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Mourinho e il catenaccio degli altri

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L'andata di Atletico Madrid-Chelsea ha fatto scoprire agli esteti, quelli che considerano il calcio soltanto un gioco o peggio ancora uno spettacolo, che chi sa di essere inferiore deve usare il cervello per battere l'avversario. Così José Mourinho, a dispetto del 4-3-3 (facciamo 4-5-1) con cui è sceso in campo al Vicente Calderon e della sostituzione di Terry con Schurrle negli ultimi 20 minuti, è diventato il simbolo mondiale del catenaccio. Che può essere uno schema di gioco da quiz storico, basato sull'invenzione del libero (Rappan, Viani, eccetera) ma soprattutto una mentalità: perché se punti allo 0-0 anche un modulo 0-0-10 potrebbe produrre pochi tiri in porta. Ma il Chelsea era così inferiore alla squadra di Simeone al punto di pensare solo a limitare i danni? La risposta è sì, guardando soprattutto al centrocampo: un muscolare come Mikel, un difensore riciclato come David Luiz, un ex campione come Lampard. E l'attacco? Il leggerino Ramires, il sosia (ormai da anni) di Torres e il tragico errore di mercato Willian, paragonabile al Quaresma interista. Infortunato l'unico fuoriclasse della squadra, cioè Hazard, cosa avrebbe potuto fare Oscar contro i super-atleti (…) di Simeone? Detto che il ritorno a Stamford Bridge sarà per il Chelsea più difficile dell'andata (Mikel e Lampard squalificati, Cech e Terry infortunati), anche se Mourinho ha scommesso sul pieno recupero di Hazard con una settimana in più di tempo, vale la solita regola: quando il catenaccio lo fanno i 'nostri' è una partita intelligente, nella peggiore delle ipotesi una difesa eroica (avete mai sentito criticare una squadra italiana dopo un risultato positivo? Anche l'Inter di Mourinho…), quando invece lo fanno gli altri diventa anti-calcio. Ne sono sicuramente consapevoli i milioni di italiani che nel 1982 e nel 2006 hanno festeggiato per le strade i due Mondiali vinti nell'era moderna.