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Daniele Conti ha scelto il Cagliari

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Daniele Conti è un figlio irriverente. Gli piace così: altrimenti sarebbe rimasto a casa, da papà Bruno. Ha scelto l’esilio di Cagliari per sfuggire ai paragoni, all’impossibilità di essere chi non è: il campione del mondo ‘82, colui, cioè, che l‘ha messo al mondo. Imboccando uno dei sentieri che la vita gli ha offerto si è allontanato da Roma e dalla Roma. Ma se è vero che tutte le strade prima o poi conducono lì, nella capitale, i gol di Conti jr. ai giallorossi sono il segno inequivocabile di un destino che si sta compiendo. Ha detto che incarnare la bestia nera della Roma è un piacere. Di solito chi subisce l’edonismo altrui (i romanisti in questo caso, ma vale in generale) ha reazioni incontrollate. Infatti al gol del vantaggio rossoblù gli spalti l’hanno riempito di fischi come si fa col peggiore dei traditori. “Mi scivolano addosso”, dirà nel dopogara. Ma la verità è che ogni qualvolta Conti e i giallorossi si incrociano, e lui fa gol, chi sta fuori avverte quel senso di continuità spezzata. Come se il figlio avesse dovuto a tutti i costi seguire le orme del capofamiglia. Per principio, non per indole. Poiché crede nell‘equilibrio del cosmo calcistico, gli è venuto da dire: “Ognuno ha quello che si merita. Se avessi meritato di più sarei andato altrove”. Invece Daniele ha scelto Cagliari, e ha scelto di restarci dopo un‘estate turbolente, per provare a scucirsi via dalla maglia l’ombra del padre. Adesso va meglio, ma quando nel 1999 arrivò in Sardegna dalle giovanili della Roma l’oggetto principale delle curiosità sul suo conto era: babbo che dice di te? Oppure: papà l‘hai sentito? “Non chiedetemelo più”, replicò capendo di essere adulto. Quelle dei calciatori sono fra le poche famiglie in cui i padri possono diventare la croce dei figli. Perché sentono il peso di una grandezza che difficilmente potranno eguagliare. E allora via al siparietto, ormai il quinto della serie. Daniele: “Di solito dopo un gol alla Roma non sento papà per una settimana. Questa volta un mese”. E Bruno: “Non mi vuole bene”. I figli d’arte sono spesso come le stampe in pixel dei grandi maestri rinascimentali: saranno anche identiche, ma non potranno mai essere l’originale. Eppure Daniele è contento così, “perché quello che ho fatto l‘ho fatto da solo”. Da solo ha messo ko l’imitazione incompiuta del Barcellona di Luis Enrique. Si è regalato un inizio di stagione memorabile. Ha messo via le insofferenza di una stagione fa, quando Bisoli dichiarò: "Conti non rientra più nel progetto". E' andata diversamente. Ora gli mancherebbe solo la maglia azzurra. Ma forse, per indossare quella, toccherebbe imitare papà. Giorgio Burreddu