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Perseverare è diabolico (anche se vinci un Mondiale)

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Se c’è un dogma fra la critica attuale, è quello che vuole che la Spagna giochi bene, sempre e comunque. Persino quando gioca male. Un dogma che tiranneggia i giudizi al punto da far coincidere la definizione stessa del “giocare bene” con il “tiqui-taca”, quasi non esistessero altre vie. Invece, posto che l’ultimo mondiale rappresenta la meritata consacrazione di una generazione di calciatori forse irripetibile, e che questo stile di gioco risulta l’unico ad aver fatto veramente scuola negli ultimi anni, va detto che in Sudafrica la Spagna ha brillato soltanto con la Germania, trascinandosi un po’ in tutte le altre gare. Una buona responsabilità spetta a Del Bosque. La sconfitta di Wembley ha confermato i difetti delle gare meno convincenti del mondiale. Una Spagna stucchevole, avvitata su un palleggio fine a sé stesso, privo di qualsivoglia profondità. Sviluppi prevedibili già dalla formazione iniziale. Si fa spesso il paragone fra Spagna e Barça, ma la verità è che fra Del Bosque e Guardiola la concezione dell’equilibrio di squadra varia parecchio. Nel Barça, che usi il 4-3-3 o il 3-4-3, il concetto fondamentale resta la superiorità nella zona della palla, sia per avere più opzioni di passaggio in fase di possesso che per avere più giocatori pronti a recuperarla non appena la si perde. Nella Spagna il concetto rimane, ma cozza con un pregiudizio del suo CT: l’idea che un modulo equilibrato non possa prescindere da due centrocampisti davanti alla difesa (doble pivote, nel gergo spagnolo). In questo caso Busquets e Xabi Alonso. Il problema è che l’ossessione per Busquets, vero feticcio, finisce per snaturare il gioco di Alonso e Xavi. Il madridista è in questo momento il giocatore più in forma, nel nuovo ruolo ritagliatogli da Mourinho: inizia l’azione fra i due difensori centrali per poi aggiungersi al centrocampo. In nazionale però Busquets gli toglie questo spazio, e al tempo stesso esilia Xavi dall’inizio dell’azione. Il blaugrana è una mezzala abituata al contatto costante col pallone, e perciò tende ad abbassarsi per ricevere palla dai difensori. Se aggiungiamo pure lui ad Alonso e Busquets, quella zona si sovraccarica, togliendo tra l’altro spazio alle avanzate dei difensori centrali Piqué e Ramos, che con la loro capacità di impostare potrebbero far guadagnare metri a tutta la squadra, così come l’impiego di Fabregas aggiungerebbe un appoggio in più oltre la linea della palla. Insomma, Busquets, al di là delle buone qualità individuali, rischia di diventare il sassolino che inceppa tutto l’ingranaggio.. (a cura di Valentino Tola)