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L’inno di Buffon

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Dopo Serbia-Italia forse abbiamo letto i giornali sbagliati e guardato i canali sbagliati, ma ad oggi ci sembra che l'unica presa di posizione italiana sui fischi di Belgrado all'inno di Mameli sia arrivata da Gigi Buffon. Sempre pronti ad autoflagellarci quando qualche demente di casa nostra ci fa fare brutte figure, diventiamo incredibilmente timidi quando ad essere insultati siamo noi. Ci sono pochi equivoci: venerdì sera, durante l'esecuzione (peraltro stonata, indegna anche di una banda di paese) dell'inno italiano prima della partita, i 50mila del Marakanà (e non pochi ultras facili da criminalizzare) si sono esibiti in fischi e ululati da popolo in guerra. Sì, ma si sa che i serbi sono nazionalisti: questo il discorso del solito simpatico relativista. E vai di segno delle tre dita, bisogna capirli, ricordiamoci dei bombardamenti Nato, eccetera. Detto che il bene e il male non si possono dividere con l'accetta, rimane il fatto che si tratti di discorsi extracalcistici. Per questo colpisce anche il silenzio della nostra politica, dopo le baracconate sui 150 anni dell'Unità d'Italia, mentre stupisce meno il supersilenzio dei nostri vertici sportivi. Non vorremmo essere troppo cattivi, ma temiamo che anche alla maggioranza dei telespettatori italiani dei fischi all'Italia importasse poco. Ma sì, speriamo che Stankovic non si faccia male e che Marchisio non si stanchi troppo. Eppure fra il fanatismo nazionalista guerrafondaio e il culto ottuso del proprio paesello-orticello e dei fatti propri ci dovrebbe essere una via di mezzo. Rimane il fatto che solo Buffon e i giocatori serbi (che, con l'eccezione di Kolarov, si sono scusati tutti) siano rimasti turbati dall'accaduto. Stefano Olivari