Addio a
Fiorenzo Magni, uomo pieno di vita fino all'ultimo giorno dei suoi 92 anni. Molti passionati di ciclismo sostengono che la sua sfortuna sia stata quella di essere un fuoriclasse nella stessa era di
Fausto Coppi (del quale era quasi coetaneo) e del più anziano
Gino Bartali: vero per quanto riguarda il palmares, pur strepitoso, meno vero in prospettiva storica. Perché la grandezza di questi giganti non è stata misurabile solo con le vittorie, ottenute in un'Italia in cui il ciclismo superava per popolarità il calcio, ma anche con il modo in cui hanno attraversato un'epoca prima tragica e poi piena di grandissime speranze. Diventando eroi trasversali, icone prima ancora che campioni. Campioni fortemente caratterizzati tecnicamente: più scalatore Bartali, più passista Magni, più versatile (e, diciamolo, più forte) Coppi. Campioni fortemente caratterizzati anche umanamente e politicamente, con Magni che ebbe nell'immediato Dopoguerra seri problemi (eufemismo, visto che si salvò da una condanna a morte solo grazie alla testimonianza decisiva dell'amico
Alfredo Martini, di tutt'altre idee politiche) per la sua adesione alla Repubblica Sociale. Toscano come Bartali e come Martini (suo compagno già da dilettante, nell'Associazione Ciclistica Montecatini Terme), diventò professionista a 20 anni, nel 1940, e dopo i fatti di Valibona (uno scontro fra repubbichini e partigiani, in cui morirono diversi uomini delle Resistenza) si trasferì prudentemente a Monza. Dove di fatto ha vissuto per quasi settanta anni raggiungendo nel dopo ciclismo il successo anche come imprenditore. La guerra e la squalifica (per l'adesione allla RSI) gli tolsero gli anni migliori e così solo a 27 anni, nel 1947, riuscì a partecipare al Giro d'Italia (il secondo vinto da Coppi). Corsa che conquistò l'anno dopo, nonostante una penalizzazione di due minuti per spinte sul Pordoi, con un margine di soli 11 secondi su
Ezio Cecchi. Fu anche uomo da grandi classiche, il soprannome di Leone delle Fiandre gli derivò ovviamente dal Giro delle Fiandre vinto tre volte, ma a fare epoca furono soprattutto le sue vittorie al Giro: lui, passista e discesista, riuscì anche nel 1951 e nel 1955 a vincere una corsa tagliata su misura per gli scalatori. Dal punto di vista sportivo il grande cruccio della sua carriera rimase sempre il ritiro dal Tour de France del 1950, quando era in maglia gialla, su insistenza di Bartali che era stato aggredito dai tifosi francesi sull'Aspin (all'epoca al Tour gareggiavano le nazionali). Il più grande orgoglio di sicuro il Giro del 1956, concluso al secondo posto dietro allo scalatore
Charly Gaul nonostante una spalla fratturata. Anche da dirigente il suo cervello andava a un'altra velocità: di fatto le sponsorizzazioni nel ciclismo nacquero da una sua idea. Quasi inutile sottolineare che senza gli sponsor oggi del ciclismo, già in crisi per le note vicende, non rimarrebbe nulla. E' significativo che Magni abbia voluto morire nel suo paese natale, Vaiano, come a voler chiudere un cerchio. E' stato un grande, nell'epoca giusta per entrare nel mito senza mai sentirsi 'Il terzo uomo' dopo i primi due.