Dopo quanto visto domenica sera al Maradona, è chiaro che l’avversario degli ultras del Napoli non è il Milan, ma Aurelio De Laurentiis. Cioè un presidente che ha portato il Napoli dal fallimento, 19 anni fa, allo scudetto, facendo vedere ai tifosi (di cui gli ultras sono una piccola parte) grandi campioni e tenendo nell’ultimo decennio la squadra sempre ad alto livello. L’essersi messo contro gli ultras, che ufficialmente gli contestano le regole restrittive per l’ingresso allo stadio (tipo il divieto di portare tamburi e striscioni di certe dimensioni) ed i biglietti troppo cari, ma che in realtà non accettano la loro perdita di importanza nel presente e nel futuro che ha in mente De Laurentiis, vale un secondo scudetto almeno per il coraggio.
Ma non deve far partire una demagogia di segno opposto a quella solita: le curve e non solo la Curva B resa immortale da Nino D’Angelo (il cui film, Quel ragazzo della Curva B, era ambientato proprio durante la leggendaria stagione 1986-87, quella del primo scudetto maradoniano), sono fuori dal tempo, ma anche il telecalcio di plastica comincia ad esserlo: in tante realtà, con obbiettivi diversi, si assiste ad un boom di presenze allo stadio, mentre a parità di importanza delle partite gli ascolti televisivi e gli abbonamenti sono in calo un po’ ovunque, per colpa (o merito) di altre opportunità di svago e degli highlights. In ogni caso De Laurentiis non ha alcuna intenzione di fare passi indietro e lo ha ribadito al forum del CONI sugli stadi: “Questa è una storia che dura da 50 anni. Finché non si prende la legge della Thatcher e la si porta in Italia avremo sempre questi problemi. Quelli non sono veri tifosi ma delinquenti ai quali si permette di andare allo stadio e mortificare i veri tifosi, le famiglie con episodi che sono agli occhi di tutti".
Il prezzo dei biglietti però non è una questione che tocca solo gli ultras, ha messo contro De Laurentiis anche gli 'altri' e a questo proposito il presidente del Napoli ha ricordato che dal suo quarto di Champions il Napoli ricaverà 5 milioni allo stadio, la metà di quanto ricaverà il Milan. Ma è poi vero che, al netto dell’entusiasmo per il terzo scudetto, il Napoli di De Laurentiis non scalda i napoletani? Vediamo. Nella stagione in corso la media spettatori è di circa 44.500, la quarta della serie A dietro a Milan e Inter, sopra i 70.000, e Roma, sopra i 60.000. L’anno scorso, sempre con Spalletti allenatore, fu di 27.526. Nel 2017-18, ultima stagione con Sarri, quella del secondo posto a 91 punti, la media a partita al San Paolo fu di 43.050, la terza della Serie A dietro a Inter (57.529) e Milan (52.690).
Andiamo all’era pre pay-tv con gli scudetti di Maradona: nel 1986-87 il Napoli giocò le sue 15 partite casalinghe con una media di 65.450 spettatori, primo pubblico della A, e nel 1989-90 giocò le sue 17 davanti a 56.607, secondo posto di poco dietro al Milan. Di sicuro nell’era De Laurentiis quasi mai il Napoli è andato oltre i livelli attuali. E non è colpa della capienza ridotta del Maradona, che da 5 anni è di 54.726 spettatori, né dei prezzi che non sono nemmeno paragonabili a quelli di Roma, Milano e Torino. La realtà è che molti club di Serie A hanno un pubblico allo stadio superiore a quello degli anni Ottanta, quando non esisteva nemmeno Telepiù, ed il Napoli no. E nessuno sa davvero spiegare il perché.
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