Pasquale Vivolo: l'insostenibile leggerezza del 9 e mezzo

Pasquale Vivolo: l'insostenibile leggerezza del 9 e mezzo

Un calcio meno dogmatico di quello degli anni '50 lo avrebbe esaltato. Il dualismo con Boniperti, poi la Lazio: storia di un campione mancato

Lorenzo Stillitano/Edipress

18.11.2022 12:23

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Massimiliano Allegri è solito dire che il calcio è "molto semplice": c'è chi segna, chi fa assist e infine c'è chi corre. Ha ragione. La furia atletica non è per tutti.
Cervello finissimo, in grado di far correre il pallone e gli altri al proprio posto, Pasquale Vivolo capitò nel posto giusto al momento sbagliato. Che carriera avrebbe avuto in Nazionale e nella Juventus questo ragazzo classe 1928, nato nel napoletano ma cremonese d'adozione, con un passato anche nella Lazio, se solo si fosse ritrovato a giocare in Serie A un decennio più tardi, invece dei confusionari anni '50 del calcio nostrano?  

Alter ego di Boniperti

Allora nella Penisola andavano di moda il WM inglese e i tecnici stranieri: vorticoso gioco sulle fasce, schemi collettivi e corse per tutti, nessuno escluso. Tale foga cinetica, scambiata per modernità, si rendeva necessaria per sostenere difese pericolosamente sguarnite. Un'originale idea di calcio italico, dunque, lottava ancora per affermarsi: più equilibrata di quelle esterofile e incline maggiormente a valorizzare il talento unico dei singoli.
Stralciamo da L'Unità del 18 ottobre 1954 una pagella dedicata a Pasquale, esemplare del suo stile di gioco. Un numero 9 che pensava da 10: un 9 e mezzo. "Vivolo non ha la taglia della mezzala, non possiede quel minimo di forza fisica, materiale, che un interno deve possedere. Un delizioso giocatore, senza dubbio, ma del quale è difficile poter stabilire l'impiego migliore". Il trequartista-centravanti di Brusciano si asteneva regolarmente dalla lotta, forte del privilegio della sua classe superiore.
Si chiesero come schierare Pasquale, gli allenatori della Juventus, dove il giovane tifoso bianconero era arrivato nel 1949 dalla Cremonese, vincendo subito uno scudetto. Nel 1952 il bis, seppur con l'ingrato ruolo di titolare aggiunto. Tra il 1951 e il 1953 le stagioni migliori di Vivolo. Media-gol del periodo: 0,7. Bomberone John Hansen: 0,8. Sua Maestà Boniperti: appena 0,4. Stava nascendo forse una nuova stella, al fianco di John? Per non adombrare il sabaudo Giampiero, suo diretto concorrente nel ruolo, Vivolo fu piuttosto messo in lista trasferimenti, nonostante i 31 centri in 67 partite di campionato, e spedito prontamente alla Lazio per la modica cifra di 70 milioni. La rivalità con l'amico di Barengo costò a Vivolo anche il posto in Nazionale, che sfiorò appena.

Divo laziale

Roma per “Bibi” era inferno e paradiso. Lo conferma un giovane spadaccino della Polisportiva Lazio, la cui testimonianza è raccolta in “Bagliori di gloria”, libro dello storico Marco Impiglia dedicato agli schermidori biancocelesti: "Un giorno vidi entrare l’ing. Zenobi con Vivolo, il famoso giocatore. Allora noi ragazzi, che avevamo interrotto un attimo per ascoltare il discorsetto di quei signori, ci demmo di gomito: Hai visto, c’è Vivolo! Eravamo meravigliatissimi". L'Urbe tuttavia sapeva essere anche infernale, bruciata dall'ossessiva passione dei romani per il calcio. Pensate: il conte laziale Mario Vaselli - si legge su LazioWiki, l'Enciclopedia on-line biancoceleste - durante un'elettrica sfida a Napoli rifilò al flemmatico Vivolo un gran ceffone! Desiderava lottasse con maggior vigore. Oltre cento gare con i romani molte delle quali da capitano, e una trentina di reti in cinque stagioni, gli valsero comunque la fama. Nessun trofeo però. Quella Lazio era squadra stralunata.
Nel 1959, da un anno a Brescia, Vivolo lasciò il calcio. Poi fu abile imprenditore nell'amata Cremona. Nel 2002 giunse inaspettata la morte, prematura.

La foto autografata di Pasquale Vivolo ci è stata gentilmente concessa dall'Archivio fotografico Ivano Piermarini. Per le immagini del collage in copertina si ringrazia LazioWiki

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