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La Serie A in Marocco

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A Marrakech due giorni. Città stupenda. Il suk, la Medina, la kasbah, un Islam poco fondamentalista e molto aperto sul Mediterraneo. L’Italia non esiste più: nessuna traccia nelle insegne turistiche, pochissime guide in grado di parlare la nostra lingua, inglese, francese e spagnolo come unici idiomi riconosciuti, perfino dalle banche al momento del cambio, la peggiore sconfessione possibile. O, se volete, la conferma che la nostra economia interessa ormai poco. Da qui, cuore commerciale del Marocco, l’Italia è lontana. Della Nazionale di Prandelli nessuno sa o parla. Ma c’è tanto calcio italiano. È quello che vedi sulle maglie dei ragazzi, ricchi o poveri senza distinzione. La casacca nerazzurra di Sneijder, quella un po’ datata di Eto’o, ma anche quella rossonera di Robinho o Pato, quella bianconera di Toni (boh). Quelle strisce sono l’ultima cosa che ancora esportiamo, insieme a qualche griffe di abbigliamento prontamente taroccata sui mercatini. Guardo queste maglie, questi ragazzi, e mi chiedo come si possa pensare di bloccare la cessione dei diritti tv all’estero per la paura di qualche scheda estera in qualche bar di Lambrate o Peschiera. Malgrado i mille affanni del nostro calcio, del quale parliamo a lungo nel numero del Guerino in uscita tra martedì e mercoledì prossimi, riusciamo ancora a esportare un’immagine. Una delle poche cose italiane ancora presenti in questo angolo tra il maghreb e i profumi berberi.