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I brividi di Pantani

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Non seguiamo più il ciclismo da quando è morto Pantani. Quante volte abbiamo ascoltato una frase del genere negli ultimi nove anni? Tutto questo nonostante nella storia di questo sport le vite e le morti tragiche non siano mai mancate, con o senza doping. La scomparsa del campione romagnolo, nel giorno di San Valentino di 9 anni fa, aveva poco a che fare con l'attività agonistica in senso stretto (morì in un residence di Rimini per arresto cardiaco, in seguito ad abuso di stupefacenti), ma molto con l'esclusione dal Giro d'Italia 1999, che stava stravincendo, un giorno prima della conclusione per colpa dell'ematocrito ben oltre il limite di 50. Da quel giorno a Madonna di Campiglio Pantani non è più saputo davvero ripartire, come hanno fatto tanti altri campioni bloccati o squalificati, anche se qualche fiammata (emozionanti quelle al Tour del 2000: il secondo di quelli vinti, si fa per dire, da Armstrong) l'ha regalata lo stesso al suo pubblico, che tuttora crede che il suo eroe sia stato vittima di chissà quale oscuro complotto. Pantani è stato semplicemente un fuoriclasse del ciclismo degli anni Novanta, quello del doping (di tutti, in tutte le squadre) di fatto tollerato. Facendo proprio l'esempio dell'ematocrito, stabilire un limite a 50 quando il valore medio è di 42 significa andare oltre la tolleranza e verso l'istigazione a delinquere. Sul ciclismo degli anni Ottanta, degli anni Novanta e anche degli anni Zero (quasi fino ai giorni nostri, da quando il passaporto biologico ha leggermente migliorato la situazione) va messo un gigantesco asterisco. Aver reso Pantani per anni il volto ambiguo di un mondo quasi totalmente finto (ci asteniamo da commenti riguardanti il 2002 di Mario Cipollini, magari li farà il dottor Fuentes) è stato il vero crimine dell'ambiente del ciclismo e anche dei media, come reazione alla santificazione di un ragazzo che aveva fatto riscoprire emozioni antiche e che con l'accoppiata Giro-Tour del 1998 era già leggenda. Pantani ha fatto vendere libri, dvd, pubblicità, diritti televisivi come nessun altro prima di lui, almeno in Italia: anche per questo gli ultimi quattro anni e mezzo della sua vita sono stati all'insegna del vittimismo e sempre sul punto di raccontare una 'vera storia' che avrebbe permesso di fare pulizia con almeno dieci anni di anticipo. La domanda è stata fatta per Armstrong, quindi la riproponiamo: visto che quasi tutti erano dopati o comunque assumevano sostanze legali ma culturalmente equiparabili al doping (ricordiamo che mai il Pirata è ufficialmente risultato positivo a un controllo antidoping), quanto valgono le vittorie di Pantani? Insomma, fui vera gloria? La risposta ce l'hanno solo i tifosi, pro o contro. La verità è che nessuno lo potrà mai sapere, perché ogni organismo reagisce in maniera diversa alle stesse sollecitazioni chimiche e quindi non è che un teorico 'doping per tutti' renderebbe la situazione più trasparente. Possiamo però dire, senza paura di fare scoperte in un futuro prossimo, che i brividi che ci dava Pantani non ce li darà più nessuno. No al santino, ma non buttiamo via tutto.