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Sacchi nella storia

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© LAPRESSE
Il presidente della UEFA ha premiato l'allenatore del Milan di fine anni Ottanta e della Nazionale seconda al Mondiale USA, elogiando le sue invenzioni. Ma l'importanza di Sacchi non è tattica...

Arrigo Sacchi ha di fatto allenato per pochi anni, ad alto livello non più di dieci fra Milan, Nazionale e Atletico Madrid, però nella storia del calcio ha lasciato un segno ed è per questo che la UEFA l’altro giorno lo ha premiato. Parole di Ceferin: “Omaggio ad uno dei più grandi allenatori di calcio di tutti i tempi. Questo premio riconosce l'eccellenza professionale e onora l'eredità lasciata al gioco del calcio da individui eccezionali. Pochissimi hanno rimodellato la filosofia del gioco nel modo in cui è riuscito a farlo Arrigo Sacchi. Il calcio può essere distinto in due epoche diverse: pre e post Sacchi. Le infinite innovazioni tattiche che ha introdotto sono oggi le basi di qualsiasi manuale del calcio, riprese da generazioni di allenatori che l'hanno seguito". Il presidente della UEFA è anche entrato nel dettaglio: “Sacchi non ha mai giocato ad alti livelli, ma è sempre stato uno studioso esemplare del calcio. Avendo iniziato la sua carriera di allenatore in Serie C, credeva che una squadra dovesse dominare il gioco grazie a pressing alto e calcio diretto, con singoli che si muovevano all'unisono offrendo tutti più di quanto richiesto dai rispettivi ruoli. Questa visione diventò realtà al Milan nel 1987-88, quando il club rossonero vinse il suo primo titolo in nove anni. Poi arrivarono due trionfi consecutivi in Coppa dei Campioni nel 1989 e nel 1990, e i rossoneri diventarono una delle più grandi squadre nella storia del calcio".

Le parole di Ceferin sono interessanti perché Sacchi non allena da oltre 20 anni, da quando abbandonò la panchina del Parma per il troppo stress. È insomma un personaggio storicizzato, del passato, quindi può anche essere giudicato senza il tifo pro (milanista, nel caso) o contro. E si ritorna sempre allo stesso discorso, visto che nessuno pensa alla sua Italia, pur finalista al Mondiale ’94, e tutti pensano al Sacchi del Milan nel triennio 1987-1990, con una quarta stagione in attesa della Nazionale ed un triste ritorno qualche anno più tardi al posto di Tabarez. Per essere brevi: quanta percentuale di Sacchi c’era in quel Milan? Il Milan con la difesa più forte del mondo (Tassotti, Filippo Galli e poi Costacurta, Baresi e Maldini), fuoriclasse italiani come Ancelotti e Donadoni, e stranieri come Rijkaard, Gullit e Van Basten. Senza contare Berlusconi e Galliani giovani e affamati di vittorie, con spese senza limiti, che rapportate ai tempi ricordano il PSG di oggi. Il tutto in un calcio italiano che era il punto d’arrivo dei campioni di tutto il mondo, con una competività elevatissima.

Tornando alla motivazione del premio di Ceferin, cosa ha quindi inventato Sacchi? Non il 4-4-2, modulo reso di moda dall’Inghilterra di Alf Ramsey campione del mondo 1966. Non il pressing, marchio di fabbrica dell’Ajax e dell’Olanda di Rinus Michels, non a caso ammiratissima da Sacchi. Ma se vogliamo fare i fenomeni possiamo tornare anche più dietro, alla Dinamo Kiev di Viktor Maslov che preparò il terreno a quella di Lobanovsky e che nessuno onesto può dire di aver visto giocare (ma nemmeno abbiamo visto Giulio Cesare varcare il Rubicone). Non la tattica del fuorigioco, che in Inghilterra si praticava già ad inizio Novecento e che poi il Belgio avrebbe portato alla noiosa perfezione.

Sacchi non ha insomma inventato niente, ma non lo si può archiviare soltanto come uno che ha vinto con i giocatori bravi pagati da Berlusconi. Perché chiunque abbia seguito il calcio italiano prima di quel Milan sa bene quale fosse l’atteggiamento medio delle squadre italiane in campo internazionale, anche di quelle forti. Sacchi cambiò questa mentalità, nel Milan ma anche in squadre che giocavano o avrebbero giocato in modo diverso, ed è per questo che è nella storia. Anche se come allenatore in senso stretto magari è stato inferiore anche a Capello.