Con la morte di Vichai Srivaddhanaprabha non è morto il Leicester City, ma di sicuro è scomparso un proprietario amatissimo. Una rarità, nel calcio senz’anima e senza identità di oggi, addirittura qualcosa di unico per un proprietario straniero, figura che anche nella pur liberale e liberista Premier League viene ancora oggi equiparata a quella di un usurpatore. La realtà dice che delle 20 squadre del massimo campionato inglese, il più televisto del mondo, soltanto 7 hanno un azionariato in maggioranza riconducibile ad inglesi e che di queste 7 soltanto una, il Tottenham, sia considerabile un grande club come bacino d’utenza e potenziale commerciale.
Il miliardario thailandese non era soltanto l’uomo dello storico titolo 2015-16, insiema a Ranieri, Vardy, Kanté e a tutti gli altri, ma anche l’uomo che nel 2010 aveva acquistato una discreta squadra di Championship facendola subito pensare in grande, ingaggiando Sven Goran Eriksson al posto di Paulo Sousa e dopo qualche tentativo tornando in Premier League nel 2014 sotto la guida di Nigel Pearson. Un campionato storico, con salvezza raggiunta dopo una incredibile rimonta, poi l’ingaggio di Ranieri e quell’incredibile cavalcata che tutti ricordano e di cui non si è mai reso abbastanza merito all’allenatore romano: basti pensare alle carriere avute poi da quei giocatori, Kanté a parte.
Ma le lacrime e il cordoglio popolare per la morte in elicottero (insieme ad altre quattro persone) di Srivaddhanaprabha, inimmaginabili per Zhang, Singer o Pallotta, ma anche in Inghilterra per Glazer, Abramovich o Kroenke, non nascono soltanto da una pur notevole impresa sportiva, ma dal fatto che il re dei duty-free shop si fosse pienamente calato nella realtà inglese. Abitava a Londra, ma per Leicester aveva fatto moltissimo in termini di beneficenza e di iniziative culturali, pur non essendoci molto fisicamente e delegando tante cose, soprattutto al figlio Aiyawatt. Che dietro questa vicinanza, finanziaria e virtuale, alla comunità locale ci fosse calcolo e marketing è possibile, forse anche probabile. Questo non toglie che lui sia entrato nel cuore di una comunità con cui non c’entrava assolutamente nulla e altri proprietari, che magari hanno speso dieci volte più soldi di lui, no. Insomma, Srivaddhanaprabha era lo straniero di una volta, quello che nell'immaginario collettivo dà qualcosa in più.