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Luci e vuoti a San Siro

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Non siamo l'Inghilterra, non siamo la Francia, siamo l'Italia. E da noi la sede fissa, possibilmente nella capitale, per le partite della Nazionale di calcio è un'idea che non ha mai avuto troppi consensi. Per questo la vigilia di ogni partita casalinga viene vissuta dalla FIGC con apprensione, a maggior ragione quando le dimensioni dello stadio fanno temere l'effetto vuoto. In federazione si firmerebbe già adesso per 50.000 presenze a San Siro per Italia-Croazia, i 34.000 biglietti venduti (di cui 6.000 in Croazia) mentre scriviamo queste righe autorizzano un cauto ottimismo. Complici i quasi 10.000 tagliandi omaggio, riservati a scuole e settori giovanili, che potrebbero anche aumentare, il pubblico televisivo non dovrebbe intristirsi troppo. Il pubblico delle nazionali, sul divano e allo stadio, è ben diverso (come atteggiamento, anche quando le persone sono le stesse) da quello dei club e questo per la squadra di Conte dovrebbe essere un vantaggio. Ma chi è Suso? Bisogna avere l'onestà di chiederlo a Galliani, anche se l'Italia si è improvvisamente riempita di giornalisti che l'anno scorso hanno seguito tutte le partite dell'Almeria e che negli ultimi mesi hanno spiato gli allenamenti del Liverpool. Il caso del ventunenne spagnolo, di cui si sta scrivendo da tanto in prospettiva Milan, è da manuale di gestione dei media: prendiamo uno sconosciuto in scadenza di contratto, meglio se giovane, facciamo girare il suo nome e mostriamo che il club è attivissimo sul mercato. Se non si trova niente di meglio arrivare a lui sarà facile, tanto il club che non gli ha proposto alcun prolungamento di contratto a cifre interessanti non vede l'ora di liberarsene, se si trovano altre opzioni esotiche la giostra può tornare in moto. Poi possiamo anche vergare pensosi editoriali sul 55% di minutaggio degli stranieri in serie A, ma il problema è che il calciomercato fatto senza soldi difficilmente cambia i valori, arricchendo soltanto mediatori e dirigenti (il giornalista si accontenta del prezzo amico nel ristorante della casa). In altre parole, il 90% dei giocatori professionisti è assolutamente intercambiabile, quella che in cialtronese si definirebbe una commodity. Giuseppe Gazzoni Frascara che torna a 79 anni presidente del Bologna, sia pure solo a titolo onorario (sostituendo Gianni Morandi), è una bella notizia per chi non ha dimenticato quella cloaca che era il calcio italiano proprio negli anni (dal 1993 al 2005) in cui mister Idrolitina ebbe la cattiva idea di buttarci buona parte del suo patrimonio. Ognuno, a seconda del suo status e del suo livello di classifica, era dalla parte giusta o sbagliata della barricata. Le inascoltate denunce di Gazzoni sul doping amministrativo, soprattutto a livello di club medio-piccoli, sono ancora attualissime. Se quel Bologna avesse minacciato disordini di piazza, come accaduto ad altre latitudini, di sicuro non sarebbe andato in B. Il calcio è senza memoria storica, possiamo accettarlo, ma bisogna impegnarsi per non ricordare parole e fatti di una settimana prima. Il caso di Lorenzo Insigne è emblematico: beccato e criticato (ingiustamente, perché Benitez gli chiede un lavoro particolare e non è quindi giudicabile solo dai gol) da pubblico e media napoletani, dopo il grave infortunio patito durante la partita con la Fiorentina che ha detto fine alla sua stagione è diventato un mito assoluto al punto che in molti (non Benitez, che rilancerà Mertens ed in ogni casocome primi colpi di gennaio  vorrebbe un centrocampista e un vice-Higuain più efficace di Zapata) chiedono a De Laurentiis una pazzia per far tornare Lavezzi. Ma, forse l'abbiamo già fatto notare, De Laurentiis è un po' sparito dai radar e non solo perché nel teatrino televisivo lo ha superato Ferrero. Twitter @StefanoOlivari