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Se al Giro comanda il Tweet

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Siamo abbastanza d’accordo tutti nel dire che questo Giro d’Italia è stato orrendo. Emozioni zero a lungo, poi due tappe che massacranti è dire poco, e alla fine la classifica decisa dalla tappa finale, che di solito è solo una passerella (anche se questa era una crono). Ma chiedersi il perché è come chiedersi perché un film viene male. Colpa del cast o colpa della sceneggiatura? Il cast ha avuto le proprie colpe: di seconda scelta quasi tutto, crediamo che ne rivedremo ben pochi al Tour, che continua a essere di un altro livello. Ma qui vogliamo parlare della sceneggiatura. Scritta male perché gli organizzatori, consapevoli che il ciclismo vive ormai nel disinteresse di tanti e nel disprezzo di altri (inutile dire perché), si sono fatti prendere dalla smania di rendere vicina la corsa alla ggggente, ovviamente tramite i social network, il fulgido esempio di democrazia del terzo millennio, e hanno quasi tralasciato di pensare alla corsa. Basti dire che la dichiarazione del patron Michele Acquarone a fine Giro è stata: «Abbiamo avuto 100mila follower su Twitter, 200mila su Facebook». Il Giro in tv ha avuto 5-6 volte questi follower (che poi sarebbero spettatori), più i follower della radio (che poi sarebbero ascoltatori, e che per inciso si sono beccati un servizio molto ma molto migliore che i follower della tv, ma questo è un altro discorso). Ma ormai contano solo i follower sul web. Finora era stata la tv a cambiare gli sport. Il calcio con anticipi e postici, e ricchi diritti tv che hanno distorto il mercato, più parecchio altro. Il volley e il tennis hanno modificato direttamente le regole di punteggio (il rally system point e il tie-break) per venire incontro alle emittenti che poi dopo qualche anno - bel paradosso - li hanno snobbati lo stesso. Adesso è Internet a insinuarsi negli sport e a iniziare a modificarli, e anche questo è il segno del cambiamento epocale. Un’idea quasi fokloristica è stata “tweet your maglia rosa” (e questa mistura anglo-italiana vuole fare fico, anzi cool, e invece è di un provincialismo grottesco), l’idea di chiedere agli appassionati delle frasi su Twitter da scrivere sulla Maglia Rosa, che - diceva il comunicato ufficiale - “trasferiranno energia a chi vestirà il simbolo della leadership alla prossima Corsa Rosa”. Ne sono stati scelti 100, votati poi su Facebook: 19 (9 di persone qualsiasi, 10 di ex campioni) sono stati stampati all’interno della Maglia, il migliore ha trovato posto sul colletto. Bene, volete sapere quale perla di saggezza è la vincitrice, quale sconvolgente filosofia di vita e di sport, quali mondi è pronta ad aprirvi la frase che ieri il canadese Hesjedal si è trovato addosso? L’abbiamo letta sulla Maglia Rosa che si può comprare sul sito ufficiale (e se non è quella ci scusiamo, ma la vincitrice non l'abbiamo trovata da nessuna parte): «Chi mi indossa è già leggenda». Se ci passate il francesismo, e sticazzi! Ma qui siamo ancora nel folklore, ridicolo, ma innocuo. Quello che secondo noi ha condizionato il Giro è stata la scelta di sottoporre ai visitatori del profilo Facebook del Giro, lo scorso autunno, una lista di 32 salite, chiedendo di votarne due che sarebbero poi state inserite nel percorso ufficiale. Un’idea aberrante, perché a cosa serve un organizzatore di una corsa se delega ad altri (anche gente appassionata e competente, magari, ma un conto è la competenza tecnica, un altro il sapere organizzare materialmente qualcosa) il proprio lavoro, cioè il disegno della corsa stessa? Può andar bene chiedere un parere, fare un sondaggio indicativo, ma nulla più. Qui invece - come diceva un comunicato Rcs - «con uno sforzo organizzativo di enormi proporzioni, il Giro d'Italia è riuscito ad inserire entrambe le mitiche salite nel percorso». Ecco, lo sforzo organizzativo per omaggiare la finta democrazia diretta potevano anche risparmiarselo e, se proprio volevano inserire Stelvio e Mortirolo, farlo in due tappe. Così c’è stato prima un Giro di una noia mortale, fatto di tappe tattiche in cui tutti tenevano a bada tutti e facevano una serie di letali trenini anche per arrivare freschi alle montagne. Poi una tappa massacrante (e subito dopo quella delle Dolomiti) in cui i corridori hanno comunque cercato di limitare le perdite, soffrendo tutti assieme come dei cani e attaccandosi solo negli ultimi chilometri. I primi 10 sono arrivati al traguardo in 5 minuti, di solito in montagna i distacchi sono molto ampi. Questo può far pensare (e sperare) che nessuno si sia dopato, o che tutti si siano dopati allo stesso modo che sarebbe quasi come se nessuno si fosse dopato. Ma di certo fa pensare che questo è stato un mediocre Giro corso da mediocri ciclisti. Anche per colpa di Internet. Livio Balestri telecommando@hotmail.it