Wimbledon 1982: la rivincita di Connors, un combattente sul prato verde

Wimbledon 1982: la rivincita di Connors, un combattente sul prato verde

Il 4 luglio di 40 anni fa, dopo tre finali perse, Jimbo tornava a vincere ai Championships superando il rivale McEnroe in un match al cardiopalma

Samuele Diodato/Edipress

04.07.2022 ( Aggiornata il 04.07.2022 02:27 )

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L’Antipatico. Era così che Gianni Clerici, cui va un affettuoso abbraccio a neanche un mese dalla scomparsa, aveva preso a chiamare Jimmy Connors dopo la vittoria a Wimbledon nel 1974. Perché, quel giorno, l’americano aveva altezzosamente proclamato l’inizio di una presunta “Era Connors”. Un’Era mai cominciata, a causa dell’ascesa di Bjorn Borg prima e di John McEnroe poi. Ma ad un certo punto, a Church Road, nel 1982, l’Antipatico ha smesso di essere tale, anche agli occhi dello Scriba. In quel magico torneo, dal quale sono passati 40 anni, Jimbo lo si considerava finito. Nonostante fosse ancora tra i migliori, infatti, mancava all’ultimo atto di un Major dallo US Open del 1978, contro Borg. Dunque il trionfo, otto anni dopo la prima volta, per di più contro il campione in carica McEnroe, in una finale passata alla storia, ha reso immortale l’impresa di Connors, conquistando davvero i cuori di tutti.

Una finale annunciata

Fu un’edizione, quella, disturbata dalla pioggia per 10 giorni su 13. E senza neanche troppo spettacolo, stando alle cronache, nel torneo maschile. Non si desiderava altro che la finale tra Mac e Jimbo, rispettivamente n. 1 e 2 del tabellone. I due, inoltre, si erano incontrati già tre volte nel corso dell’anno, la più famosa delle quali nell’esibizione giocatasi al Michelob Light Challenge di Chicago. Qui avvenne una delle celebri liti tra loro: Connors, spazientito dalle continue perdite di tempo di McEnroe, arrivò addirittura a scavalcare la rete, avvicinandosi a pochi centimetri con il dito puntato verso l’avversario. Questo, per tutta risposta, allontanò il rivale con uno spintone, e per separare i giocatori fu necessario l’intervento dei giudici di gara. Il n. 1 ATP, sconfitto, si vendicò poche settimane dopo a New York, mentre il ragazzo di Belleville s’impose nella finale al Queen’s, torneo preparatorio per eccellenza a Wimbledon. Ai Championships, in effetti, i due dominarono i rispettivi avversari: alla seconda domenica, McEnroe arrivò perdendo solo un set, nei quarti, contro il n. 5 del tabellone Johan Kriek; Connors cedette solo due parziali, contro l’australiano John Alexander e il connazionale Gitlin. Le due semifinali, peraltro, furono a senso unico: Jimbo batté il n. 12 Mark Edmondson, mentre il mancino d’oro del tennis interruppe il sogno di Tim Mayotte, unica non testa di serie a spingersi fino a quel punto.

Tenacia e agonismo, l’epica sfida contro McEnroe

Per una curiosa coincidenza, il derby in finale era programmato per il 4 luglio, non un giorno qualsiasi per gli statunitensi. Due che, si ricordi, erano troppo “uguali” per volersi bene: “Lui è aggressivo. Io sono aggressivo”, raccontò Connors al New York Times dopo gli eventi di Chicago. “Entrambi difendiamo i nostri diritti, ma io lo faccio in maniera differente. Io sono pronto a farmi avanti quando penso di avere ragione: non voglio solo un po’ di svago, ma anche rispetto, ci sono dei limiti”. A rendere indimenticabile quella partita furono però, inevitabilmente, le differenze dal punto di vista tecnico. La battuta velenosa e la varietà dei tagli di McEnroe contro la regolarità ed il vigore agonistico di Connors. Partì meglio il detentore del titolo, che mostrando maggiore lucidità si aggiudicò il primo parziale, recuperando un break di svantaggio. L’abilità tattica del n. 1, però, iniziò a non sortire più i suoi effetti di fronte all’intensità atletica ed alla precisione di Jimbo. Il fenomeno dell’Illinois sfruttò il calo di concentrazione dell’avversario ribaltando quasi totalmente la partita. La sua corsa, tuttavia, si fermò ad un passo dalla conquista del terzo set: sul 3-6 6-3 5-4, al servizio, rimise tutto in gioco con due clamorosi doppi falli, divenuti ancor più pesanti quando McEnroe dominò, poco dopo, il tie-break. Ma nel quarto parziale la finale s’avviava alla sua svolta, sin dal primo gioco: con un fortunoso nastro, e tanto coraggio, Connors salvò qui due palle break vitali, cambiando forse per sempre il suo destino. Dopo quel game, l’andamento fu più regolare, tanto che si giunse di nuovo sul 6-6, momento spartiacque, probabilmente, anche della carriera da ultratrentenne di Connors. Che era a quattro punti dalla quarta sconfitta consecutiva in finale a Wimbledon, sotto 3-2 e col servizio nelle mani di Mac. Di perdere ancora, però, Jimbo si rifiutò, ed arrivò a sconfiggere anche i fantasmi di Arthur Ashe, vittorioso contro di lui nel 1975, e di Borg (1977 e 1978), che aveva annunciato il suo ritiro – poi rivelatosi provvisorio – pochi mesi prima. Nel sesto punto, il n. 2 ricucì lo strappo beffando McEnroe con un incredibile colpo bimane a rete dopo uno scambio ravvicinato, e l’inerzia della finale andò dunque dalla sua parte.

Le altre immagini salienti del tie-break sono le due esuberanti esultanze dell’Antipatico, capace di portare la competitività su livelli mai visti prima in un campo da tennis. Una sul minibreak del 6-4, e l’altra dopo la prima vincente che lo lanciò verso il trionfale quinto set. Una risposta di rovescio, nel terzo game, per il break definitivo. Sta lì, la sintesi dell’ultimo parziale, ma anche in uno dei tipici passanti con il quale Connors cancellò la palla break che avrebbe riaperto di nuovo tutto. Risposte e passanti per disinnescare il servizio e le volée di McEnroe. Jimbo, scriveva Joel Drucker nel suo “Jimmy Connors mi ha salvato vita”, ci mostra che la vita vera è un combattimento. Contro Mac e chi lo dava sul viale del tramonto, infatti, Connors ha voluto combattere strenuamente, senza mai arrendersi. E quel Wimbledon, vinto dopo 4 ore e 14 minuti, col punteggio di 3-6 6-3 6-7 7-6 6-4, è una pagina di storia tutta sua, che gli ha cambiato la vita.

Due mesi dopo vincerà anche lo US Open, tornando in cima al mondo. Per Rino Tommasi, non a caso, era un “pugile prestato al tennis”, un’immagine consacratasi per sempre in quel 4 luglio del 1982, giusto una settimana prima del mitico Italia-Germania Ovest in finale al Mundial.

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