Una ragazza italiana sotto gli 11 secondi nei 100 metri? Bellissimo, quasi da non crederci. Infatti non &egrave; vero. La ventenne Hannah Cunliffe &egrave; statunitense, sia di nascita che di formazione, di italiano ha soltanto un trisnonno che non &egrave; nemmeno chiaro se abbia conservato o no la cittadinanza dopo essere emigrato da Cosenza oltre un secolo fa. Il nome di questa splendida atleta, che mentre scriviamo queste righe &egrave; la quinta centometrista del 2016 (dopo Tori Bowie, Dafne Schippers, Veronica Campbell-Brown e Jenna Prandini), diventer&agrave; sempre pi&ugrave; familiare agli appassionati italiani perch&eacute; l'operazione Cunliffe-Italia &egrave; iniziata da mesi e la FIDAL, ricca di mezzi ma non di atleti di vertice, ha molta voglia di aggiungere un quarto atleta da medaglia a Rio, dopo Tamberi, Schwazer e la Giorgi. Sfugge la convenienza sportiva e finanziaria della Cunliffe, che potrebbe guadagnarsi i Giochi anche da americana e che da americana avrebbe molte pi&ugrave; potenzialit&agrave; di marketing (essendo anche di pelle bianca, potremmo dire con cinismo), al di l&agrave; del coinvolgimento della famiglia, a partire dal padre-allenatore. Una storia in cui si mescolano forzature della legge ordinaria e di quella sportiva (la Cunliffe ha gi&agrave; gareggiato per la nazionali giovanili USA), che di sicuro nelle prossime settimane avr&agrave; sviluppi in un senso o nell'altro. La nostra sensazione &egrave; che con Seb Coe al vertice della IAAF queste campagne acquisti spacciate per naturalizzazioni saranno rese molto pi&ugrave; difficili, un po' con la dissuasione e molto con nuove regole. Ma il vero punto &egrave; un altro e non riguarda solo la Cunliffe, visto il numero di atleti neo-italiani degli ultimi mesi, che italiani lo sono diventati soltanto da atleti professionisti. Per un movimento hanno senso medaglie e piazzamenti conquistati in questo modo? Non stiamo parlando di Qatar, Bahrein o Turchia, che quasi alla luce del sole regalano passaporti, e nemmeno di Inghilterra o Francia che hanno il vivaio immenso delle ex colonie. Stiamo parlando di un movimento come il nostro, retto fondamentalmente dal volontariato e dalla passione, a cui si lancia un messaggio pericoloso: inutile impegnarsi per arrivare in alto, quando avendo i soldi (e lo sport italiano li ha, anche se piange sempre miseria) puoi arrivare ai migliori talenti del mondo, formati da altri e senza ovviamente alcun senso di appartenenza diverso dalla convenienza. Discorso che c'entra zero con i cosiddetti 'nuovi italiani', ragazzi che a tutti gli effetti si sono formati come atleti in Italia e i cui eventuali successi sarebbero s&igrave; un motivo di orgoglio per la FIDAL. In generale il superamento della logica dei passaporti ha sportivamente un senso, perch&eacute; non esiste che il quarto keniano nelle siepi guardi i Giochi da casa. Ma allora Hannah Cunliffe dovrebbe gareggiare in quanto Hannah Cunliffe, non in quanto statunitense, italiana o congolese. Le implicazioni di questa svolta sarebbero evidenti, visto che tutto lo sport mondiale si regge su organizzazioni nazionali. Non si pu&ograve;, insomma, essere nazionalisti quando si vota e non nazionalisti quando si vogliono ingaggiare i migliori sul mercato.  &nbsp;

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Hannah Cunliffe e la campagna acquisti