Milan e alle loro proprietà ansiose di avere un asset di questo tipo, almeno sulla carta, per vendere al massimo e salutare tutti. Nel caso dell’Inter, secondo quanto risulta, ci sarebbe un elemento in più e cioè una società di finanzieri e Vip vari, evoluzione della defunta (ma i dati raccolti che fine hanno fatto?) IntersSpac di Cottarelli, che da socia di minoranza sul modello dei citati Percassi vorrebbe traghettare il club da Oaktree a una proprietà intenzionata a rimanere nel lungo periodo. Frontman italiani, per non dire milanesi, soldi stranieri, per non dire arabi. Ma per qualsiasi operazione lo stadio è decisivo. Incredibile che non ci siano altre offerte, comunque.
L’unica vera riforma onesta del calcio sarebbe il salary cap, ovviamente con livelli diversi a seconda della categoria, ma per ragioni evidenti (punire i nemici e contrattare con gli amici) la UEFA punta su un fair play finanziario che finora si è tradotto nel festival delle sponsorizzazioni tarocche e delle triangolazioni con gli amici, ma che anche in un mondo di tutti onesti portrebbe e cristallizzare i rapporti di forza del presente. Nel suo piccolo la Serie C sta provando a fare qualcosa, come adesso ha annunciato il suo presidente Matteo Marani: dopo una stagione di sperimentazione, quindi di fatto senza sanzioni, a partire dal 2026 ci sarà un salary cap vero, chi vorrà competere sa quanto dovrà/potrà spendere nella peggiore delle ipotesi. Questo ovviamente non risolve il problema strutturale della categoria, cioè entrate del tutto inadeguate anche per sostenere i livelli salariali minimi, ma eviterà i fallimenti a stagione in corso.
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