        La valigia sul letto &egrave; quella di un lungo viaggio&hellip; Forse Haller non lo sapeva, non lo immaginava. O probabilmente lo dava per scontato che un lungo viaggio ci sarebbe stato, dal momento che, prima di dedicarsi totalmente al calcio, aveva fatto il camionista ad Augusta, citt&agrave; della Baviera sud occidentale dove i tedeschi, solitamente, sono meno austeri di quelli di Francoforte e Amburgo. A differenza di lui, che di austero aveva davvero poco: sguardo sorridente, divertito dall&rsquo;imponderabilit&agrave; della vita, alla quale sapeva contribuire con le sue giocate intelligenti quanto imprevedibili, in campo e fuori.  Il viaggio per Bologna&nbsp; La valigia per andar via da Augusta la prepar&ograve; nel 1962, destinazione Bologna. Per prenderlo si mosse addirittura Renato Dall&rsquo;Ara, che per lui ebbe una folgorazione: "Vale tre volte S&iacute;vori, perch&eacute; S&iacute;vori ha il sinistro, Haller ha due piedi", diceva il presidente rossobl&ugrave;, pronto a sborsare, per il suo acquisto, ben 750.000 marchi. Il ragazzo non deluse le attese: fondamentali ben assestati, dribbling, lanci per gli attaccanti che mandavano in visibilio il professor Bernardini. Un trequartista da stropicciarsi gli occhi, uno "capace di creare possibilit&agrave; eccezionali, inventare passaggi stupendi per un compagno che gli andava a genio", parole del sor Fuffo per descriverne le capacit&agrave;. Il suo peso nell&rsquo;economia del Bologna anni Sessanta viveva di riflesso anche nelle prestazioni degli attaccanti: sia Ezio Pascutti che, ancor di pi&ugrave;, Harald Nielsen (capocannoniere in serie A sia nel 1963 che nel 1964) coi suoi assist andavano in doppia cifra e vincevano lo scudetto, l&rsquo;ultimo nella storia dei felsinei, il primo e unico assegnato tramite uno spareggio, quello giocato all&rsquo;Olimpico di Roma il 7 giugno 1964. "Tu non chiama. Io vedo e ti d&agrave;" &egrave; la frase, diventata celebre, che destinava ai compagni che gli chiedevano il pallone.  L&rsquo;esperienza juventina&nbsp; Della Bologna dotta rispettava gli stilemi coi suoi tratteggi artistici; di quella gaudente sapeva apprezzare le divagazioni e il cibo. Abitudini che conferma anche nel 1968 quando, dopo 208 partite dipanate in sei stagioni, il buon Helmut cede al fascino della fidanzata d&rsquo;Italia. Alla Juventus di Heriberto Herrera deve rimettersi in discussione: Torino &egrave; diversa nelle sue regole gerarchiche, nelle sue atmosfere dagli echi monarchici. Haller, a ridosso dei trent&rsquo;anni, &egrave; sufficientemente scaltro per capire come adattarsi senza rinunciare al bello della vita. Non fa storie quando, per esigenze di squadra, gli viene chiesto di far scivolare il suo raggio d&rsquo;azione sulla fascia destra: la sua efficacia in campo non ne risente e cos&igrave; i vertici bianconeri chiudono un occhio quando vengono a conoscenza dei suoi diversivi notturni. Ma a tutto c&rsquo;&egrave; un limite: cos&igrave;, quando dopo la sconfitta rimediata nella partita di ritorno dei quarti di finale di Coppa Uefa contro il Wolverhampton il 22 marzo 1972, Haller, nonostante il divieto, viene trovato da Vycp&aacute;lek e il direttore generale Giuliano a bere in un night, la societ&agrave; non pu&ograve; esimersi dal punirlo. Una sanzione che fa male, perch&eacute; la partita che il tedesco non va a giocare &egrave; un importantissimo derby col Toro che, alla fine, i bianconeri perdono. Ma nell&rsquo;occasione Boniperti &egrave; inflessibile: l&rsquo;esempio, soprattutto per i giovani che si accingono a fare carriera con la Juventus, &egrave; pi&ugrave; importante di un derby perso. Tanto, alla fine, tutto finisce bene: al termine della stagione Haller e i suoi compagni vincono lo scudetto, bissando il successo l&rsquo;anno successivo, l&rsquo;ultimo in Italia per il tedesco che, al momento giusto, decide di tornare in patria.  Con la Germania Ovest Saper andar via e saper ritornare. Il non pi&ugrave; giovanissimo Helmut torna ad Augusta per dare una mano, colmo di glorie e di acciacchi, alla squadra che lo aveva lanciato, fino a terminare la carriera a quarant&rsquo;anni, quando negli spogliatoi pu&ograve; permettersi il lusso di non esser criticato da nessuno. Lui che, oltre agli scudetti con Bologna e Juventus, era riuscito a brillare anche nella Mannschaft, con la quale aveva disputato tre Mondiali (1962, 1966 e 1970) ergendosi a protagonista in quello d&rsquo;Inghilterra, dove ottenne due secondi posti: quello con la Germania Ovest e quello nella classifica dei cannonieri, frutto di sei gol che lo posizionarono alle spalle del solo Eusebio. Lasci&ograve; la sua impronta anche nella finale contro i padroni di casa, aprendo le marcature con una rete che cull&ograve; un sogno di soli sei minuti, sufficientemente emozionante per spingere Helmut a portarsi a casa il pallone di quella partita. Un pallone che restitu&igrave; solo dopo trent&rsquo;anni. Bizzarrie di un campione il cui ricordo, oggi, &egrave; probabilmente sottovalutato, considerando anche che nel 1999 venne eletto centrocampista tedesco del secolo. Un riconoscimento che restituisce il suo pieno valore, considerando che Haller non vinse i Mondiali, spese i momenti salienti della sua carriera in Italia e venne preferito rispetto ad altri numerosi colleghi di altissimo profilo.        

<p>Dapprima trequartista raffinato nei rossobl&ugrave; di Fulvio Bernardini, poi ala coi bianconeri, seppe brillare anche con la maglia della Nazionale, tanto da essere eletto centrocampista tedesco del ventesimo secolo</p>

Helmut Haller e il lungo viaggio tra Bologna, Juventus e Germania Ovest

Helmut Haller &egrave; stato il meno tedesco dei calciatori tedeschi, in un'epoca in cui il giocatore doveva essere inquadrato molto pi&ugrave; di oggi sia in campo che soprattutto fuori. Ecco, Haller era tutt'altro che inquadrato e non solo per lo champagne e i locali notturni frequentati senza nascondersi nemmeno troppo. Siamo purtroppo abbastanza vecchi per averlo preso per la coda, da appesantito ma brillante co-protagonista dei due scudetti della Juventus di Vycpalek (1971-72 e 1972-73), oggi decisamente pi&ugrave; noto come zio di Zeman ma ai suoi tempi prima ottima ala destra e poi allenatore molto serio. Mentre il miglior Haller, quello del Bologna e della Germania Ovest del Mondiale 1966, lo abbiamo scoperto molto pi&ugrave; tardi, rimanendo estasiati dalla sua genialit&agrave;: mai una giocata uguale all'altra, sempre protagonista, una sicurezza in se stesso quasi alla Sivori (di qui la propensione verso il tunnel), un'eleganza assoluta che aveva conquistato Gianni Agnelli che con un lungo corteggiamento riusc&igrave; a portarlo in bianconero dopo sei anni di Bologna. Nella squadra di Renato dall'Ara era arrivato, ceduto dall'Augsburg dove era nato e cresciuto, dopo il Mondiale del 1962 in Cile, dove era stato lanciato da Sepp Herberger, accompagnato dalla moglie Waltraud e diventando protagonista nella squadra che nel 1964 avrebbe conquistato quello che al conteggio attuale rimane l'ultimo scudetto vinto dai rossoblu e che se il calcio non migliorer&agrave; la sua organizzazione tale rimarr&agrave; nei secoli. Poi la morte di Dall'Ara e il ridimensionamento del Bologna lo fanno un po' 'sedere', anche se in Inghilterra nel 1966 &egrave; fra i migliori giocatori del Mondiale (anche 4 anni prima si era distinto, giocando tutte le parte compresa quella contro l'Italia) oltre che protagonista nella storica finale fatta svoltare dal gol fantasma di Geoff Hurst. Che fu quello del tre a due, mentre il risultato era stato sbloccato proprio da Haller... di quella partita gli rimasero un rimpianto enorme, smorzato solo in minima parte dal suo amore per la vita, e il pallone (o uno dei palloni, in questi casi le versioni sono molteplici) con cui si gioc&ograve;. Quando a 29 anni arriva alla Juve, da pallino dell'Avvocato, in molti lo giudicano finito ma lui smentisce tutti ed &egrave; decisivo in una squadra che oltre vincere lancia giovani come Roberto Bettega e Franco Causio. Con la maglia bianconera chiude in maniera amara, perdendo la finale di Coppa Campioni contro un Ajax imbattibile, tornando all'Augsburg. Con la nazionale aveva chiuso dopo il Mondiale del 1970, dove gioc&ograve; pochissimo a causa di un infortunio. Il dopo-calcio ha dato ad Haller meno soddisfazioni del calcio, con varie attivit&agrave; commerciali mai tramutatesi in successi, ma un genio come lui non ha avuto una sregolatezza sufficiente per rovinarsi e cos&igrave; la vecchiaia &egrave; stata serena almeno fino all'infarto del 2006, fra interviste e matrimoni (il terzo nel 2003, a 64 anni con una cubana 21enne). Parkinson e Alzheimer gli ultimi avversari, con i quali per&ograve; i tunnel sono stati impossibili. Adesso i titoli di coda, su uno dei primi grandi dell'era televisiva. Amatissimo in Italia ma anche in Germania, senza bisogno di mille trofei in bacheca. 

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Helmut Haller e il lungo viaggio tra Bologna, Juventus e Germania Ovest

L’ultimo tunnel di Helmut Haller