Il Brasile ha conquistato la sua terza Confederations Cup consecutiva (quarta totale), dando alla scaramanzia il suo giusto valore: zero. Inutile mascherarsi a un anno dall"appuntamento più importante, quando in ogni caso infortuni e cali di forma (ma anche esplosione, in altre squadre, di giocatori oggi normali) potranno cambiare le carte in tavola. Certo è che raramente la Spagna al completo negli ultimi anni è stata umiliata sul piano del gioco, come è avvenuto nella finale del Maracanà fin dal primo minuto. Forte del giorno di riposo (e senza nemmeno i supplementari in semifinale) in più e di una condizione generale apparsa migliore fin dalla prima partita del torneo, la squadra di
Luiz Felipe Scolari ha aggredito quella di
Del Bosque con una foga che non rientra nella tradizione brasiliana e una capacità di verticalizzare che sarebbe tornata utile a tante Selecao, anche più forti di questa, del passato. Ciò non toglie che i campioni del mondo in carica abbiano nel loro DNA la qualità del palleggio (ma soprattutto
Xavi e
Iniesta, senza i quali questi discorsi sarebbero impossibili) e che abbiano comunque avuto la possibilità sia di pareggiare (il salvataggio sulla linea di
David Luiz sul tiro di
Pedro è stato forse il gesto tecnico della manifestazione) che di riaprire la partita. Veniamo al punto: il Brasile è favorito per la conquista della Coppa più importante? Quella che fa entrare nella storia più di dieci Champions. Piaccia o non piaccia
Schillaci fra cento anni sarà al di fuori della Sardegna ricordato più di
Gigi Riva pur valendo tecnicamente la metà di lui... La risposta a questo punto è sì. Non solo per il valore immenso di una rosa che insieme al secondo o terzo giocatore più forte del mondo,
Neymar, può schierare un portiere affidabile, una difesa straordinaria nei singoli, due centrocampisti con caratteristiche che variano a seconda dell"avversario (intoccabile
Luiz Gustavo, giocare con
Hernanes è diverso che farlo con
Paulinho) e tre giocatori offensivi pescati dal mazzo. Il valore aggiunto del Brasile è Scolari, uno che nei grandi tornei non ha mai fallito e che andando avanti con gli anni ha anche smussato quegli aspetti del suo carattere che ai tempi del Mondiale 2002 gli misero contro il 90% dei media brasiliani (tutti pro
Romario, mentre il c.t. puntò giustamente sul convalescente
Ronaldo). Il quinto Mondiale del Brasile, una finale europea (più un quarto di finale nel 2008) e una semifinale Mondiale con il Portogallo, una credibilità guadagnata sul campo nei confronti anche dei giocatori più indisciplinati. Pur nel mutamento di schemi (lo squadrone del 2002 giocava con il 5-2-2-1, modulo che con i migliori
Cafu e
Roberto Carlos era perfetto: solo l"Inghilterra di
Eriksson lo fece tremare per qualche minuto), Scolari sostituendo l"anno scorso
Mano Menezes era consapevole che per vincere con il Brasile fare i fenomeni è spesso controproducente. Con tutto il rispetto per l"Argentina, la Germania, eccetera, questa Confederations Cup l"hanno seguita in televisione
Pato, Leandro Damiao, Ronaldinho, Kakà, Ganso, Ramires, Rafael, solo per citare giocatori che Scolari ha preso e prenderà in considerazione. I maestri del calcio per ri-diventare campioni del mondo non hanno bisogno di avere in panchina un genio maledetto, ma solo una persona seria e credibile. Come Scolari.