Home

Calcio

Calcio Internazionale

Formula 1

Basket

Altri Sport

Personaggi

Guerin Sportivo

LIVE

Il DNA del Real Madrid

LEGGI TUTTO
© Getty Images
L'impresa di Joselu, il futuro del PSG e la Fiorentina del presente

Il DNA delle squadre di calcio è un’invenzione giornalistica, e nemmeno delle migliori, ma alla millesima impresa del Real Madrid in Coppa dei Campioni-Champions League magari dovremo ricrederci, anche se non è che Di Stefano e Cristiano Ronaldo si siano reincarnati in Joselu. La rimonta sul Bayern Monaco fra l’altro non è stata nemmeno fortunata come altre della storia madridista, fra Bernabeu e arbitri: la squadra di Tuchel era schiacciata nella sua area, il gol era vicino ci sta che lo abbia fatto il centravanti mandato in campo da Ancelotti come mossa della disperazione a pochi minuti dalla fine ala posto di Rodrygo. Qualificazione in ogni caso meritata, diversamente da quanto accaduto con il City nei quarti, ed ennesimo aggiornamento del record: diciottesima finale nel massimo torneo europeo (seguono, con 11, il Milan e proprio il Bayern), e ne sono già state vinte 14, più tutto il resto. La domanda è quindi semplice: che cosa ha il Real Madrid più di tutti gli altri che hanno soldi, immagine, potere, sponsor, storia e un grande numero di tifosi? Non è evidentemente un discorso soltanto calcistico, visto che il Real attuale sta cambiando pelle ed è strutturalmente diverso, anche come azienda (al di là di Florentino Perez) da quello che nel 2015 indicò ad Ancelotti la porta di uscita dopo l'eliminazione nelle semifinali di Champions (peraltro vinta l'anno prima dallo stesso Ancelotti) per mano della migliore Juventus di Allegri. Una risposta l’ha già data Mbappé, che ci andrà a giocare senza un vero perché: prenderà molti meno soldi di quelli che gli dà il PSG (20 milioni netti a stagione contro gli attuali 32), anche se farà bene sarà comunque uno dei tanti, in ogni caso arriva in un contesto vincente e il Real Madrid non sarà mai il Real Madrid di Mbappé. Insomma, ci può essere un solo club più prestigioso al mondo. Lo sente chi ci gioca e lo sentono gli avversari. 

La Champions League continua invece a sfuggire al PSG, senza un vero perché al di là della fortuna che ha premiato in maniera sfacciata il Borussia Dortmund, il cui monte ingaggi è comunque un quarto di quello del club franco-qatariota. L’anno primo dell’era post-figurine, salutati Messi e Neymar, si chiude così nel solito modo se ci si ferma ai risultati, ma con qualche prospettiva in più se si va oltre. Perché fra poco saluterà anche Mbappé, che lascia una squadra che con Luis Enrique sta giocando bene e con tutti i più forti nel fiore degli anni: nessuno (!) di quelli più o meno giocanti ha più di 30 anni, il nucleo della squadra è tutto intorno ai 25 (l'età di Donnarumma) e la rosa è piena di giovanissimi che sono già super-certezze partendo da Nuno Mendes per arrivare ovviamente al diciottenne incredibile (cioè è incredibile che sia diciottenne) Zaire-Emery. Insomma, il PSG non ha messo le mai sul trofeo dei sogni nonostante i soldi spesi e la fedeltà politica a Ceferin, con Al-Khelaifi improbabile alfiere dei veri valori del calcio, ma già adesso, Kvaratskhelia o non Kvaratskhelia, è da corsa per vincerla nei prossimi anni.

Non bisogna pompare la Conference League nel nome di un patriottismo degno di miglior causa, ma la Fiorentina ha comunque compiuto un’impresa conquistando per la seconda volta consecutiva l’accesso alla finale, dopo aver superato tante situazioni difficili e contro il Bruges anche la sfortuna, che comunque fa parte del calcio, sempre che sbagliare gol già fatti sia sfortuna e non scarsezza dei singoli. Un’impresa che ricorda quella di una Fiorentina d'epoca, quella allenata dal leggendario Hidegkuti (avete presente quando gli storyteller dicono ‘centravanti alla Hidegkuti?’? Ecco, lui), con in campo Albertosi, poi sostituito da Sarti, Robotti, Hamrin, Da Costa (l’anno seguente Can Bartu, caso incredibile di nazionale sia nel calcio sia nella pallacanestro), la bandiera Gonfiantini, eccetera. Due finali di Coppa delle Coppe consecutive, la prima vinta nel 1961 contro i Glasgow Rangers e la seconda persa nel 1962 contro l’Atletico Madrid in cui brillava Joaquin Peirò, qualche anno dopo uomo di coppa per l’Inter di Herrera. Questo ricordo per sottolineare che le coppe di una volta non è che fossero ‘meglio’, come molti credono, ed in particolare la Coppa delle Coppe dal 1971 sarebbe diventata, con la nascita della Coppa UEFA nata sulle ceneri della anarchica Coppa delle Fiere, la peggiore delle tre competizioni anche se sul piano formale era la seconda per importanza. Però, allora come oggi, arrivare in fondo era difficile e la Fiorentina di Italiano ci è riuscita: mai sottovalutare il presente.

stefano@indiscreto.net