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I marci su Roma

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Lazio-Tottenham del 22 novembre 2012 non sarà ricordata per lo spettacolo visto in campo, comunque di buon livello al di là dello zero a zero (meglio la squadra di Petkovic di quella di Villas Boas), e nemmeno per i commoventi applausi a Paul Gascoigne, ma per una violenza ultrà che con il calcio c'entra pochissimo. E' il caso di sottolinearlo, anche se l'autoflagellazione è un genere che piace sempre: con parte del tifo organizzato le logiche, magari anche becere, dei tifosi medi hanno zero punti di contatto. Fra Lazio e Tottenham non ci sono episodi controversi del passato, furti di cui ci si accusa reciprocamente, giornalisti-tifosi che aizzano le folle, forse nemmeno un fuorigioco dubbio. Il problema, se così vogliamo definirlo, è che parte degli ultras della Lazio si è arrogata il diritto di rappresentare la destra estrema italiana e che nell'immaginario collettivo dei dementi di mezza Europa il Tottenham sia una squadra 'nemica', da deridere o da insultare (con cori paranazisti, ascoltati non solo all'Olimpico) perché raccoglie le simpatie di parte della comunità ebraica di Londra. Poi i fatti 'fisici' sono avvenuti, secondo le peggiori tradizioni, lontano dallo stadio: la sera prima della partita, in un pub di Campo de' Fiori dove un gruppo di tifosi del Tottenham, senza bandiere o segni di riconoscimento evidenti a distanza, è stato aggredito da un gruppo di tifosi romani. Dove 'romani' non è scritto a caso: al raid hanno preso parte sia laziali che romanisti (secondo alcune tesimonianze c'erano anche qui gli 'stranieri', cioé tifosi del West Ham gemellati con i laziali), a riprova di quanto siano fuorvianti i discorsi sul cosidetto 'abbassare i toni'. A questa gente dei 'toni' con cui si discute l'operato di un arbitro o l'onestà di un calciatore importa pochissimo. E mal gli si adatta anche la retorica del disagio e delle periferie, una specie di pasolinismo fuori tempo massimo. Molte delle persone coinvolte hanno un lavoro, che di questi tempi non è poco, e sono inserite in quello che rimane della società. E quindi? Bisogna prima di tutto dare proporzioni quantitative corrette al fenomeno (50 su subumani su centinaia di migliaia di laziali e milioni di romani) e poi iniziare a scindere i discorsi sul calcio da quelli sulla delinquenza: quando si dà una coltellata la copertura delle fede calcistica non è né un'aggravante né un'attenuante. Alla fine il vero miracolo di Lotito non è stata la rateazione ottenuta dall'Agenzia delle entrate o avere costruito una squadra da Europa con un budget che dieci anni fa sarebbe stato da retrocessione, ma l'avere preso le distanze fisiche e culturali da questa gente. Un comportamento che è più utile dello stadio di proprietà, degli steward, delle aree hospitality e via cialtroneggiando, visto che non è che la Polizia possa presidiare ogni bar. Il punto non è insomma che tifosi della Lazio abbiano aggredito tifosi del Tottenham, ma che delinquenti abbiano aggredito persone che non lo sono. In altre parole, la situazione non deve essere risolta da Pallotta o da Lotito: perché riguarda Roma ('Stab City', città degli accoltellamenti, per molti media inglesi visti anche gli infiniti precedenti) prima ancora che le squadre romane. E adesso via, con le proposte del genere 'fermiamo il calcio' e 'facciamo una pausa di riflessione'.