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Cosa resterà di Sudafrica 2010

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La prima volta della Spagna campione del mondo di calcio e altre considerazioni natalizie sulla manifestazione sportiva più importante del 2010: il mito dei fuoriclasse, la scomparsa della seconda punta, il fallimento africano, la strategia di Blatter, le opinioni leggere e il disastro azzurro.
1. Come già nel 2006, è crollato il mito del calcio dei fuoriclasse contrapposto a quello organizzato dei club. In Sudafrica hanno fatto bene solo le nazionali bene allenate, con un'idea di gioco chiara e soprattutto simile a quella portata avanti nei due anni precedenti. Spagna, Olanda, Uruguay, Germania, Brasile, Usa, Messico, Corea del Sud, Giappone, Sudafrica, Usa, Ghana, Paraguay, Svizzera: squadre che hanno chiuso la manifestazione con risultati molto diversi, ma anche la sensazione che sarebbe stato difficile prepararsi meglio. Chi ha puntato sull'improvvisazione, quella con grandi interpreti come nel caso dell'Argentina e quella di serie B come la nostra, ha fallito e non ha permesso nemmeno ai suoi ipotetici campioni di brillare. Troppo facile linciare Maradona, peraltro solo icona carismatica di facciata, più difficile accettare che nel 2010 la nazionale non può essere più una selezione di all star che al momento giusto sappiano trovare le motivazioni. 2. Tatticamente si sono individuate tendenze molto chiare, al di là della facile elencazione numerica dei moduli di gioco. La prima è che la seconda punta è di fatto scomparsa, costretta a riciclarsi sulle fasce nell'ormai imperante 4-2-3-1 (Podolski l'esempio più clamoroso, Kuyt quello più lineare) o a entrare in campo solo nelle situazioni di pura confusione. La seconda tendenza è che gli esterni di difesa spingono molto meno che nel passato, anche quando hanno caratteristiche offensive alla Lahm: non hanno quasi mai un esterno di centrocampo a proteggerli (medaglia d'argento nei moduli è infatti il 4-3-3), nè un allenatore propenso a rischiare. La terza è che nemmeno il Mondiale si gioca più al passo, ma con cambi di ritmo e di intensità che lo fanno assomigliare ad un buon campionato nazionale (possesso palla e verticalizzazione, praticamente la formula della Bundesliga). La quarta? Una sorta di pensiero unico difensivo, come se la difesa a quattro assicurasse automaticamente equilibrio anche negli altri reparti. Addirittura anche Tabarez ha abolito il 'centrale dei centrali' dopo una sola partita. 3. Doveva essere il Mondiale dell'Africa e sicuramente lo è stato nell'aspetto più importante, quello organizzativo. Stadi che rimarranno in larga parte inutilizzati ma comunque bellissimi, ordine pubblico sotto controllo (ma lo era anche nell'Argentina di Videla, gli inviati sanno apprezzare il manganello solo quando difende la loro nota spese), microcriminalità nel mese in esame non peggiore che a Barcellona o Napoli, soprattutto partite giocate giocate davanti a un pubblico che ha risposto in massa. Con il doping del turismo ridotto al minimo, per tre quarti si trattava di residenti locali: un grande successo, inferiore in numeri assoluti solo a Usa '94 e Germania '06. Imbarazzante il paragone con il Mondiale giocato nella patria del calcio parlato e i suoi spalti vuoti. Dal punto di vista calcistico il fallimento africano è stato invece quasi totale. Bene i padroni di casa, con materiale umano modesto ma messi in campo prudenti da Parreira: sono stati i primi nella storia a non superare il primo turno del torneo, ma si sono battuti con onore. Ordinata ma modesta l'Algeria, senza una minima idea Camerun e Nigeria, in rapporto al valore dei giocatori oscena la Costa d'Avorio. Si è salvato ovviamente solo il Ghana iperdifensivo, andato a un rigore dalla storia. Parlare di 'calcio africano' è un po' come parlare di 'cucina africana' o 'politica africana': senza senso, se non si analizzano le singole realtà. A livello aggregato se ne può parlare invece per quanto riguarda i posti nella fase finale del Mondiale: troppi, per quello che si è visto. Gli africani non sono disabili da proteggere con quote, ma calciatori professionisti: se giocano da serie B stiano in serie B. L'idea di togliere una ulteriore europea da Brasile 2014 non ha alcun fondamento sportivo, né tantomeno commerciale. 4. Nessun dirigente sportivo sarebbe uscito vivo dallo scandalo della ISL, che anche sorvolando sugli aspetti giudiziari aveva distrutto l'immagine e le finanze della Fifa. Blatter ce l'ha invece fatta, il suo terzomondismo con i soldi del primo mondo è un miracolo che perpetua il suo potere ma anche quello che rimane del romanticismo del calcio. Il sentimento di appartenenza è rimasto l'ultima cosa a non essere in vendita, anche se qualche segnale negativo c'è. La regola dell'Under 21 che può cambiare nazionale (alla Boateng del Ghana, per dire) rischia di essere il cavallo di Troia che distruggerà il Mondiale. Orde di brasiliani senza futuro ad alto livello sono pronte a diventare arabe o giù di lì, come da anni avviene per gli africani nell'atletica, può diventare un problema molto più grave del gol non visto di Lampard. 5. In comune con il calcio di club il Mondiale ha lo scatenamento di chi a posteriori ha capito tutto, noi compresi. Nell'ultimo mese in ordine sparso si è capito che: a) L'Europa è in crisi, salvo poi ritrovarsi tre semifinaliste europee su quattro; b) Il Sudamerica ha un vivaio inesauribile, peccato che avanti sia arrivato solo l'Uruguay dal buon tabellone; c) Vince il calcio multi-etnico e multiculturale, quando l'unica nazionale multi-etnica che si è comportata bene è la Germania. Che tutto è tranne che multi-culturale: tutti ragazzi cresciuti calcisticamente in Germania, tranne Cacau. Ozil ha respirato da bambino la stessa aria di Netzer, De Jong la stessa di Haan, ma Camoranesi non la stessa di Pepe pur essendo della stessa etnia; d) Al di là della competenza i c.t. devono avere una grande immagine e un grande carisma, salvo poi vedere i grandi nomi (Capello, Lippi, Maradona) ridicolizzati e i 'moderati' andare avanti. Alla fine ha vinto poi il più moderato di tutti, Del Bosque, che nel dopopartita della finale sembrava stesse commentando uno zero a zero fra Albacete e Villarreal; e) Gli arbitri extra-europei sono scadenti, ma fra le peggior prestazioni si ricorderanno quelle di Rosetti e Webb. In generale grossi errori sugli episodi ma buona gestione delle partite, con poche situazioni che sono davvero degenerate: un livello di arbitraggio medio-alto, favorito anche da una maggiore sportività dei calciatori. Forse figlia, questa sportività, anche del giocare lontano dal tifo pro o contro. 6. L'Italia ha ottenuto il peggior risultato della sua storia a pari merito con la mancata qualificazione (ma all'epoca alla fase finale andavano in 16) per Svezia 1958, in un girone di facilità notevole. La storia lavora per Lippi, nel senso che fra dieci anni tutti si ricorderanno di Berlino e pochi del Sudafrica, l'attualità dice che le convocazioni dell'ex c.t. potevano essere giustificate e sostenute solo da idee tatticamente chiare. L'aborto di 4-3-1-2 con Marchisio incolpevole trequartista dopo che si era lasciato a casa Perrotta (il migliore italiano, per quello che Lippi pensa sia utile in quella posizione), ha spiegato meglio di mille editoriali che per quello che è stato un grande allenatore è arrivata l'ora di godersi la barca a tempo pieno. Quagliarella e Maggio congelati dopo tanti discorsi sul campo da allargare, una quantità assurda di capitani non giocatori (Buffon, Gattuso) o purtroppo giocanti (Cannavaro), la qualità solo in mezzi infortunati come Pirlo e Camoranesi. Il problema non è il risultato, perchè tanto in Italia anche arrivare secondi è da sfigati (da vedere e rivedere la festa dei 500mila di Amsterdam per l'Olanda in sfilata sui canali), ma che in due anni non si sia costruito niente. Inserendolo nel contesto giusto, con il vituperato Pepe almeno la Nuova Zelanda la si può battere. Stefano Olivari stefano@indiscreto.it