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Gli allievi di Zeman

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Doping, Calciopoli, passaporti falsi per far diventare italiani giocatori sudamericani. Lei spiegò e poi pagò. Si è mai pentito? "Eventualmente, avrei dovuto star zitto prima. La verità è pericolosa. Una volta detta, è inopportuno rimangiarsela. Avevo ragione. Non c'era nulla da smentire". Il calcio è uscito dalle farmacie? "Spero di sì, ma non ne sono convinto. Se si trovano dopati negli altri sport, non fatico a credere che qualcuno cerchi rimedi artificiali alla propria incapacità. La meritocrazia è uno slogan. Nell'ambiente c'è troppa gente che non c'entra niente". I suoi estimatori dicono: "La FIgc avrebbe dovuto offrire a Zeman la Nazionale". "Avrebbe. Non è mai successo". Carenza di cultura sportiva? "In Italia purtroppo manca. Consequenzialmente, Zeman non sa dove andare". Che rapporto ha con i giornalisti? "Non voglio influenzarli. Quindi non li porto a cena, né a prendere un caffè". Sarebbe grave? "Non voglio corsie preferenziali e desidero che ciascuno scriva ciò che pensa". "Non ha vinto niente, dovrebbe stare zitto": Luciano Moggi la invitava al silenzio. "Quel qualcuno non ha spiegato che metodi ha usato per vincere. Non sono vittorie quelle. Rappresentano altro". Ha rimpianti? "Neanche l'ombra. Per me è come esserci stato. Ho allenato le migliori squadre al mondo". (Sorriso). De Cecco, il suo presidente, produce pasta. Metterà grano anche nel Pescara? (Breve Silenzio. Zeman si volta, improvvisa una gag, simula imbarazzo). "La dico? La dico. Per ora penso che la società sia in fase di recupero. Di riorganizzazione. L'epoca dei mecenati, comunque, è finita per sempre e stare attenti al denaro non è un sinonimo di vergogna". Casillo, Corbelli, Corioni, Cragnotti, Sensi. Il migliore tra i suoi presidenti? "Il più simpatico l'ho incontrato a Messina. Si chiamava Massimino. Se ne è andato sei anni fa. Le racconto un episodio". Dica. "Totò Schillaci, la punta, avrebbe dovuto avere il numero nove. Un giorno Massimino, carbonaro, mi prende da parte e fa: "Mister, mi raccomando, dagli il numero undici. Gli avversari si confondono, lo lasciano libero e lui segna". Erano sciocchezze, ma io le adoravo. Il giorno dell'addio, Massimino mi chiuse in una stanza. "Se non firmi, giuro non ti faccio uscire"". Si intuisce una nostalgia. "I vecchi padroni delle ferriere mi mancano molto. Erano passionali. Qualcuno si è sparato, molti si sono feriti sul piano economico. Oggi i presidenti non si fanno male. Danneggiano direttamente le società. Sono quasi tutte piene di debiti, perché indebitarsi, oggi, è un divertimento". Il dopo Calciopoli? Occasione mancata? "Non si è verificata nessuna rivoluzione. Non è cambiato nulla semplicemente perché le infezioni si debellano diversamente. Quelli che hanno sbagliato sono rimasti, salvo rarissime eccezioni, al loro posto". Il progetto Di Benedetto la convince? "E' necessario aspettare. Nascere è facile, difficile è sopravvivere. Di luccichii e programmi roboanti ne ho visti brillare tanti. L'anno scorso, a Salerno, si presentò un bizzarro americano". Joseph Cala. Promise esborsi per 40 milioni. "Rimase undici giorni. "Tu sei il direttore generale, tu ti occupi dei conti, tu al marketing economico". Poi si è imbarcato sul primo aereo per New York". I suoi allievi le sono grati? "Quando li incontro sempre. Se poi alle spalle parlano male di me non posso saperlo né prevederlo". (ride) Sono soddisfazioni. "Imparagonabili a quando incontri un tuo ex che ti dice: "Peccato Mister, se avessimo ascoltato saremmo altrove"". A proposito di intuizioni e ricordi. Signori, il ragazzo per il cui acquisto propose a Casillo la vendita di un mulino, è stato radiato. "Mi è dispiaciuto tantissimo". Vi siete parlati. "Solo per interposta persona". Secondo l'accusa, Signori scommetteva al pari di Marco Paoloni, il portiere del Benevento, compagno di girone del suo Foggia. Gli arbitri, l'anno scorso, vi hanno preso di punta. (Meditata riflessione). "Che le devo dire? I campionati di C andrebbero riformati. Ci sono realtà che devono vincere per forza. Ma per forza non si può vincere niente. Quando sei obbligato, puoi barare". Tutti i club ricevono lo stesso trattamento? "Mi prende in giro?". Lei arrivò in Italia nel '69. In fuga dalla Cecoslovacchia occupata dai russi. "Per voi la politica è un'ossessione. E' vero. Non mi sono mai iscritto alla Federazione giovanile comunista e ho pagato dazio, come mia sorella. Per lasciare Praga ci ho messo un anno. Ma io sono venuto in Italia grazie a mio zio". Vycpaleck, allenatore della Juve. "Senza di lui non sarei mai uscito da lì. Comunque, le spinte furono meno ideali di quanto si possa immaginare. Il sole e le ragazze, anche se questo non lo posso dire". (Sorride). Fonte: Malcom Pagani per l'Espresso La versione integrale dell'intervista è pubblicata sul giornale