L'ultima dello Zar

L'ultima dello Zar

Pietro Vierchowod e la domenica del 16 aprile 2000: l'ultima partita di uno dei più forti difensori italiani

Pietro Marchione/Edipress

18.04.2024 ( Aggiornata il 18.04.2024 16:00 )

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Perugia. Domenica 16 aprile 2000. Ora di pranzo. Il calciatore più longevo della massima serie italiana entra negli spogliatoi dello stadio trovando la sua divisa da trasferta nera già bella piegata. Dovrà effettuare la ricognizione del prato, ingrassare gli scarpini e caricare i compagni prima di uscire dal tunnel. Poi si infilerà la maglietta numero 5 e darà battaglia. Come sempre.

Gesti meccanici, ripetuti all'infinito sin da quando a 16 anni ha esordito nella prima categoria bergamasca con i colori dello Spirano. Lui, manovale e aiutante idraulico, forgiato da Ivan Luchianovic, soldato ucraino dell'armata sovietica prigioniero a Bolzano Pisa e Modena, di pomeriggi così ne ha vissuti a palate.

Mascella di ferro, maglietta portata rigorosamente dentro i calzoncini, i riccioli oramai evaporati e la stempiatura sempre più alta. Scruta il cielo nuvoloso, guarda la distinta e si accorge che ha quarant'anni suonati - tre in più dell'arbitro Stefano Farina. Poi però si percuote le gambe marmoree, scoprendo il fisico integro e sentendo l'adrenalina scorrere ancora impetuosa.

Pietro Vierchowod infila nella gettoniera dello stadio Renato Curi l'ultima monetina per l'ultimo giro di giostra là, a casa di Carletto Mazzone. Il campo di una provinciale, ad oltre 500 chilometri di distanza dalla sua Como, dove vive assieme alla moglie Carmen e ai suoi figli.

Terminerà così, tra gli applausi di scherno dei tifosi locali e con un cartellino rosso un po' troppo fiscale, la carriera di uno dei più grandi difensori della storia del calcio italiano. Una carriera cominciata parecchi lustri prima, quando ancora cantavano i Led Zeppelin e Björn Borg dominava la scena del tennis mondiale.

 

La sliding door di Vierchowod 

«O la palla, o le gambe. L'importante è non farlo passare!». Dopo i primi vagiti alla Romanese, nelle giovanili del Como viene spostato, per puro caso, da centravanti a difensore. Questione di destino e di Sliding Doors, tematica cara al regista polacco Krzysztof Kie?lowski e che almeno una volta nella vita tocca ognuno di noi. Tra il primo e il secondo tempo di una partita, infatti, si fa male un compagno del reparto arretrato e il suo allenatore gli ordina di mettersi davanti al portiere. «E dopo? Cosa faccio dopo?». «Stai lì». E lì, Pietro, ci è rimasto trent'anni.

Il Presidente Alfredo Tragni stravede per lui, forse per quell'innata forza di volontà o forse per la predisposizione a imparare in fretta. Così come stravede per lui il preparatore atletico Fulvio Sguazzero: «Questo è un atleta fuori dall'ordinario. Copre i 16 metri dell'area di rigore in quattro balzi e corre i 100 metri in 10”50!».

Due anni di apprendistato tra polverosi i campi della Serie C1, poi la Serie B e infine la scalata verso l'Olimpo, assieme al suo mentore Pippo Marchioro. Oltre alle sedute pomeridiane con la squadra, l'allenatore se lo prende tutte le mattine sottobraccio per un paio di ore di allenamento intensivo in modo da affinare la tecnica: pallone con la corda e muro, muro e pallone con la corda.

Si presenta in Mitropa Cup, contro gli iugoslavi dell'NK Zagabria, spedendo dai 25 metri una staffilata vincente all'incrocio dei pali e contribuendo alla tranquilla salvezza lariana con trenta presenze e due gol.

Seguono il passaggio alla Fiorentina, lo scudetto a Roma, i successi con la Sampdoria di Mantovani e la Champions League in maglia bianconera. Sono gli anni d'oro del nostro calcio. Con molti campioni ci ha giocato assieme, gli altri li ha affrontati a muso duro più o meno tutti: da Maradona a Platini, passando per van Basten e Ronaldo. E poi Bettega, Pulici, Paolo Rossi, Graziani, Altobelli, Pruzzo, Careca. Sfiora Rummenigge e Weah, sino a Filippo Inzaghi e Bobo Vieri. E tutti si ricordano di lui, chi in modo scherzoso: «Vierchowod è come Hulk» e chi con epiteti poco eleganti «Ah si, quello con la faccia da lucertola». Botte prese e restituite, tra graffi, scivolate con i tacchetti a 17 mm e tirate di maglia. Roccioso ed estremamente veloce, ha vissuto in campo gli Anni di piombo, gli Anni Ottanta, Tangentopoli e l'avvento della moneta unica europea.

 

A Perugia, lo Zar, rosso di rabbia 

A 38 anni e dopo aver vinto tutto si rimette in gioco firmando col Piacenza di soli italiani, accontendandosi di un ingaggio di circa 300 milioni di Lire. Non è una questione di soldi ma di stimoli, per la disperazione della moglie Carmen che soffre ad ogni partita e la gioia della primogenita Chiara, felice di non vederselo troppo tra i piedi. Pietro infatti, in casa, parrebbe così come lo si vede in campo: meticoloso, perfezionista, duro.

Il primo ad oltrepassare i cancelli del Centro Sportivo Bertocchi e l'ultimo a mettersi in macchina, tra l'ammirazione del fido Gianfranco Baggi (preparatore atletico dei biancorossi) e la gioia degli appassionati del Fantacalcio, pronti ad accaparrarselo per pochi spiccioli a fronte di un rendimento sicuro.

Scavalla gli "anta" ancora integro, senza mai aver avuto problemi muscolari, incidenti, strappi o menischi. Giusta ricompensa per essersi comportato da professionista esemplare. Niente fumo, niente vizi e niente eccessi. Durante i ritiri, in camera alle 21 e alle 22.30 luci spente.

«Vado avanti finché mi diverto e sono utile a chi mi paga lo stipendio» ripete a chi gli chiede quando smette. Salva gli emiliani il primo anno, li salva un secondo fino ad arrivare al nuovo Millennio.

Una stagione nata male, con la vendita in estate del bomber Simone Inzaghi e l'ingaggio in panchina del mal voluto dalla piazza Gigi Simoni (i suoi trascorsi a Cremona non si cancellano). Turbolenze societarie a dicembre, col Presidente Stefano Garilli che lascia tutto al fratello e l'esonero dell'ex allenatore dell'Inter a gennaio rimpiazzato dalla coppia Braghin-Bernazzani.

Il Piacenza affonda (infila otto sconfitte su tredici partite) e si presenta alla vigilia della trentesima giornata con la consapevolezza di essere praticamente in B. Consapevolezza diventata certezza aritmetica quando da Bari (diretta concorrente per la salvezza) arrivano i gol di Spinesi ed Osmanovski e Materazzi, col Perugia, infila la porta piacentina con un perentorio colpo di testa al 12'.

Vierchowod però non ci sta, non ha mai sopportato la sconfitta. Petto in fuori e lancia in resta, si spinge in avanti dopo un corner battuto da Statuto ed incorna alla sua maniera. Milanese gliela sfiora di braccio e lui va su tutte le furie, sciorinando un braccio al cielo e lasciandosi andare a qualche parola di troppo con l'arbitro. Lo faceva sempre con gli avversari e lo faceva pure con i compagni di squadra (Pagliuca, Souness, Renica...).

Ma Stefano Farina è uno permaloso, poco incline a tollerare le proteste. Certo, avrebbe potuto chiudere un'occhio. Avrebbe potuto fermarsi, rivedendo tutte le 562 partite in Serie A di quel difensore d'acciaio (più uno spareggio). Avrebbe potuto rivedere i suoi 38 gol. Avrebbe, avrebbe...

L'ultimo giro di giostra è durato meno del previsto, ma si è comunque divertito. Ad aspettarlo adesso, nella sua bella casa sul lago, c'è la famiglia. Da lunedì potrà apprezzare di più la tranquillità di quel posto, il verde e gli idrovolanti. E dedicarsi alla sua collezione di mini-set cortesia alberghieri.

Sipario.

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