Jana Novotna, la sfortuna e la leggerezza

Jana Novotna, la sfortuna e la leggerezza

La tennista ceca 25 anni fa vinceva il suo primo e unico titolo a Wimbledon, prendendosi una grande rivincita dopo le due finali perse in precedenza, specie quella drammatica del 1993 contro Steffi Graf

Alessandro Ruta/Edipress

03.07.2023 ( Aggiornata il 03.07.2023 15:01 )

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Non si poteva non voler bene a Jana Novotna. Innanzitutto perché era un piacere vederla giocare, e poi per quella sorta di malinconia che l'ha sempre accompagnata, anche nelle poche e sudate vittorie. Una malinconia che è proseguita anche dopo il ritiro, quando la morte è arrivata prematura e atroce, nel 2017 ad appena 49 anni, a causa di un tumore. E sono stati in tanti a ricordarla, sottolineando il suo unico successo in singolare in un torneo del Grande Slam, a Wimbledon nel 1998: un trionfo che la ripagava della delusione avuta su quello stesso campo, cinque anni prima, quando aveva perso una finale "già vinta" contro Steffi Graf.

Novotna, le lacrime dopo la sconfitta contro Steffi Graf

3 luglio 1993: sul centrale di Wimbledon è in programma la finale del torneo femminile tra Steffi Graf, la "cannibale", la grande favorita, e Jana Novotna, "Giovannona" come veniva chiamata dal compianto Gianni Clerici nelle sue telecronache in tv. Slanciata, elegante, in semifinale la cecoslovacca si è sbarazzata di Martina Navratilova, nientemeno, la regina del tennis su erba, e sembra pronta a compiere l'ultimo decisivo passo verso la gloria. Steffi Graf all'epoca è semplicemente la più forte, ha vinto Wimbledon già quattro volte, ma dopo aver vinto il primo set al tie-break le si spegne la luce. Jana vola 6-1, 4-1 e servizio col suo gioco leggero, di serve and volley mai così efficace, attaccando il rovescio della rivale, il suo punto debole. Va addirittura 40-30 nel sesto gioco, Novotna; il traguardo è veramente a un passo. All'improvviso, però, è la sua luce a spegnersi: comincia a commettere errori banali e doppi falli perfino goffi. Mai sanguinare davanti a uno squalo, specie se questo squalo si chiama Steffi Graf: il parziale è impietoso, da 1-4 la tedesca risale e va a vincere 6-4. Durante la premiazione a Jana non rimane che piangere sulle spalle della Duchessa di Kent, padrona di casa di quei prati londinesi. Una delle immagini più iconiche del tennis degli anni Novanta, che rivela l'umanità di una ragazza sensibile scioltasi sul più bello.

Jana Novotna e il successo tanto atteso a Wimbledon

Nel 1997 Jana torna in finale a Wimbledon, ma davanti a sé ha la predestinata per antonomasia del tennis, quella Martina Hingis che non ha ancora 17 anni, ma che sta già facendo razzia di tornei. Vince il primo set, la ceca, salvo poi venire rimontata dalla svizzera. Una sconfitta dolorosa, ma non paragonabile con quella di quattro anni prima. "Vedrai che tornerai e vincerai", sussurra la duchessa di Kent alla Novotna, durante la premiazione (senza lacrime però). Nel 1998, in effetti, le stelle si allineano per la ceca, che gioca un torneo di Wimbledon semplicemente perfetto. Perde un solo set al secondo turno contro la Panova, ma per il resto è una passerella trionfale: ai quarti di finale la ceca regola a fatica l'astro nascente Venus Williams, che ha un gioco completamente diverso dal suo, mentre in semifinale ecco la rivincita contro la Hingis: 6-4 6-4 e mezzo titolo in tasca. Sembra una finale anticipata quella, in realtà, perché dall'altra parte del tabellone è arrivata fino in fondo la francese Nathalie Tauziat, un'altra giocatrice molto elegante e dal tennis leggero, ma che nulla può contro una Novotna che adesso ha la chance della vita. Siamo al 4 luglio 1998 e Jana può finalmente vincere il suo primo Wimbledon: 6-4 7-6, l'ultimo punto una risposta vincente in lungolinea. Se c'è una donna che si è meritata il trofeo di Wimbledon, quella è lei, una delle pochissime tenniste ad aver vinto tutti i titoli del Grande Slam nel doppio femminile, a conferma del suo gioco elegante, davvero d'altri tempi. La ceca si ritirerà l'anno dopo, ad appena 31 anni, ancora abbastanza giovane. Ma felice per essersi scrollata di dosso quel macigno.

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