Simone Perrotta: "Quanti ricordi a Roma con Totti e Spalletti"

Simone Perrotta: "Quanti ricordi a Roma con Totti e Spalletti"

Cresciuto nella Juve, si impose in giallorosso grazie al tecnico di Certaldo: "Crisi risolta con Francesco falso nueve e io trequartista"

Lorenzo Scalia/Edipress

30.12.2023 ( Aggiornata il 30.12.2023 15:13 )

  • Link copiato

Essere Simone Perrotta. Potrebbe essere un titolo di un film. Perché dietro a questo nome e cognome c’è la storia di un ragazzo che è partito dal profondo Sud, dal centro sportivo Sant’Agata di Reggio Calabria, per arrivare ad alzare a Berlino la Coppa del Mondo, passando da esperienze alla Juventus (una stagione) e alla Roma (nove anni di fila) ma anche in realtà più piccole, vedi il Bari di Fascetti o il Chievo di Delneri. Anni formativi. Anche se è tutta una grande favola. Da attore (non) protagonista. Vedi il lancio per il primo gol di Cassano in Serie A ai tempi del Bari. A quel «mamma sono ricco...» poteva essere aggiunto in fondo «...grazie a Simone». “A volte ci scherziamo con Antonio. Lui dice che quel- lo è stato l’unico lancio decente della mia carriera, io rispondo che l’avrei potuta appoggiare la- teralmente quella palla…", ammette con un sorriso l’ex centrocampista. Di più. Quando Totti ha iniziato a fare l’attaccante, a segnare a raffica da falso nove, aveva come spalla proprio Per- rotta, diciotto polmoni al servizio del capitano tra corse a vuoto, inserimenti spettacolari, gol, assist e quel ruolo di (falso) trequartista inventato da Spalletti che gli ha cambiato la carriera prima delle convocazioni per l’avventura in Germania. Senza dimenticare la parentesi alla Juventus, “lì al fianco di Zidane, Davids, Del Piero, Henry, Conte e tantissimi campioni”. E poi l’impegno attuale nel calcio, il sottofondo della sua vita: la gestione della Jem’s Soccer Academy a Casal Palocco, i ruoli in Figc e Aic, così come il sostegno da vicepresidente alla Roma Calcio Amputati. Insomma, cuore e passione. Come al solito. Come ai tempi dell’Olimpico.

Perrotta, tutto inizia a Reggio Calabria.
Avevo 14 anni e due offerte sul tavolo: dal Cosenza che era casa mia e dalla Reggina. Mio padre mi ha lasciato libero di scegliere e sono partito per Reggio Calabria. La testa ha detto così. L’ambienta- mento non è stato semplice. Piangevo al telefono all’inizio. Ma in fondo si stava bene, nel convitto c’erano 50 ragazzi pieni di sogni. L’esordio in prima squadra è stato un momento speciale”.

Poi nel 1998 arriva la chiama- ta della Juventus...

Impossibile da rifiutare. Ero contento anche perché con parte dei soldi della mia cessione la Reggina ha rinnovato il Sant’Agata. Ho giocato poco anche perché facevo il militare, quindi mi allenavo solo a ridosso delle partite. Ma stare in mezzo a tanti campioni mi è servito per capi- re come funzionano le dinami- che di un grande club. E poi ho avuto per sei mesi Lippi e per al- tri sei mesi Ancelotti”.

Che annata è stata?

“Siamo arrivati in semifinale di Champions contro lo United che poi ha vinto il trofeo. In campio- nato invece si andava meno forte. La concorrenza era impressionante: a centrocampo, tra gli altri, c’erano Conte, Davids, Tudor e Deschamps. Sono comunque riuscito a ritagliarmi dei piccoli spazi”.

Zidane era davvero di un altro pianeta?
Sì. Era enorme fisicamente, elegante e unico. In campo ha fatto vedere il 50% di quello che ci faceva vedere in allenamento”.

Perché non resta alla Juventus?
Dovevo giocare con continuità. E in comproprietà finisco al Bari con Fascetti, che faceva un calcio all’antica, uomo a uomo. Resto per due anni, al termine dei quali retrocediamo. Alle buste vince il Bari, la Juve aveva altri progetti, ma non potevo rimane- re in B così scelgo il progetto del Chievo, di una neo promossa”.

E si vola...

"Delneri era all’opposto rispetto a Fascetti come filosofia di gio- co. Ci ho messo un po’ a capire gli schemi che però hanno funzionato da subito. Ci siamo di- vertiti parecchio”.

La Roma bussa alla sua porta nell’estate del 2004...
In Nazionale Totti mi diceva sempre “quando vieni?”. Beh, la telefonata giusta è arrivata e sono sbarcato a Roma”.

Altre offerte?

“Mi voleva anche l’Inter, mi seguiva da tempo”.

Non è stato subito amore con la Sud...
Mi avevano introdotto nel mondo Roma come sostituto di Emerson. Ma io non ero quel genere di giocatore”.

Prandelli, Voeller, Delneri e Conti: la panchina era bollente.
Era complicato. Io ero sommerso da critiche e ogni volta che toccavo palla venivo fischiato dal pubblico. Mi sono estraniato, leggevo poco i giornali e vedevo ancora meno tv”.

L’anno dopo arriva Spalletti, ma lei inizialmente voleva andare via...
In ritiro dissi a Spalletti che avrei accettato l’offerta dell’Everton. Ero pronto a partire. Ma lui bloccò la mia cessione. Mi disse: “Vengo in guerra con te”. Fino a dicembre continuò l’andamento negativo, Spalletti era anche a rischio esonero. Poi cambiò tutto con il nuovo modulo".

Totti falso nove e Perrotta trequartista perché gli altri attaccanti erano fuori.

Proprio così. Vincemmo 11 partite di fila stabilendo un record. Andavamo a mille all’ora…".

Mesi intensi e la convocazione per il Mondiale in Germania.

Il più grande traguardo della mia carriera è stato alzare la Coppa del Mondo insieme a Totti e De Rossi”.

I momenti più belli dei nove anni alla Roma?
Sono così tanti che non si possono racchiudere in poche parole. Non abbiamo vinto tanto ma eravamo una squadra vera fuori e dentro il campo”.

I più forti?

“In porta Doni, dietro Juan, a centrocampo De Rossi e Pizarro, in attacco Totti”.

Resta la ferita dello scudetto del 2010.
Avevamo recuperato il gap dall’Inter di Mourinho, che era fortissima. Contro la Sampdoria di certo non eravamo appagati. Ma, dopo un primo tempo fantastico, for- se uno dei migliori della stagione, sono arrivati quei due gol che han- no spento il nostro sogno».

La differenza tra Roma e Juventus?
La gente. A Torino sei uno qualsiasi a meno che non ti chiami Del Piero, si suda, si vince e si torna subito a lavorare. A Roma ti fermano per strada facendoti sentire a volte il giocatore migliore del mondo. C’è più passione in tutto, nel bene e nel male”.

Si ritira dopo 346 presenze e 48 gol in giallorosso.
Potevo chiudere la carriera negli Stati Uniti ma mio figlio all’epoca aveva solo 10 anni. Tornando indietro sarebbe stato più giusto partire all’avventura".

Condividi

  • Link copiato

Commenti