Jorge Burruchaga: il gol alla Germania nel Mondiale '86 e non solo

Jorge Burruchaga: il gol alla Germania nel Mondiale '86 e non solo

Nato il 9 ottobre del 1962, l'ex centrocampista dell'Independiente con una rete su assist di Maradona regalò la Coppa del Mondo all'Argentina nel 1986. Con il club di Avellaneda vinse anche la Libertadores e l'Intercontinentale

Paolo Marcacci/Edipress

09.10.2022 10:04

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Irreversibile è ciò che nessuno potrà mai cancellare. Poi, che mettano pure in discussione tutto il resto, che esibiscano concetti claudicanti come un ginocchio troppo spesso malandato; come un sacco pieno zeppo di giocate sul quale s’era posata la cenere dei troppi infortuni; ma non si potrà mai cambiare la Storia a dispetto di chi l’ha scritta.

Il fatto è che a volte basta un giro di lancette in mezzo a tutti quelli trascorsi e ai pochi che mancano, per superare l’equatore dei giudizi, delle definizioni, delle catalogazioni soprattutto. Di Jorge Burruchaga, argentino di Gualeguay, laddove Buenos Aires è ancora soltanto un’ipotesi, classe 1962, si può dire innanzitutto che era una grande mezzala, o un trequartista delizioso se preferite, già prima del 29 giugno del 1986; anzi, del minuto 86, come quell’anno in cui il suo destino attraversò definitivamente la linea d’ombra della considerazione e quando il suo pregio tecnico, già europeizzato dal campionato francese, ottenne il bollino di ceralacca della consacrazione mondiale, in questo caso non rosso scarlatto ma iridato, perché il mondo se lo stavano giocando, allo Stadio Azteca, sotto la cappa di un 2-2 più stagnante dell’umidità che aveva provocato malori in tribuna. E i tedeschi, vestiti di verde per l’occasione, cominciavano a mostrare di avere più benzina in corpo, rispetto a un’Argentina più piccola nelle proporzioni e prosciugata nelle risorse atletiche.

Ma quando si addensano le nubi, decidono gli dei con un soffio di vento: il batti e ribatti dentro al cerchio di centrocampo è occasione e pericolo al tempo stesso, con gli spazi aperti davanti, perché i tedeschi hanno alzato il baricentro; con la voragine alle spalle, perché mezza argentina è lì a morsicare il pallone. E i tedeschi non sono gli inglesi, loro ti abbattono prima: è ciò che l’istinto suggerisce a Maradona, quando dopo aver conteso di testa un paio di rimbalzi capisce che i malleoli gli serviranno ancora per scrivere la storia sotto il Vesuvio; allora invece di andare nello spazio che si apre, ci spedisce il pallone, di prima, sussurrandogli coi giri contati il nome di Burruchaga, quello col numero sette, che ha già capito e suggerito a Diego al tempo stesso cosa abbia senso fare, sapendo che Diego lo farà nello stesso tempo che ogni altro impiegherebbe per tentare di capire. El Burru scatta sul lato destro e tutti i muri di Berlino già piangono lacrime di breccia che diventa improvvisamente friabile: persino Briegel che è stato un decatleta capisce che la linea dove si trova è quella di un destino speculare e contrario, la sua rincorsa disperata è un bunker residuo del 1945, che gli piega la testa all’indietro e gli fa mancare sotto i piedi il terreno della seconda finale persa. Burruchaga porta avanti la palla col sinistro, nei suoi tratti da indio e nel busto compresso sembra esserci la rincorsa per prendere a calci in culo un occidente intero: questa non è più l’Argentina dei Generali, questa è una nazionale che chiama Malvinas le isole che le spetterebbero e che non ne può più dei suoi criminali novecenteschi e dei crimini secolari di chi le ha piegato il collo sotto uno stivale spagnolo. Dopo essersene andato con il mancino, lo stesso piede del tocco ricevuto da Maradona, vede Schumacher in uscita, uno che per chiudere la porta non esiterebbe a infilare un parastinchi in gola all’attaccante: allora riesce ad accelerare ancora, per aprire la strada alla liberazione del destro. Il resto è storia, alla quale passa un giocatore la cui parabola da quel momento in poi andrà riconsiderata alla luce di quel frammento, e anche questa peraltro è un’ingiustizia dei potenti, a ben vedere.

La storia calcistica di Burruchaga era già degna di essere raccontata prima di quel gol, lui che aveva fatto parte dei grandi dell’Independiente con Bochini e Trossero, quelli della Copa Libertadores e della Coppa Intercontinentale del 1984; che poi se n’era andato al Nantes per farsi eleggere migliore di Francia, che s’era beccato pure una squalifica per colpa delle combine tra Marsiglia e Valenciennes quando era arrivato da poco a vestire la maglia biancorossa dei Cigni, che all’Independiente sarebbe tornato per cucire l’ultimo assist laddove la sua grandezza era cominciata.

Nella faccia di ogni sudamericano c’è una piega confusa tra le altre che rende malinconico il sorriso, nemmeno la sua fa eccezione. Deve essergli tornata utile per esorcizzare il dolore delle ginocchia troppo fragili, da un certo momento in poi: lo stesso momento in cui Maradona aveva convinto Ferlaino a portarlo a Napoli, dopo il 1987. E’ andata come è andata, così come la finale del 1990, quando i tedeschi il Muro non ce l’avevano più ma avevano più alleati, nella finale dell’Olimpico. Di certo nessuno ha mai potuto portar via al Burru il ricordo di quell’istante in cui, mentre tutto il mondo pensava a Diego, Diego ha pensato a lui.

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