Alessandro Del Piero è un campione, uno dei più fulgidi esempi di fuoriclasse rimasti, archetipo dell’atleta serio e appassionato di calcio. Uno che vive per il gol, me lo immagino come Holly del popolare cartone animato giapponese, che si portava sempre appresso il pallone. Ma di lui sappiamo tutto ormai, essendo divenuto un volto popolare ai più, non solo a chi segue e mastica calcio.
E allora in questo spazio, periodicamente, mi piace dedicare un commento anche a quei giocatori che avevano tutto per sfondare ad altissimi livelli e diventare come Del Piero appunto, o come Totti, Nesta, Buffon, Gattuso.
Dopo aver dedicato spazio in passato a Morfeo e al franco-algerino
Meghni, che da giovane veniva paragonato a
Zidane, oggi vi racconto un po’ di
Ivone De Franceschi.
De Franceschi ha compiuto 40 anni tondi il primo giorno del 2014 e ha già alle spalle una avviata carriera da dirigente sportivo, iniziata sotto buoni auspici nella sua Padova. Quando assunse l’incarico di team manager, ruolo ibrido tra scrivania e campo, da pochi mesi in pratica aveva appeso le scarpette al chiodo, chiudendo col calcio giocato prematuramente a 33 anni. A fianco di un maestro scafato quale Rino Foschi si prese il compito di condurre un allora ambizioso Padova verso la massima serie. Non andò proprio così e con il cambio di proprietà anche la sua bandiera è stata frettolosamente ammainata.
Ivone ha legato la sua vita calcistica a diverse maglie in carriera, pur rimanendo ancorato alle radici. Cresciuto con Del Piero, rappresentava il più grande talento biancoscudato, anche se adesso lui si schernisce quando alcuni ricordano come a 15/16 anni fosse ancora più forte di Alex. Mancino, brevilineo e scattante, agiva da attaccante esterno o da mezzapunta, mentre Del Piero all’epoca era proprio un centravanti, un attaccante vero, capace di segnare centinaia di gol tra i ragazzini e di entrare in pianta stabile nel giro delle nazionali azzurre.
De Franceschi faceva la sua parte eccome, dispensando assist con il suo sinistro magico ma pure realizzando bellissimi gol. Sembrava un predestinato, ma mentre Alex esordiva con successo in serie B, lui fu alle prese con il primo di una lunga serie di infortuni che ne condizionò moltissimo la carriera. Partì quindi dal vicino Sandonà nel 1994 e poi andò a Rimini in C2, un’esperienza formativa atta a farlo maturare - calcisticamente parlando – per tornare in prima squadra da protagonista. Cosa che difatti avvenne, anche se i tempi belli per il Padova stavano concludendosi e lo spettro della serie C sembrava molto visibile e concreto. In un biennio da assoluto leader in campo, Ivone totalizzò 56 presenze e 9 gol che gli valsero la chiamata del Venezia, approdato in serie A. L’inizio fu incoraggiante, giocava titolare come ala sinistra nel 4-4-2 alla sua prima esperienza nella massima serie, seppur in una compagine destinata a soffrire per non retrocedere. Nessun gol ma una buona continuità di rendimento (17 presenze) fino a un nuovo grave infortunio.
L’anno dopo, nel 1999 il passaggio clamoroso, seppur in sordina, allo
Sporting Lisbona, prestigioso club portoghese della capitale, all’epoca molto competitivo in patria. De Franceschi, cosa assolutamente non scontata, si adattò perfettamente alla nuova realtà, così diversa da quella italiana, non solo a livello calcistico, ma pure come cultura, clima..
Giocò titolare, alla fine contò 25 presenze e 3 gol, diventando uno degli idoli della calda tifoseria che impazzivano letteralmente per i suoi guizzi sulla fascia sinistra. C’è da dire che Ivone non ha mai spiccato per grinta e quantità, ma giocava piuttosto di fino, con tocchi felpati e improvvisi cambi di tempo che disorientavano i difensori avversari.
Alla fine per lo Sporting fu scudetto, al quale il nostro contribuì e non poco!
Il ritorno in Italia pareva salutato con grande entusiasmo e invece non seppe confermarsi, tra problemi fisici e scarsa condizione atletica. Il Venezia navigava in cattive acque e lo diede a gennaio alla Salernitana, dove non riuscì ad ambientarsi (per lui solo 10 presenze e 1 gol). L’anno successivo però (2001/2002), nel pieno della carriera, pur nell’ambito di una stagione infelice del Venezia, giocò titolare e tornò ad essere un interessante talento da seguire (ben 29 presenze con 1 gol), tanto che a fine campionato giunse per lui la chiamata (a quel punto irrinunciabile) del Chievo rivelazione della serie A, il cui credo calcistico dell’allora mister sembrava sposarsi alla perfezione con le sue caratteristiche tecniche.
Poteva essere la vera svolta della sua carriera ancora giovane e invece perse in pratica tutto il campionato per il solito grosso infortunio. Ricordo benissimo la partita che segnava il suo ritorno in campo, nel girone di ritorno (il 3 maggio 2003) contro il Piacenza. Sembrava la classica partita di fine stagione, con le squadre che non avevano motivo di dannarsi troppo l’anima. Ma lui aveva invece molte e forti motivazioni. Subentrato a Perrotta all’ottavo minuto del secondo tempo, segnò un’incredibile e stupenda doppietta! Un urlo liberatorio lo accompagnò, fu la fine di un incubo, il suo riscatto e anche una visione di ciò che avrebbe potuto essere la sua carriera al top della condizione fisica. L’anno successivo tornò nell’anonimato, diviso tra Bari e lo stesso Chievo, prima di seguire il cuore, tornando a calcare i campi della sua Padova. Divenne come prevedibile il simbolo della squadra, lontano dalle pressioni e dai guai muscolari. Non più ala sinistra, ma autentico rifinitore, trequartista alle spalle delle due punte. Da capitano biancoscudato, autore in due anni di 61 presenze e 7 gol, sognava un ritorno del Padova in una dimensione che più gli era congeniale, in cadetteria ma con l’obiettivo concreto di tornare presto in serie A. Questa volta a fermarlo fu qualcosa di molto più pericoloso e grave di un inforunio alla spalla o alla caviglia.
Analisi specifiche lo fecero propendere per una decisione saggia, anche se molto dolorosa. Il 15 giugno 2007 ha annunciato il ritiro dall’attività agonistica per un serio problema al cuore.
Negli occhi dei tifosi e degli appassionati sportivi, il buon Chechi come tutti lo chiamano in città, rimane il giocatore serio e taciturno che deliziava palati fini col suo sinistro. E per sottolinearlo un’ultima volta ha dato l’addio al calcio giocato in grande stile chiamando a raccolta un sacco di amici ed ex compagni calciatori in una splendida cornice di pubblico allo stadio Euganeo (il 7 aprile 2008). Furono presenti Del Piero, Maniero, Legrottaglie, Recoba, Toldo, Galderisi, Iaquinta, Di Livio, Amauri, Quagliarella, Di Michele, Ciro Ferrara, Falsini e molti altri.
A 40 anni è uno dei più giovani e promettenti dirigenti sportivi del calcio italiano.
a cura di
Gianni Gardon