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Di Stefano il più grande senza Mondiale

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La morte di Alfredo Di Stefano ci offre il pretesto non per ricordare uno dei tre grandi indiscutibili della storia del calcio (gli altri sarebbero Pelé e Maradona, con tutto il rispetto per la categoria dei Cruijff-Garrincha-Beckenbauer di cui forse farà parte anche Messi), visto che non è mai stato dimenticato, ma per sottolineare proprio in questo periodo che la sua grandezza è riuscita ad essere planetaria anche senza l'ausilio mediatico e sportivo della manifestazione più importante. Alla quale lui riuscì a partecipare una sola volta, da semi-infortunato e da spagnolo, a 36 anni e con il meglio già dietro le spalle. Da argentino quale era vinse la Coppa America del 1947, a 21 anni, ma perse la grande chance di partecipare al Mondiale del 1950 non per colpa sua (anche se era già emigrato ai Millonarios di Bogotà) ma dell'Argentina stessa, che si rifiutò di andare in Brasile a causa di una polemica, pare sui rimborsi spese (ma in realtà l'Albiceleste la sua decisione l'aveva già presa da un anno, visto che non partecipò nemmeno alle qualificazioni), con la federazione eterna rivale. Stessa musica 4 anni dopo in Svizzera (intanto Di Stefano nel 1953 era approdato in Spagna, diventando madridista al termine della lunga battaglia legale e illegale fra Real e Barcellona), questa volta la federazione argentina era in polemica direttamente con la FIFA e del resto Di Stefano non avrebbe potuto giocare comunque, visto che nel suo periodo colombiano aveva visto bene di giocare qualche partita, peraltro non ufficiale (la Colombia era ai tempi fuori dalla FIFA) con la nazionale di quel paese di cui aveva ricevuto un passaporto volante. Di Stefano diventò quindi spagnolo nel 1956, l'anno della prima Coppa dei Campioni, vinta dal suo Real Madrid (sarebbero state alzate anche le successive quattro) e disputò le qualificazioni per Svezia 1958: non abbiamo visto quelle partite, ma ne abbiamo letto i tabellini e tuttora ci sembra incredibile che una squadra con Di Stefano, Kubala e Luis Suarez sia stata eliminata dalla Scozia. Però accadde. Arriviamo quindi a Cile 1962, con Di Stefano in declino (logico, per uno che giocava a tutto campo) e la Spagna guidata da Helenio Herrera, da un paio di stagioni anche alla guida dell'Inter di Angelo Moratti. Forse non tutti sanno che in quel 1962 l'Inter fu accusata di doping, per la positività alle anfetamine rilevata in un prelievo federale a sorpresa. Storia evaporata nel nulla ma che presenta qualche analogia con quella bolognese di due anni dopo, ma rimaniamo su Herrera. Che viene sospeso dall'Inter (Moratti, ispirato da Allodi, sta meditando di ingaggiare Edmondo Fabbri) mentre ha già la testa altrove, visto che la Spagna gli ha offerto di guidare la Nazionale (da lui oltretutto già allenata) al Mondiale cileno. Offerto almeno secondo il suo racconto, perché in realtà è lui che si è proposto a costo zero (Herrera!) per rilanciare la sua immagine. Da ex allenatore del Barcellona, ma anche da allenatore che si considera superiore alle sue stelle (dopo di lui ne arriveranno tanti altri), è un antipatizzante di Di Stefano e un infortunio muscolare della 'Saeta Rubia’ gli facilita la scelta. Di Stefano non fa polemiche, non vuole far vedere di avere bisogno del Mondiale per essere considerato il più grande ed in ogni caso è troppo orgoglioso per discutere con Herrera. La sua maglia numero 6 della nazionale spagnola rimane pulita. La sorte è contro di lui ma anche contro la Spagna, che capita in un girone con Brasile, Cecoslovacchia (cioè quelle che saranno le finaliste) e Messico. Fuori subito, il sogno Mondiale di Di Stefano finisce qui. Il fatto che sia considerato al livello di Pelé e Maradona, senza aver mai giocato un minuto in un Mondiale, dice tutto della sua grandezza e della considerazione dei contemporanei (l'unica che conta, se no bisognerebbe solo prendere in considerazione il calcio con immagini in alta definizione) nei suoi confronti. Twitter @StefanoOlivari